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Osservatorio sul codice del processo amministrativo Massime al 30 settembre 2011 Principi e rapporti con il c.p.c. TAR Piemonte, Torino, Sez. II, 29 ottobre 2010, n. 3939 Sull’efficacia temporale delle norme processuali Principi e rapporti con il c.p.c. In difetto di specifiche norme transitorie, le nuove norme introdotte dal codice del processo amministrativo sono immediatamente applicabili ai giudizi in corso (salve, ovviamente, le situazioni già consolidatesi alla data di entrata in vigore delle norme stesse). Gabriella Crepaldi TAR Puglia, Bari, Sez. III, 10 novembre 2010, n. 3873 Sui limiti dell’integrazione postuma della motivazione alla luce del principio del giusto processo e del principio di effettività Principi e rapporti con il c.p.c. - effettività Il sistema processuale amministrativo – a differenza di quanto inizialmente contenuto nella bozza elaborata dalla Commissione mista di cui all’art. 44, comma 4, della legge delega n. 69/2009 – ribadisce la centralità dell’azione demolitoria di provvedimenti illegittimi tra le azioni proponibili, e in cui i richiamati principi di “parità delle parti e giusto processo” (art. 2 c.p.a.) e di pienezza della tutela secondo il “diritto europeo” (art. 1 c.p.a.) convergono nella centralità della motivazione quale presidio del diritto costituzionale di difesa (vedi art. 41 della Carta di Nizza, richiamata dall’art. 6 del Trattato UE, nel testo modificato dal Trattato di Lisbona ratificato con legge 130/2008 ed entrato in vigore il 1 dicembre 2009). Ombretta Apperti TAR Piemonte, Torino, Sez. I, 19 novembre 2010, n. 4160 Sul principio di sinteticità degli atti Principi e rapporti con il c.p.c. Contrasta con il canone della sinteticità degli atti prescritto dagli artt. 3, comma 2, e 120, comma 10, c.p.a., il deposito di memorie difensive di notevoli dimensioni (nel caso di specie 63 pagine) 1

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Osservatorio sul codice del processo amministrativo

Massime al 30 settembre 2011

Principi e rapporti con il c.p.c.

TAR Piemonte, Torino, Sez. II, 29 ottobre 2010, n. 3939

Sull’efficacia temporale delle norme processuali

Principi e rapporti con il c.p.c.

In difetto di specifiche norme transitorie, le nuove norme introdotte dal codice del processo amministrativo sono immediatamente applicabili ai giudizi in corso (salve, ovviamente, le situazioni già consolidatesi alla data di entrata in vigore delle norme stesse).

Gabriella Crepaldi

TAR Puglia, Bari, Sez. III, 10 novembre 2010, n. 3873

Sui limiti dell’integrazione postuma della motivazione alla luce del principio del giusto processo e del principio di effettività

Principi e rapporti con il c.p.c. - effettività

Il sistema processuale amministrativo – a differenza di quanto inizialmente contenuto nella bozza elaborata dalla Commissione mista di cui all’art. 44, comma 4, della legge delega n. 69/2009 – ribadisce la centralità dell’azione demolitoria di provvedimenti illegittimi tra le azioni proponibili, e in cui i richiamati principi di “parità delle parti e giusto processo” (art. 2 c.p.a.) e di pienezza della tutela secondo il “diritto europeo” (art. 1 c.p.a.) convergono nella centralità della motivazione quale presidio del diritto costituzionale di difesa (vedi art. 41 della Carta di Nizza, richiamata dall’art. 6 del Trattato UE, nel testo modificato dal Trattato di Lisbona ratificato con legge 130/2008 ed entrato in vigore il 1 dicembre 2009).

Ombretta Apperti

TAR Piemonte, Torino, Sez. I, 19 novembre 2010, n. 4160

Sul principio di sinteticità degli atti

Principi e rapporti con il c.p.c.

Contrasta con il canone della sinteticità degli atti prescritto dagli artt. 3, comma 2, e 120, comma 10, c.p.a., il deposito di memorie difensive di notevoli dimensioni (nel caso di specie 63 pagine)

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laddove ciò non appaia imposto dalle esigenze di una difesa tecnicamente adeguata. Ciò giustifica la compensazione delle spese.

