Aspetti+socioculturali+del+patrimonio+territoriale_RenzettiPetrella

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 1  Aspetti socio-cult urali del pa trimonio territor iale Emanuela Renzetti, Andrea Petrella Dipartimento di Scienze Umane e Sociali Università degli Studi di Trento Il concetto di patrimonio culturale  ha subito negli ultimi decenni una vera e propria rivoluzione, ha cioè potuto includere e considerare degno di conservazione, ostensione e valorizzazione quanto per lungo tempo era stato appannaggio esclusivo di gente comune, spesso collocata nella gerarchia sociale piuttosto verso il basso e, altrettanto spesso, territorialmente decentrata, lontana dal potere e dai gangli decisionali [Maggi e Dondona 2006]. Questa trasformazione radicale ha inciso profondamente sulle nostre concezioni, un nuovo modello culturale  si è andato affermando, un modello che ci consente di apprezzare oggetti che prima escludevamo come privi di valore, che ci fa ammirare architetture che oggi definiamo tradizionali perché recuperate, ma che prima liquidavamo come fatiscenti, che ci fa ricercare prodotti talvolta alla soglia dell’artigiana le che fino a qualche anno fa non avremmo mai voluto acquistare proprio per l’eccessiva semplicità, o rusticità. Se oggi definiamo correttamente il patrimonio come l’insieme delle vite e degli stili di vita  delle comunità di uomini e donne, siamo dunque a nche disposti ad accogliere l’idea che non solo elementi materiali  ma anche immateriali  che appartengono a tali comunità rappresentino una parte importante della nostra cultura, particolarmente se si connotano come scelte peculiari di un territorio che hanno avuto lunga durata  e si sono distinte per tradizione  [Maggi 2001]. Tutto ciò ha a che fare con un sapere cui siamo sempre più propensi ad attribuire segno positivo perché capace ai nostri occhi di essere rivalutato nonostante il tempo; anzi, forse proprio il trascorrere del tempo ci ha indotto a una prospettiva  di confronto in cui le pratiche più antiche, i modi caduti in disuso vengono accostati con quanto di più attuale e innovativo abbiamo acquisito. È allora che constatiamo forzature, errori, esasperazioni della contemporaneità e siamo portati a rivalutare equilibrio, esperienza e attenuazione collocandoli talvolta a torto solo nel passato. Un ruolo significativo nel diffondersi e nell’affermarsi del modello e della prospettiva è occupato ad esempio dalle tradizioni gastronomiche o enologiche .

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1Aspetti socio-culturali del patrimonio territorialeEmanuela Renzetti, Andrea PetrellaDipartimento di Scienze Umane e SocialiUniversità degli Studi di TrentoIl concetto di patrimonio culturale ha subito negli ultimi decenni una vera e propria rivoluzione, ha cioè potuto includere e considerare degno di conservazione, ostensione e valorizzazione quanto per lungo tempo era stato appannaggio esclusivo di gente comune, spesso collocata nella gerarchia sociale piuttosto verso il basso e, altrettanto spesso, territorialmente decentrata, lontana dal potere e dai gangli decisionali [Maggi e Dondona 2006].

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    Aspetti socio-culturali del patrimonio territoriale

    Emanuela Renzetti, Andrea Petrella

    Dipartimento di Scienze Umane e Sociali Universit degli Studi di Trento

    Il concetto di patrimonio culturale ha subito negli ultimi decenni una vera e propria

    rivoluzione, ha cio potuto includere e considerare degno di conservazione, ostensione e

    valorizzazione quanto per lungo tempo era stato appannaggio esclusivo di gente comune,

    spesso collocata nella gerarchia sociale piuttosto verso il basso e, altrettanto spesso,

    territorialmente decentrata, lontana dal potere e dai gangli decisionali [Maggi e Dondona

    2006].

    Questa trasformazione radicale ha inciso profondamente sulle nostre concezioni, un

    nuovo modello culturale si andato affermando, un modello che ci consente di

    apprezzare oggetti che prima escludevamo come privi di valore, che ci fa ammirare

    architetture che oggi definiamo tradizionali perch recuperate, ma che prima liquidavamo

    come fatiscenti, che ci fa ricercare prodotti talvolta alla soglia dellartigianale che fino a

    qualche anno fa non avremmo mai voluto acquistare proprio per leccessiva semplicit, o

    rusticit.

