La Questione Tibetana

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www.humanrightsyouthorganization.net Ricerca a cura di Vincenzo Scaglione Vicepresidente della H.R.Y.O. – Human Rights Youth Organization © Copyrights 2009 Tutti i diritti riservati Human Rights Youth Organization Fonte: www.wikipedia.org 1 La questione tibetana. La questione tibetana è, a livello umanitario, una delle emergenze più gravi e meno trattare al mondo. I rapporti politici e soprattutto economici che il governo cinese ha intessuto ed intesse con i paesi industrializzati dell’occidente consento al governo cinese stesso di perpetrare impunemente, nei confronti delle minoranze linguistiche e razziali, una politica di repressione e terrore. Non sono solo, infatti, i tibetani che subiscono violenze e vessazioni considerevoli, ma anche diversi altri popoli “liberati” dal partito comunista cinese dagli “imperialisti”. Mongoli e Uiguri hanno subito una sorte molto simile a quella dei tibetani; tragedie dimenticate di popoli troppo, numericamente e militarmente, inferiori alla supremazia degli Han. Il Tibet è l’ultima delle grandi zone limitrofe alla Cina ad essere stata “conquistata” dai cinesi. La Cina ha sempre avuto mire egemoniche sul Tibet fin da tempi molto antichi. Il nome cinese per indicare il Tibet è Xizang, “paese del tesoro occidentale” e questo e questo è molto indicativo di quanto, prima gli imperatori e poi il partito comunista cinese, tenessero al Tibet. La storia del Tibet e del suo popolo è complessa e tortuosa. Si passa da periodi di piccoli regni regionali di stampo prettamente feudale a monarchie guerriere che conquistarono tutta l’Asia centrale, alle dominazioni di vari Khan mongoli, al potere temporale detenuto dai Dalai Lama sino all’occupazione cinese. Ci concentreremo sull’ ultima parte della storia del Paese delle nevi che è quella che maggiormente ci interessa. Nell’ ottobre del 1949 i comunisti di Mao Zedong giunsero al potere in Cina; un anno

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Dossier sulla questione tibetana.

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La questione tibetana.

La questione tibetana è, a livello umanitario, una delle emergenze più gravi e meno trattare al mondo. I rapporti politici e soprattutto economici che il governo cinese ha intessuto ed intesse con i paesi industrializzati dell’occidente consento al governo cinese stesso di perpetrare impunemente, nei confronti delle minoranze linguistiche e razziali, una politica di repressione e terrore. Non sono solo, infatti, i tibetani che subiscono violenze e vessazioni considerevoli, ma anche diversi altri popoli “liberati” dal partito comunista cinese dagli “imperialisti”. Mongoli e Uiguri hanno subito una sorte molto simile a quella dei tibetani; tragedie dimenticate di popoli troppo, numericamente e militarmente, inferiori alla supremazia degli Han. Il Tibet è l’ultima delle grandi zone limitrofe alla Cina ad essere stata “conquistata” dai cinesi. La Cina ha sempre avuto mire egemoniche sul Tibet fin da tempi molto antichi. Il nome cinese per indicare il Tibet è Xizang, “paese del tesoro occidentale” e questo e questo è molto indicativo di quanto, prima gli imperatori e poi il partito comunista cinese, tenessero al Tibet. La storia del Tibet e del suo popolo è complessa e tortuosa. Si passa da periodi di piccoli regni regionali di stampo prettamente feudale a monarchie guerriere che conquistarono tutta l’Asia centrale, alle dominazioni di vari Khan mongoli, al potere temporale detenuto dai Dalai Lama sino all’occupazione cinese. Ci concentreremo sull’ ultima parte della storia del Paese delle nevi che è quella che maggiormente ci interessa. Nell’ ottobre del 1949 i comunisti di Mao Zedong giunsero al potere in Cina; un anno

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dopo l’esercito di liberazione popolare entra nella zona del Chamdo, invadendo di fatto il Tibet. Il pretesto era che il Tibet potesse essere conquistato dagli imperialisti occidentali che lo avrebbero depredato delle sue ricchezze togliendo ai tibetani la libertà. Dopo un primo periodo di relativa pacifica convivenza, negli anni settanta la rivoluzione culturale voluta da Mao Zedong devastò il patrimonio culturale e religioso dell’intero Tibet. Migliaia di monasteri furono fatti saltare in aria con la dinamite, violenze indicibili furono attuate su monaci e monache e sull’intera popolazione civile. Secondo stime approssimative il numero delle vittime è di circa 1.200.000 morti ammazzati. E’ innegabile che da un punto di vista del progresso materiale i cinesi hanno fatto molto, ma il prezzo pagato dai tibetani è troppo alto. Il loro capo spirituale e temporale, Sua Santità il Dalai Lama, è stato costretto a fuggire in India, nel 1959, per salvarsi la vita e dare una speranza al suo popolo. Circa 130.000 tibetani lo hanno seguito, molti altri non sono sopravvissuti al viaggio, allo sbalzo climatico, alle malattie ed ai cecchini cinesi. Lo stesso Dalai Lama ha più volte denunciato il “tentativo di genocidio culturale” che i cinesi hanno attuato in Tibet. Oggi i tibetani sono stranieri nel loro paese, il governo di Pechino ha trasferito sull’altipiano tibetano circa sette milioni di cinesi Han, un milione in più rispetto gli stessi tibetani. È proibito ai tibetani di avere più di un figlio a famiglia, tenere immagini di Sua Santità il Dalai Lama, cantare canzoni popolari, contestare apertamente il regime. Le donne tibetane subiscono, in alcuni casi, sterilizzazioni forzate; nelle scuole non si insegna il tibetano ma solo il cinese Han; nei monasteri sono presenti agenti del governo

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camuffati da monaci per poter bloccare eventuali sommosse dei monaci. Benché il Dalai Lama abbia più volte cercato di intavolare un dialogo con le autorità cinesi, dichiarando di non puntare più all’indipendenza ma all’autonomia del Tibet, il regime cinese ha sistematicamente bocciato tutte le proposte del leader tibetano. Più volte molti governi non hanno rilasciato il visto d’ingresso al leader tibetano proprio per non infastidire Pechino che minaccia di interrompere i vantaggiosi accordi economici stipulati con molti paesi. In altri casi al Dalai Lama è stato sì rilasciato il visto ma, in fine, non è stato ricevuto dalla classe politica dei paesi in cui si è recato.