Gabriella Crepaldi

TAR Lazio, Roma, Sez. I, 2 dicembre 2010, n. 35020

Sul giudizio di accesso ai documenti anche in pendenza di un giudizio civile in cui l’ostensione dei documenti richiesti potrebbe avvenire mediante ordine istruttorio ex art. 210 c.p.c. o mediante richiesta di informazioni ex art. 213 c.p.c.

Principi e rapporti con il c.p.c. - effettività

Non vi è alcuna preclusione alla instaurazione del giudizio sull’accesso ai documenti, per la pendenza di un giudizio civile, nella cui sede l’ostensione degli stessi documenti potrebbe essere disposta dal giudice ordinario mediante ordine istruttorio ex art. 210 c.p.c. oppure mediante richiesta di informazioni ex art. 213 c.p.c., stante l’autonomia della posizione sostanziale tutelata con gli articoli 22 e seguenti della legge n. 241/1990 rispetto alla posizione che l’interessato intende difendere con altro giudizio e della relativa azione posta dall’ordinamento a tutela del diritto di accesso, laddove, diversamente opinando, ciò si tradurrebbe in una illegittima limitazione del diritto di difesa delle parti, con conseguente lesione del principio dell’effettività della tutela giurisdizionale, pure espressamente richiamato all’art. 1 del codice del processo amministrativo di cui al d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104.

Ombretta Apperti

TAR Puglia, Bari, Sez. II, 17 dicembre 2010, n. 4242

Sull’azione di accertamento atipica ed il principio di effettività della tutela giurisdizionale

Principi e rapporti con il c.p.c. - effettività

L’entrata in vigore del codice del processo amministrativo, che all’art. 1 espressamente sancisce il principio in virtù del quale il giudizio amministrativo assicura una tutela piena ed effettiva secondo i principi della Costituzione e del diritto europeo, non può evidentemente comportare una dimidiazione ed un arretramento della tutela giurisdizionale del singolo rispetto alle acquisizioni della precedente giurisprudenza amministrativa con riferimento alla ammissibilità dell’azione di accertamento atipica nell’ambito del processo amministrativo e rispetto agli stessi criteri direttivi contenuti nella legge delega n. 69/2009. Peraltro più disposizioni del codice del processo amministrativo depongono nel senso del superamento del tradizionale principio di tipicità delle azioni nel processo amministrativo e nella direzione della affermazione dell’opposto principio di atipicità delle azioni medesime. Dovendosi interpretare il sistema del codice del processo amministrativo in un’ottica costituzionalmente orientata in linea con il combinato disposto di cui agli artt. 3 e 24 Cost. si deve ritenere ammissibile l’azione generale di accertamento a tutela degli interessi legittimi nel nuovo processo amministrativo.

Ombretta Apperti

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Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 2 dicembre 2010, n. 3

Sul principio di effettività della tutela giurisdizionale e l’interpretazione delle norme processuali

Principi e rapporti con il c.p.c. - effettività

Pur nella consapevolezza che il principio di effettività della tutela giurisdizionale (ora solennemente sancito dall’art. 1, c.p.a.) possa talora giustificare – al fine di una migliore tutela delle posizioni soggettive dedotte in giudizio e in ossequio all’immanente esigenza di interpretare la legge in conformità alla Costituzione – alcune esegesi “ortopediche” del dato positivo, improntate al favor per le esigenze di difesa delle parti, nondimeno la necessità di una interpretazione strettamente attinente al testo delle norme rimane un dovere ineludibile ogniqualvolta il giudice sia chiamato ad applicare una disciplina che non si presenti ambigua o lacunosa; non residuano, pertanto, spazi per l’intervento del principio di effettività in funzione correttiva là dove il precetto recato da una disposizione processuale sia chiaro e finanche presidiato da una sanzione di decadenza.

Ombretta Apperti

Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 2 dicembre 2010, n. 3

Sull’applicazione dell’istituto dell’errore scusabile. Il limite del principio di parità delle parti nell’interpretazione dell’art. 37 c.p.a.

Principi e rapporti con il c.p.c.

L’art. 37 – che disciplina l’istituto dell’errore scusabile – è una norma di stretta interpretazione. Ed infatti, un uso eccessivamente ampio della discrezionalità giudiziaria che essa presuppone, lungi dal rafforzare l’effettività della tutela giurisdizionale, potrebbe alla fine risolversi in un grave vulnus del pariordinato principio di parità delle parti (art. 2, comma 1, del codice del processo amministrativo), sul versante del rispetto dei termini perentori stabiliti dalla legge processuale.