    Se oggi definiamo correttamente il patrimonio come linsieme delle vite e degli stili di vita

    delle comunit di uomini e donne, siamo dunque anche disposti ad accogliere lidea che

    non solo elementi materiali ma anche immateriali che appartengono a tali comunit

    rappresentino una parte importante della nostra cultura, particolarmente se si connotano

    come scelte peculiari di un territorio che hanno avuto lunga durata e si sono distinte per

    tradizione [Maggi 2001]. Tutto ci ha a che fare con un sapere cui siamo sempre pi

    propensi ad attribuire segno positivo perch capace ai nostri occhi di essere rivalutato

    nonostante il tempo; anzi, forse proprio il trascorrere del tempo ci ha indotto a una

    prospettiva di confronto in cui le pratiche pi antiche, i modi caduti in disuso vengono

    accostati con quanto di pi attuale e innovativo abbiamo acquisito. allora che

    constatiamo forzature, errori, esasperazioni della contemporaneit e siamo portati a

    rivalutare equilibrio, esperienza e attenuazione collocandoli talvolta a torto solo nel

    passato.

    Un ruolo significativo nel diffondersi e nellaffermarsi del modello e della prospettiva

    occupato ad esempio dalle tradizioni gastronomiche o enologiche.

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    A chi non capitato almeno una volta di scegliere un luogo per consumare un pasto

    attratto da uninsegna che dichiarava cucina locale, o quanti sono riusciti a sottrarsi

    allaccattivante richiamo di un menu tipico del luogo in cui si trovavano a passare, o,

    ancora, chi non si lasciato sfuggire almeno una volta nella vita il giudizio che la dice

    lunga sullinculturazione alimentare di ciascuno di noi dalle mie parti lo fanno meglio?

    davvero difficile recidere il legame tra territorio e cultura alimentare! Tutte queste

    situazioni e mille altre, sono ottime esemplificazioni di quanto i fatti alimentari abbiano a

    che fare con un determinato ambiente: vuoi perch siamo consapevoli che ad ogni

    microcosmo territoriale e produttivo pu corrispondere un microcosmo culinario, vuoi

    perch giustamente, pensiamo che il cibo possa avvicinarci meglio, o pi di altre

    esperienze, a realt che non conosciamo, vuoi perch, ed una posizione che assumiamo

    altrettanto di frequente, ci piace cimentarci con il gusto che, in ultima analisi, altro non

    se non il nostro senso di appartenenza alimentare [Teti 1999].

    In un tempo in cui le contaminazioni, le ibridazioni, le multiculturalit alimentari, e non

    solo, sono di gran moda, ma in cui sono altres allopera raffinate tecniche di persuasione

    per imporre i prodotti delle grandi industrie alimentari in un regime di abbondanza e di

    spreco, i richiami alla produzione biologica, alla genuinit tradizionale, ai marchi di qualit

    si moltiplicano e, non a caso, tutti in relazione alla territorialit.

    Le zone tipiche, i prodotti tipici, le lavorazioni, le conservazioni, gli invecchiamenti, tutto,

    insomma, rinvia a luoghi produttivi, spazi abitativi, cucine e culture alimentari peculiari di

    certe aree geografiche. Il fenomeno, certamente non in questi termini, n con identica

    funzione da sempre esistito; se oggi serve a difendere produzioni e a permetterne la

    commercializzazione in mercati pi ampi ed , quindi, un portato del declinarsi dei

    processi di globalizzazione postindustriale da un lato, e di quelli di reidentificazione locale,

    dallaltro, un tempo era di segno differente [Guigoni 2004].

    Nel secolo scorso e anche in quello precedente il discrimine dei consumi rendeva ad

    esempio possibile denominare la popolazione di un paese con il suo cibo abituale e non

    sempre tale denominazione era priva di una vena critica o talora ingiuriosa. Ci che ci

    interessa rilevare che una simile concezione degli altri e di s conferma che anche per il

    passato esisteva la consapevolezza di una stretta identificazione tra territorio, disponibilit

    e comportamenti alimentari.

    Lidentificazione con un cibo, un piatto, una pianta aromatica, una maniera di cucinare,

    una tecnica di conservazione, un modo di consumare gli alimenti si afferma nel corso di

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    un lungo periodo segnato da penurie e esperimenti alimentari, da abbondanza e

    privazioni, da necessit e scelte.

    Il lungo periodo costituisce un contesto di riferimento irrinunciabile per la comprensione

    del passato, mentre lidea di durevole che se ne deriva, applicata ad esempio allo

    sviluppo delleconomia, parte dal presente e si applica al futuro. La nozione di lungo

    periodo appare dunque strettamente connessa a quella di sviluppo durevole, in una sorta

    di continuum, saldato dal presente.

    a questa concezione forse che varrebbe la pena ispirarsi per provare a parlare di marchi

    da un punto di vista socio-antropologico, specialmente se larea cui si interessati larco

    alpino.