Ombretta Apperti

Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 9 marzo 2011, n. 2 (ordinanza)

Sul conflitto di competenza

Principi e rapporti con il c.p.c. - rinvio al c.p.c.

La fattispecie considerata dalla norma speciale di cui all’art. 10, comma 5, del d.lgs. n. 373/2003 non può essere assimilata – e limitata – al conflitto di competenza così rubricato all’art. 45 c.p.c. Questa norma si limita a disciplinare su richiesta di ufficio del giudice l’ipotesi del solo conflitto negativo virtuale, nel senso che è diretta ad evitare e reprimere il conflitto negativo reale; non contempla invece, oltreché la fattispecie del conflitto positivo attuale o virtuale, quella del conflitto potenziale. Pertanto, il rinvio esterno alle disposizioni del codice di procedura civile, effettuato

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dall’art. 39 c.p.a., non giova alla risoluzione del caso in cui venga assunta la competenza inderogabile del giudice di primo grado e la violazione del doppio grado di giudizio per avvenuta impugnazione diretta (per saltum) avanti al C.G.A. per la Sicilia del decreto del Ministero dell’Università e della Ricerca n. 2 del 3 gennaio 2011, sostenendo la competenza territoriale del TAR Lazio a conoscere dell’impugnazione.

Ombretta Apperti

TAR Piemonte, Sez. I, 11 febbraio 2011, n. 153

Sulla cancellazione di frasi sconvenienti ed offensive

Principi e rapporti con il c.p.c. - rinvio al c.p.c.

L’art. 89 c.p.c., sulla cancellazione delle frasi sconvenienti e offensive contenute negli scritti delle parti, in quanto espressione di un principio generale, ha sempre trovato potenziale applicazione nel processo amministrativo e ciò vale a maggior ragione in forza del rinvio esterno oggi operato dall’art. 39, comma 1, c.p.a.

Gabriella Crepaldi

TAR Lombardia, Milano, Sez. III, 6 aprile 2011, n. 904

Sull’ammissibilità dell’interrogatorio libero delle parti nel processo amministrativo alla luce del principio di parità delle parti

Principi e rapporti con il c.p.c. - rinvio al c.p.c.

Il rinvio al codice di procedura civile deve ritenersi indirizzato anche all’interrogatorio libero delle parti. La sua ammissibilità, oltre a non essere preclusa dal carattere formale dell’attività amministrativa procedimentale, come si desume dall’ammissibilità della testimonianza scritta e dalla possibilità del giudice di desumere argomenti di prova anche dal comportamento delle parti nel corso del processo (art. 64, comma 4, c.p.a.), si impone: sia in considerazione della pari dignità delle situazioni giuridiche soggettive coinvolte che impone di evitare disparità di tutela sul terreno probatorio tra la sede giurisdizionale ordinaria e quella amministrativa; sia in ossequio al principio di parità delle parti (art. 2 c.p.a.), concretizzando la facoltà della parte privata di formulare chiarimenti (non a caso l’art. 63, comma 1, c.p.a., riferisce il potere del giudice di chiedere chiarimenti “alle parti”). Neppure può valere l’obiezione secondo cui l’interrogatorio libero non è un mezzo di prova vero e proprio (cosicché non sarebbe ricompreso nel predetto rinvio al codice di procedura civile), dal momento che l’espressione stessa utilizzata dal codice del processo amministrativo è imprecisa, sol che si osservi che i mezzi di prova sono definiti (ad eccezione dell’ispezione) dal codice civile, limitandosi il codice di rito alla disciplina dei procedimenti di produzione ed assunzione delle prove nel processo.

Ombretta Apperti

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TAR Campania, Napoli, Sez. V, 17 maggio 2011, n. 2661

Sulla necessità di impugnare l’approvazione della graduatoria finale alla luce del principio del contraddittorio

Principi e rapporti con il c.p.c. - contraddittorio

Dall’adozione dell’atto di approvazione della graduatoria discende l’attribuzione di un beneficio in favore di soggetti estranei al giudizio i quali potrebbero subire un pregiudizio in caso di accoglimento del ricorso con evidente lesione del principio del contraddittorio (la cui rilevanza, già costituzionalmente evidenziata, risulta vieppiù esaltata nel nuovo sistema codicistico del processo amministrativo: artt. 2 e 73, ult. comma, c.p.a.). Tali considerazioni conducono a ritenere necessaria l’impugnazione in corso di causa dell’atto di approvazione della graduatoria finale, con notificazione ai soggetti controinteressati quando l’originario ricorso era rivolto soltanto al bando o all’esclusione dal concorso.