    Chiunque abbia a che fare con questo territorio studiandolo nellambito delle scienze

    umane non tarder a rendersi conto che per molto tempo la nostra catena alpina stata

    vista come il luogo delle regolarit e delle costanti deterministicamente imposte

    dallambiente. E stato lapproccio ecosistemico a spostare lattenzione sullanalisi delle

    relazioni tra popolazioni e risorse, e a porsi come obiettivo strategico la lettura della

    capacit e delle modalit attraverso cui un gruppo umano adatta la propria consistenza

    numerica in modo da mantenere la stabilit delle risorse. Le Alpi proprio in questottica

    hanno presentato agli sguardi dei ricercatori soluzioni diverse, strutture sociali

    diversificate, regole patrimoniali opposte, fenomeni totalmente divergenti tutti per

    ispirati da uno stesso principio che oggi chiameremmo sostenibilit. Lambiente montano

    non poteva sovraccaricarsi di uomini n di animali, non poteva essere sfruttato ma

    mantenuto.

    Da quanto lontano venga questo principio difficile dire certo che a guardare i primi

    statuti o le prime carte di regola comunitarie del Trentino parrebbe di poterlo far risalire

    assai indietro nel tempo. Anche in altre regioni dello stesso arco, per, usi civici, terreni

    comuni, alpeggi, parti di prati o di boschi da gestire collettivamente o al contrario divisioni

    territoriali e patrimoniali che salivano da mezza montagna fino in quota hanno giocato la

    partita (fatte salve le onnipresenti eccezioni) del mantenimento del suolo, delle acque e

    dei boschi [Nequirito 2002].

    Daltro canto lagricoltura di montagna, faticosa e avara, deve aver ben presto insegnato

    a tutte le popolazioni che vivevano sui pendii che il sostentamento andava ricercato in un

    sistema misto, lagro-silvo-pastorale, e in tanti altri piccoli mestieri cui ci si poteva

    dedicare durante i rigidi inverni [Coppola 1991]. Dopo secoli di angustie e di ristrettezze

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    aggravate dalle guerre e dalle trincee i montanari -in verit pi le montagne che gli

    abitatori- hanno incontrato il forestiero; prima scienziato curioso e alpinista, poi malato e

    bisognoso di sole e aria pura, infine, amante della natura e della tranquillit. Tutti costoro

    hanno trovato nelle Alpi il territorio ideale di studio, sport, terapia e relax, ma non ancora

    un luogo ricco di un proprio patrimonio culturale.

    Se nellOttocento si fonda cos il mito della salubrit del vivere in quota, passeggiando,

    godendo di paesaggi che elevano lo spirito e bevendo le acque minerali pi pure e

    efficaci, bisogna attendere il Novecento e lestremo limite dello spopolamento di zone

    tagliate fuori dal turismo di massa, e lo spartiacque della scomparsa di qualsiasi traccia di

    vita tradizionale perch si recuperino i saperi delle comunit abbarbicate ai monti.

    Grandi conoscitori dellambiente naturale fatto di rocce, erbe, alberi e fiori; produttori di

    alimenti preziosi quali il latte e il miele; allevatori e depositari dei segreti della

    caseificazione, capaci di cavar patate, raccogliere mais, mietere orzo e segale e

    immagazzinare fieno profumatissimo su chine vertiginose, gli ultimi montanari, in un

    guizzo di orgoglio, proclameranno non le loro virt ma i pregi dimenticati delle terre che

    abitano, quelli in gran parte offuscati dalle piste da sci.

    Nella riscoperta del proprio passato, del modo di fare e di vivere che non pu essere

    considerato vuoto a perdere viene ripristinata una quotidianit che non quella di ieri

    ma le somiglia; con essa vengono difese e riprese alcune produzioni tradizionali.

    Lalimentazione delle Alpi si impone allattenzione generale per le stesse ragioni che

    avevano colpito limmaginario collettivo nel secolo precedente -ma ormai sappiamo che

    la lunga durata fonda nel presente il durevole-. Quass tutto pi puro, c molto di

    incontaminato, abbiamo saputo conservare il nostro ambiente e possiamo conservarlo

    ancora con equilibrio e saggezza. La verticalit insegna la misura!