Ombretta Apperti

Consiglio di Stato, Sez. V, 27 maggio 2011, n. 3191

Sul principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato ed il vizio di ultrapetizione nel processo amministrativo

Principi e rapporti con il c.p.c. - rinvio al c.p.c.

L’ultrapetizione è annoverata quale possibile vizio delle pronuncia giudiziale in tutti i sistemi processuali contraddistinti dall’osservanza del principio fondamentale (contenuto nel citato art. 112 c.p.c.) della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato; principio al quale si conforma anche il processo amministrativo, stante, in particolare il richiamo oggi contenuto nell’art. 39 c.p.a. Tale norma, infatti, determina le caratteristiche di fondo della giurisdizione amministrativa quale giurisdizione soggettiva e non oggettiva, caratteristiche che, proprio in conformità al principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, implicano che la materia del contendere resti rigorosamente delimitata alla stregua delle censure proposte dal ricorrente, salve le eventuali eccezioni in specifico indicate dal legislatore.

Ombretta Apperti

Consiglio di Stato, Sez. V, 31 maggio 2011, n. 3252

Sull’individuazione e sui criteri di computo dei termini del processo amministrativo

Principi e rapporti con il c.p.c. - rinvio al c.p.c.

In ordine all’individuazione dei termini del processo amministrativo ed ai criteri di computo degli stessi, in virtù del rinvio operato dall'art. 39, comma 1, c.p.a., trova applicazione la disciplina dettata dal codice di procedura civile salve le deroghe tipizzate dal codice del processo amministrativo. In particolare, nel caso in cui il giorno di scadenza sia festivo, la proroga di diritto

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al primo giorno seguente non festivo opera non solo per i termini legali, ma anche per quelli fissati dal giudice (art. 52, comma 3, d.lgs. n. 104/2010); qualora i termini si computino a ritroso, come per i giorni liberi prima dell’udienza, la scadenza viene anticipata al giorno antecedente non festivo (art. 52, comma 4, d.lgs. n. 104/2010). Nel caso in cui la legge indica il termine riferendosi ad un certo numero di giorni liberi, il suddetto numero di giorni esclude tanto il dies a quo quanto il dies ad quem. Il sabato è stato equiparato ai festivi, in virtù della novella di cui all’art. 2, comma 11, della legge n. 263/2005, in vigore dal 1° marzo 2006; l’equiparazione opera però al solo fine del compimento degli atti processuali svolti fuori dell’udienza che scadono di sabato, onde consentire agli avvocati di procedere ai relativi adempimenti, concernenti i termini di notifica e deposito che scadono di sabato, il successivo lunedì; a tutti gli altri effetti il sabato è considerato giorno lavorativo, anche per quanto attiene alle attività di ufficiali giudiziari e di addetti agli uffici ricorsi, come dispone espressamente l’art. 155 c.p.c.

I termini per il deposito di memorie e di documenti prima dell’udienza di merito hanno carattere perentorio, essendo previsti a garanzia del contraddittorio e della corretta organizzazione del lavoro del giudice atteso che il codice del processo amministrativo prevede che la presentazione tardiva di memorie o documenti può essere eccezionalmente autorizzata dal collegio, su richiesta di parte, quando la produzione nel termine di legge risulta estremamente difficile. In ogni caso va assicurato il pieno rispetto del diritto delle controparti al contraddittorio sugli atti tardivamente depositati (art. 54, comma 1, c.p.a.).

Pietro Falletta

Giurisdizione

TAR Piemonte, Torino, Sez. II, 29 ottobre 2010, n. 3936

Sulla giurisdizione in materia di servizi pubblici

Giurisdizione - riparto di giurisdizione

L’art. 133, comma 1, lett. c), del codice del processo amministrativo è una disposizione normativa omologa a quella abrogata ex art. 33 del d.lgs. 80/1998, cui si devono associare, necessariamente, i medesimi contenuti normativi, con la conseguenza che saranno da espungersi dal novero delle controversie ricadenti nella giurisdizione esclusiva del G.A. quelle concernenti i servizi pubblici, di qualsiasi specie, afferenti a rapporti individuali di utenza, concernenti, cioè, il singolo rapporto di fornitura del servizio tra gestore e privato cittadino utente.

Gabriella Crepaldi

TAR Piemonte, Torino, Sez. II, 29 novembre 2010, n. 4220

Sulla giurisdizione in materia di pubblico impiego

Giurisdizione - riparto di giurisdizione

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La controversia riguardante la trasformazione del rapporto di lavoro da tempo parziale a tempo pieno riguarda la fase esecutiva del rapporto di lavoro, in cui vengono in rilievo situazioni giuridiche aventi consistenza di diritto soggettivo, rientranti ratione materiae nella giurisdizione del giudice ordinario.

Gabriella Crepaldi

TAR Piemonte, Torino, Sez. II, 22 gennaio 2011, n. 84

Sulla giurisdizione in materia di pubblico impiego

Giurisdizione - riparto di giurisdizione

La controversia riguardante l’esclusione dalla procedura di “stabilizzazione” per il personale pubblico ai sensi della legge n. 296/2006 e la richiesta di condanna dell’ente alla stipula di contratti individuali a tempo indeterminato, attiene al diritto all’assunzione di cui all’art. 63, comma 1, del d.lgs. n. 165/2001, rientrante ratione materiae nella giurisdizione del giudice ordinario. Il ricorso è inammissibile per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo ai sensi degli artt. 9 e 35, comma 1, lett. b), del codice del processo amministrativo, approvato con d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104.

Gabriella Crepaldi

TAR Piemonte, Torino, Sez. II, 22 gennaio 2011, n. 86

Sulla giurisdizione in materia servizi pubblici

Giurisdizione - riparto di giurisdizione

I contratti di servizio, in quanto non negozi di diritto privato, ma cd. contratti ad oggetto pubblico e, in particolare, ricadenti nella categoria degli accordi sostitutivi di provvedimento, cioè sostitutivi del provvedimento concessorio precedentemente sussistente e regolante i rapporti tra gestore e Amministrazione, consentono l’operare della giurisdizione esclusiva del G.A. ai sensi dell’art. 11 della legge 241/1990 e, oggi, art. 1, comma 1, lett. a), n. 1 del d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104 (cd. codice del processo amministrativo).

Gabriella Crepaldi

TAR Friuli Venezia Giulia, Trieste, Sez. I, 26 gennaio 2011, n. 208

Sull’autovincolo al rispetto delle regole dell’evidenza pubblica e riparto di giurisdizione

Giurisdizione - riparto di giurisdizione

La giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo con riguardo alle controversie relative alle procedure di affidamento di pubblici lavori, servizi e forniture presuppone necessariamente l’accertamento della sussistenza, in capo alla stazione appaltante, dell’obbligo giuridico di

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applicare, nella scelta del contraente o del socio, la normativa comunitaria o di rispettare i procedimenti di evidenza pubblica previsti dalla normativa statale o regionale.

La circostanza che un soggetto privato o un soggetto operante esclusivamente secondo le norme del diritto privato, in assenza di qualsivoglia referente normativo, decida spontaneamente di legarsi a cadenze procedimentali mutuate dalle regole dell’evidenza pubblica non è in grado di “spostare” la giurisdizione dal giudice ordinario al giudice amministrativo, in quanto altrimenti ciò renderebbe di fatto la stessa stazione appaltante arbitra di decidere, in prospettiva, la giurisdizione che preferisce.

La scelta della procedimentalizzazione, frutto di una autonoma e consentita scelta negoziale, non è giuridicamente idonea ad interferire sull’inderogabile regime del riparto, che si presenta del tutto insensibile a un eventuale “autovincolo” nei termini sopra precisati.

Gabriella De Stefano

TAR Piemonte, Torino, Sez. II, 25 febbraio 2011, n. 202

Sulla giurisdizione in tema di edilizia residenziale pubblica

Giurisdizione - riparto di giurisdizione

La controversia riguardante la legittimità del provvedimento di decadenza dall’assegnazione di un alloggio di edilizia residenziale pubblica rientra nella giurisdizione del giudice amministrativo, ai sensi dell’art. 5 della legge n. 1034 del 6 dicembre 1971 (e, oggi, dell’art. 133, comma 1, lett. b), d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104, cd. codice del processo amministrativo), in quanto sono attribuite al predetto giudice, in via generale, tutte le controversie relative a provvedimenti incidenti sul rapporto concessorio di alloggi di edilizia residenziale pubblica, anche se involgenti diritti soggettivi, salvo i casi espressamente indicati (indennità, canoni ed atti corrispettivi).