    Con la consapevolezza che nel recente passato le popolazioni montane hanno creato

    allinterno dei propri insediamenti dei veri ecosistemi in grado di garantire il

    sostentamento alimentare dei membri, lallevamento di bestiami, la cura del paesaggio,

    del suolo, del manto boschivo e di quello prativo, dei corsi dacqua e delle aree coltivate,

    la societ contemporanea ha intrapreso un delicato e talvolta difficoltoso processo di

    recupero di queste pratiche, che oggi usando il linguaggio della scienza

    dellamministrazione o dellorganizzazione chiameremmo good practices. Lambiente

    montano, per sua natura vincolante, ha indotto gli abitanti a plasmare, correggere o

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    addirittura inventare le proprie dinamiche e consuetudini demografiche [Baldi e Cagiano

    de Azevedo 1999] e sociali (natalit, matrimonio, emigrazioni), abitative e alimentari,

    calibrandole strategicamente al contesto territoriale. anche per questo motivo che

    quando si parla di sviluppo sostenibile [Magnaghi 1990; 1998] impossibile non fare

    riferimento a tali processi che nel corso di secoli hanno conservato lambiente alpino con

    rigore e passione, in costante equilibrio tra la tutela della natura e il corretto utilizzo a fini

    alimentari, ma anche tra privazioni e sistemi di sussistenza [DellAgnese 1995].

    Le Alpi non vanno considerate come un tessuto culturale e sociale omogeneo, ma come

    un insieme di aspetti culturali distinti e peculiari [Camanni 2002], tuttavia uniti nella

    diversit e nel continuo misurarsi con quote e clima, con la presenza di risorse idriche e

    qualit del suolo, con lesposizione al sole e la pendenza dei terreni, con lestensione del

    fondovalle e gli ostacoli naturali, in Piemonte come in Trentino, in Slovenia come in

    Lombardia. Il tratto comune che interessa la totalit delle vallate dellarco alpino e le

    rispettive comunit , quindi, lo stretto e inscindibile rapporto che le lega allambiente

    inteso come natura e risorse.

    Come si detto, se la riscoperta del passato deve essere sempre tenuta in evidenza,

    altrettanto deve esserlo limpossibilit di ripristinare tali pratiche nella quotidianit come

    avveniva ieri. Riproporle in modo pedissequo pressoch impossibile e non terrebbe in

    considerazione n ibridazioni e rielaborazioni concettuali frutto dellincontro con altre

    culture che continuano a realizzarsi, seppure con altra intensit e direzione, n le

    molteplici esigenze delloggi. tuttavia indiscutibile il valore che ricoprono e che gli

    antropologi hanno stigmatizzato come saperi diffusi: un insieme di esperienze, di

    pratiche, di competenze empiriche e non, prive di una vera e propria base scientifica, ma

    basate nellempiria, che vanno a costituire lapparato conoscitivo di una comunit

    insediata in un determinato territorio e che, forse, non sono pi cos diffuse, data la

    difficolt di reperirle e la crescente rarit con cui si presentano ai nostri occhi e alle nostre

    orecchie.

    opportuno, inoltre, abbandonare lidea di staticit e di arretratezza con cui da decenni la

    montagna italiana viene descritta, poich stato dimostrato in pi occasioni come i suoi

    tratti distintivi siano la mobilit [Albera e Corti 2000] (intesa sia come emigrazione

    stagionale o di lungo termine, sia come il cosiddetto nomadismo, ovvero la pratica di

    sfruttare le diverse quote e le diverse stagioni a favore dellallevamento di bestiame, della

    coltivazione e dellapicoltura), le continue mediazioni culturali (frutto di incontri tra

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    popolazioni ma anche dellaccresciuta attrazione che alcune localit montane esercitano

    sui turisti) e i tassi di scolarit sopra la media.

    La sfida che le Alpi hanno davanti a s riguarda, quindi, la possibilit reale di intrecciare

    in modo armonico e, appunto, sostenibile [Magnaghi 1998] il sapere dei propri abitanti (di

    coloro che sul territorio hanno vissuto e dal territorio hanno tratto insegnamenti,

    esperienze e saggezze) e lalta qualit dellambiente paesaggistico e naturale (e delle sue

    produzioni zootecniche e agricole) con la reintroduzione dellagricoltura di tipo biologico e

    le aumentate possibilit di commercializzazione e di diffusione dei prodotti tipici che il

    mercato globale garantisce.

    A titolo esemplificativo ci sembrato opportuno prendere in considerazione quattro

    prodotti territoriali inscindibilmente legati alle Alpi il cui recupero e la cui reintroduzione

    nelle economie locali segnerebbero un percorso virtuoso e un nuovo, sostenibile

    atteggiamento nei confronti dellambiente.

    La Vacca Rendena

    La Rendena una razza bovina particolarmente adatta allalpeggio in quota, prova ne

    che ancora oggi la quasi totalit delle vacche di questa razza allevate in Trentino (e pi

    del 50% di quelle allevate in Veneto) passano i quattro mesi estivi sulle malghe della Val

    Rendena, Trentino occidentale (sullAltopiano di Asiago nel caso del Veneto). Questa

    situazione giustificata dallelevato adattamento della razza al pascolo in zone di difficile

    accesso e dalla pendenza notevole, in cui bovine di razze a maggiori dimensioni

    presenterebbero difficolt. Le popolazioni locali allevano la Rendena gi dal 1700, ma nel

    corso del XX secolo la razza sub una forte contrazione del numero di capi, per

    motivazioni di ordine politico e sanitario. Attualmente, anche grazie allazione

    dellAssociazione Nazionale Allevatori Bovini di Razza Rendena, i capi sono aumentati e

    rappresentano un elemento fondamentale sia del paesaggio che delleconomia locale. La

    Rendena ha, infatti, una duplice attitudine, carne e latte, con propensioni maggiori verso

    questa seconda produzione. Gli sforzi dellAssociazione e di quanti hanno a cuore questa

    razza sono volti a promuoverne lallevamento e la lavorazione del latte, anche attraverso

    incentivi. Fedeli alle antiche pratiche, gli stabilimenti caseari che lavorano il latte seguono

    precisi disciplinari che permettono una produzione di qualit, nel rispetto dei principi di

    sostenibilit. Caratteristiche dellalimentazione della Vacca Rendena sono, infatti, lutilizzo

    del fieno della valle e il pascolamento sui prati di fondovalle e su quelli di mezza e alta

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    montagna. Sono espressamente vietati gli insilati e quegli alimenti che possono alterare il

    sapore del latte e, di conseguenza, del formaggio. La reintroduzione di questo bovino e il

    recupero di saperi e pratiche relativi alle sue produzioni sono ottimi esempi di come sia

    possibile coniugare tradizione e attivit economico-produttiva, tutelando il paesaggio

    naturale (il pascolo curato impedisce lavanzamento del bosco a quote elevate,

    lesclusione dei mangimi permette il mantenimento della cotica erbosa), la qualit finale

    dei prodotti (assenza di mangimi chimici) e la salute del consumatore.

    La Pecora Sambucana

    La pecora di razza Sambucana allevata quasi esclusivamente in provincia di Cuneo ed in

    particolare nei comuni della Valle Stura di Demonte, da una quota di 600 fino a 1800

    metri. Attualmente la razza presente nella valle con una consistenza numerica di circa

    4500 capi distribuiti in una sessantina di allevamenti. La sua presenza ha origini molto

    antiche e, secondo le ricerche condotte da alcuni studiosi, peraltro avvalorate dalle

    testimonianze di allevatori locali, sarebbe sempre vissuta in questa zona favorita da un

    habitat ricco di numerosi ed ampi pascoli. Tale tesi trova conferma nellesistenza di una

    pecora che lambiente ha reso agile e nello stesso tempo robusta, adatta a vivere in un

    ambiente dove il clima muta rapidamente e dove da sempre lallevamento ovino ha

    rappresentato la possibilit di sfruttamento dei pascoli di alta quota. Si tratta di un

    animale particolarmente rustico ed adatto allambiente in cui vive: trascorre infatti il

    periodo di alpeggio estivo su pascoli rocciosi, disagiati, pietrosi e ripidi, con temperature

    rigide nei mesi primaverili ed autunnali e durante la notte. Trascorre, invece, il lungo

    periodo invernale nella stalla, nutrendosi con solo fieno prodotto in loco. La sua grande

    agilit le permette di percorrere ripidi canaloni, scoscesi pendii, attraversare pareti

    rocciose seguendo intelligentemente i sentieri scavati nella roccia per raggiungere le vette

    e brucare gli ultimi ciuffi derba. La Pecora Sambucana unottima produttrice di carne,

    latte e lana.

    Come nel caso della Vacca Rendena, la sua reintroduzione promossa soprattutto

    dallEcomuseo della Pastorizia nel comune di Pietraporzio (CN) ha un altissimo valore

    simbolico poich riunisce in s aspetti ambientali (lutile sfruttamento dei prati in alta

    quota), economici (produzione di manufatti con la lana, prodotti caseari e carne pregiata)

    e sociali (recupero delle tradizionali pratiche di allevamento basate sul cosiddetto

    nomadismo e garanzia per il consumatore di alimenti sani e controllati).

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    Il Grano Saraceno

    Il Grano Saraceno una pianta erbacea annuale che pu raggiungere laltezza di un

    metro. Produce un solo stelo cavo, succulento e molto fragile che presenta numerose

    ramificazioni. Dalla sua granella si ricava, dopo la macinazione, una farina bigia dalle

    elevate qualit nutrizionali e salutistiche, utilizzata nella preparazione di piatti tipici come i

    pizzoccheri, la polenta nera, dolci e biscotti. Caratteristica peculiare del Grano Saraceno

    quella di presentare un ciclo vitale estremamente breve (da 60 a 90 giorni) che ne

    consente la coltivazione anche in altitudine come seconda coltura dopo altri cereali. In

    virt della velocit di germinazione e di sviluppo iniziale la coltura non richiede

    normalmente interventi diserbanti n lutilizzo di antiparassitari. molto adatto a climi

    freddi, a terreni a forti pendenze, magri e di scarso spessore. Questo grano per

    fecondarsi ha bisogno dellazione dellape: la dipendenza dallazione di impollinazione

    cos forte che dove la coltivazione era centrale nelleconomia del territorio era anche

    molto diffusa lapicoltura. Il miele era uno dei pi rari in Italia e presentava un colore

    scuro e un aroma forte. Anche per il Grano Saraceno utile parlare di nomadismo, poich

    fiorendo in agosto, in un periodo in cui alle quote basse scarseggiano fioriture

    interessanti, molti apicoltori effettuavano del nomadismo estivo su questa coltura

    trasportando in alta quota le arnie.

    Il Grano Saraceno originario della Cina (Himalaya orientale), dove utilizzato per

    produrre pane e fu introdotto dapprima nellEuropa dellEst, mentre in Italia raggiunse

    una diffusione notevole sulle Alpi nel 600 e nel 700. Questo cereale ha contribuito in

    maniera fondamentale a garantire il soddisfacimento del fabbisogno alimentare,

    soprattutto durante le carestie. Dalla seconda met del XX secolo, per, questa coltura

    andata incontro ad un forte periodo di crisi: la produzione ha subito una brusca

    interruzione. Le cause principali dellabbandono sono essenzialmente legate a

    considerazioni economiche, ma anche a dinamiche sociali: difatti era prevalentemente

    localizzata negli appezzamenti meno fertili, i primi ad essere abbandonati, e richiedeva un

    notevole impegno di mano dopera per le operazioni di raccolta sui pendii o sui

    terrazzamenti. Anche il cambiamento delle abitudini alimentari ha contribuito al suo

    abbandono, insieme allavvento del turismo che ha sostituito il settore primario nelle

    economie di montagna.

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    Attualmente, in assenza di produzione nazionale di una certa rilevanza, i fabbisogni

    interni sono soddisfatti attraverso limportazione dalla Cina. Tuttavia, il Grano Saraceno

    in fase di reintroduzione in Piemonte, in Brianza, in Valtellina e sullAppennino centrale,

    grazie a iniziative di istituti sperimentali, azioni Leader, presidi Slow Food e singoli

    coltivatori. Date le sue caratteristiche, la pianta si inserirebbe a pieno titolo nel circuito di

    commercializzazione dei prodotti biologici e promuoverebbe unagricoltura di montagna

    ormai ridotta a produzioni marginali. Unultima non trascurabile ragione per diffondere la

    coltivazione del Grano Saraceno nelle zone montane il valore estetico della coltura che

    pu contribuire significativamente a migliorare la qualit del paesaggio. Se vero che

    allagricoltore delle zone montane verr in futuro affidato sempre di pi il ruolo di custode

    e tutore del territorio e delle tradizioni culturali del passato, oltre che di produttore di

    alimenti non ottenibili nelle zone agricole tradizionali, certamente il Grano Saraceno potr

    svolgere un ruolo non secondario in quanto coltura esteticamente gradevole, non

    inquinante e capace di fornire prodotti con caratteristiche nutrizionali e organolettiche

    uniche.

    Il miele

    Alcune qualit di miele, come quello di rododendro, si producono esclusivamente nellarco

    alpino ad altitudini variabili, spesso anche molto elevate. La produzione di queste

    tipologie di miele si effettua con una faticosa transumanza (ancora il nomadismo) degli

    alveari, dal fondovalle alle quote pi alte. Lutilizzo di queste tecniche comporta dei costi

    di produzione elevati che uniti allinstabilit delle condizioni meteorologiche in quota

    concorrono ad ottenere produzioni quantitativamente minori rispetto allapicoltura di

    mezza montagna o di pianura. Nelle Alpi la produzione di miele ha origini remote e nel

    corso del tempo ha visto diversificare le proprie qualit (Castagno, Tiglio, Robinia,

    Millefiori, Rododendro, Flora Alpina), andando a costituire unimportante integrazione di

    reddito nellambito delleconomia debole dellarea montana.

    I quattro esempi riportati sono emblematici delle enormi potenzialit che la

    reintroduzione di antiche produzioni con metodologie appropriate ed ecologicamente

    sostenibili pu comportare, rivitalizzando settori ormai abbandonati.

    Ma in che modo si possono garantire queste e molte altre produzioni alpine? In che

    modo si possono tutelare dagli inevitabili tentativi di imitazione, magari frutto di

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    procedimenti non rispettosi nei confronti della materia prima stessa e della salute del

    consumatore?

    La risposta a questi interrogativi sembra essere stata individuata nei cosiddetti marchi di

    qualit, le certificazioni che le istituzioni conferiscono a quei prodotti tipici, tradizionali,

    locali, derivanti da un legame con il territorio di produzione della materia prima o anche

    solo per la trasformazione o, ancora, per entrambe gli aspetti. Sono, quindi, chiamati

    prodotti tipici quelli che si fregiano di un riconoscimento ufficiale (DOP e IGP) e prodotti

    tradizionali quelli che pur essendo caratteristici di un determinato territorio non hanno

    nessun riconoscimento [ISMEA 2006].

    Un marchio come DOP o IGP permette di ricostruire in maniera documentata le varie fasi

    del percorso di un prodotto (tracciabilit), con la finalit di garantire al consumatore

    lidentit di chi materialmente produce, trasforma o manipola quanto trova sugli scaffali di

    un negozio. La crescente esigenza di recuperare tali informazioni relative a ci che si

    mangia sta contribuendo a ricucire lentamente il legame tra territorio e produzione, tra

    paesaggio, clima, quota, storia e tradizioni, poich sempre il territorio attraverso i suoi

    abitanti il vero custode delle lavorazioni tradizionali e artigianali, quelle stesse che

    insieme alle materie prime impiegate si crede forniscano allalimento le tanto apprezzate

    qualit organolettiche.

    Oggi abbiamo un vastissimo elenco di prodotti tipici. Oltre a quel centinaio che risponde a

    marchi DOP e IGP, ci sono oltre 3000 prodotti tradizionali individuati dalle regioni per

    superare i vincoli imposti dalla legislazione sanitaria [ISMEA 2006]. Ma linserimento di un

    prodotto nellelenco regionale non costitutivo di diritti e leventuale riferimento al nome

    geografico non costituisce riconoscimento di origine o provenienza del prodotto dal

    territorio al quale riconducibile. Probabilmente essi sono destinati a ricevere nel tempo

    un assetto pi stabile, che potr essere il risultato o di un riconoscimento comunitario che

    valorizzi il rapporto con il territorio (DOP o IGP) o di forme di tutela affidate ad istituzioni

    locali.

    Si pone con forza la necessit di garantire la relazione tra prodotto e territorio, tra valore

    della tradizione e pratiche di lavorazione; tuttavia, ad una prima osservazione del

    fenomeno, ci sembra opportuno segnalare una forse eccessiva presenza di marchi.

    Oltre ai gi citati Prodotti Tradizionali Regionali, a quelli DOP (Denominazione dOrigine

    Protetta) e a quelli IGP (Indicazione Geografica Protetta), ed escludendo dal

    ragionamento i vini (che hanno una storia ed una tradizione a parte), si assiste ad una

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    moltiplicazione e, quindi, ad una sovrapposizione di marchi a garanzia della qualit e

    dellorigine territorialmente e culturalmente definita di un dato prodotto. Ecco allora i

    prodotti STG (Specialit Tradizionale Garantita), i prodotti DE.CO. (Denominazione

    Comunale dOrigine), quelli garantiti dai presidi Slow Food e quelli a marchio biologico.

    Non nostra intenzione in questa sede esaminarne le differenze e le peculiarit, ma

    difficile non notare come un numero e una variet cos alti possano generare confusione

    sia nel consumatore, sia nel potenziale produttore che per la prima volta si affaccia in

    questa giungla cos frammentata.

    In questo scenario, la proposta di creare un nuovo, ulteriore marchio di qualit appare un

    po paradossale, ma facilmente spiegabile. Un marchio unico per tutti i prodotti alpini

    potrebbe, infatti, sostituire o affiancare il gi affermato DOP (che presenta requisiti pi

    restrittivi rispetto alla IGP) e soppiantare i marchi regionali, locali o comunali. I prodotti e

    le materie prime dellarco alpino possiedono caratteristiche che rendono possibile

    accomunarli, pur consapevoli delle infinite diversit che sussistono. Potenzialmente il

    Marchio Alpino avrebbe un grande impatto sul mercato e premierebbe quei prodotti o

    quelle pratiche totalmente legate alla tipicit del territorio, alla sua morfologia, al suo

    clima e alla sua salubrit. Le caratteristiche dei prodotti riscontrabili in tutte le vallate

    delle Alpi sono riassumibili come segue:

    produzioni basate su coltivazioni ed allevamenti tipici del territorio (per quanto

    riguarda le materie prime) e su particolari processi di lavorazione/trasformazione

    di tali materie in loco;

    utilizzo esclusivo delle tecniche di coltivazione e allevamento biologiche;

    nomadismo come pratica prevalente per lallevamento e la coltivazione;

    consumo del territorio sostenibile e non irreversibile;

    produzioni rispettose delle tradizioni locali e dellambiente naturale.

    La presenza di questo marchio faciliterebbe anche la comunicabilit dei prodotti alpini e,

    quindi, la loro diffusione. Lobiettivo, oltre alla garanzia di prodotti sani e non dannosi per

    lambiente montano, quello di sfruttare positivamente limmaginario collettivo della

    montagna, costituito da elementi come la salubrit e la genuinit. Il Marchio Alpino

    sarebbe estensibile a tutti i territori montani in grado di garantire una completa

    sostenibilit delle proprie produzioni e si fonderebbe sul costante e imprescindibile

    apporto dei saperi diffusi.

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    Riferimenti bibliografici ALBERA Dionigi, CORTI Paola (a cura di) 2000 La montagna mediterranea: una fabbrica duomini?: mobilit e migrazioni in una

    prospettiva comparata (sec. XV-XX), Cavallermaggiore (CN), Gribaudo BALDI Stefano, CAGIANO DE AZEVEDO Raimondo 1999 La popolazione italiana. Storia demografica dal dopoguerra ad oggi, Bologna, Il Mulino CAMANNI Enrico 2002 La nuova vita delle Alpi, Torino, Bollati Boringhieri COPPOLA Gauro 1991 Equilibri economici e trasformazioni nellarea alpina in et moderna, in COPPOLA G.,

    SCHIERA P. (a cura di), Lo spazio alpino: area di civilt, regione cerniera, Napoli, Liguori DELLAGNESE Elena 1995 La montagna italiana come spazio di deprivazione in Sustainable Development of Mountain

    Communities, Roma, HDP GUIGONI Alessandra (a cura di) 2004 Foodscapes : stili, mode e culture del cibo oggi, Monza (MI), Polimetrica ISMEA (a cura di) 2006 I prodotti DOP, IGP e STG: levoluzione della normativa, i dati economici e le tendenze di

    mercato in alcuni paesi UE, Roma, ISMEA MAGGI Maurizio (a cura di) 2001 Il valore del territorio, Torino, Allemandi & C MAGGI Maurizio, DONDONA Carlo Alberto 2006 Macchine culturali, Torino, IRES MAGNAGHI Alberto (a cura di) 1990 Il territorio dellabitare: lo sviluppo locale come alternativa strategica, Angeli, Milano 1998 Il territorio degli abitanti: societ locali e autosostenibilit, Dunod, Milano NEQUIRITO Mauro (a cura di) 2002 A norma di regola, Trento, PAT TETI Vito 1999 Il colore del cibo: geografia, mito e realt dell'alimentazione mediterranea, Roma, Meltemi

    Siti Internet

    www.anare.it (associazione nazionale allevatori bovini di razza Rendena)

    www.vallestura.net/sambucana/Default.asp

    www.regione.piemonte.it/agri/ita/news/pubblic/quaderni/num12/art18-12.htm

    www.tipicalia.com

    www.apicoltura2000.it

    www.cittadelmiele.it