Gabriella Crepaldi

Cassazione civile, Sez. Unite, 23 marzo 2011, n. 6594 (ordinanza)

Sulla giurisdizione in materia di risarcimento del danno subito da un privato per l’affidamento ingenerato da un provvedimento amministrativo favorevole poi annullato

Giurisdizione - riparto di giurisdizione

L’attrazione della tutela risarcitoria nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo può verificarsi esclusivamente qualora il danno patito dal soggetto che ha impugnato l’atto sia conseguenza immediata e diretta della illegittimità dell’atto impugnato. Il risarcimento del danno ingiusto, infatti, non costituisce una materia di giurisdizione esclusiva, bensì uno strumento di tutela ulteriore e di completamento rispetto a quello demolitorio.

Spetta al giudice ordinario la giurisdizione sulla controversia nella quale il beneficiario di una concessione edilizia illegittima, annullata d’ufficio o su ricorso di altro soggetto, chieda il

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risarcimento del danno subito per avere confidato nella apparente legittimità della stessa. Tale controversia, infatti, ha ad oggetto la violazione da parte dell’Amministrazione del principio del “neminem laedere”, ossia di quei doveri comportamentali il cui contenuto prescinde dalla natura pubblicistica o privatistica del soggetto che ne è responsabile e che anche l’Amministrazione, come qualsiasi soggetto privato, è tenuta a rispettare.

Margherita Mazzoncini

Cassazione civile, Sez. Unite, 23 marzo 2011, n. 6596 (ordinanza)

Sulla giurisdizione in materia di risarcimento del danno subito da un privato per l’affidamento ingenerato da un provvedimento amministrativo favorevole poi annullato

Giurisdizione - riparto di giurisdizione

Rientra nella giurisdizione del giudice ordinario la controversia relativa alla domanda autonoma di risarcimento del danno proposta da colui il quale, essendo risultato aggiudicatario in una gara per l’affidamento di un pubblico servizio, successivamente annullata dal TAR su ricorso di un altro concorrente in quanto illegittima, lamenti la lesione dell’affidamento causato dal provvedimento di aggiudicazione apparentemente legittimo. Tale controversia, infatti, non ha ad oggetto l’accertamento dell’illegittimità dell’aggiudicazione, bensì l’accertamento della colpa dell’Amministrazione consistita nell’aver portato il soggetto aggiudicatario a sostenere spese nel ragionevole convincimento della prosecuzione del rapporto fino alla scadenza del termine previsto dal contratto stipulato all’esito della gara.

Margherita Mazzoncini

Corte d’Appello di Roma, Sez. I Civile, 15 aprile 2011

Sulla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo nelle controversie aventi ad oggetto provvedimenti sanzionatori, adottati dalla Banca d’Italia ed altre Autorità, ai sensi dell’articolo 133 c.p.a.

Giurisdizione - giurisdizione di legittimità, esclusiva e di merito

L’articolo 133, comma 1, lett. l), c.p.a. – che prevede la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo sulle controversie aventi ad oggetto “tutti i provvedimenti, compresi quelli sanzionatori ed esclusi quelli inerenti ai rapporti di lavoro privatizzati” adottati dalla Banca d’Italia e dalle altre Autorità menzionate dalla disposizione – si applica ai procedimenti introdotti successivamente al 16 settembre 2011.

In tali ipotesi, il giudice ordinario – nel caso di specie, la Corte d’Appello adita in sede di opposizione ex art. 145 T.u.b. – è carente di giurisdizione. Non rileva, infatti, ai fini dell’applicazione della nuova legge processuale, la disposizione transitoria prevista dall’articolo 2 dell’allegato 3 del c.p.a., secondo cui “per i termini che sono in corso alla data in vigore del codice continuano a trovare applicazione le norme previgenti”. Tale disposizione va riferita esclusivamente ai termini endoprocessuali – relativi cioè a giudizi già incardinati e pendenti all’epoca di entrata in

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vigore della modifica – anche in considerazione del principio generale secondo cui la legge processuale si applica in relazione al tempo in cui il giudizio viene instaurato, divenendo così pendente (notificazione della citazione o deposito del ricorso).

Chiara Di Seri

Consiglio di Stato, Sez. IV, 12 maggio 2011, n. 2857

Sulla questione di giurisdizione sollevata con semplice memoria

Giurisdizione - riparto di giurisdizione

E’ condivisibile il recente orientamento secondo cui deve essere comunque esaminata la questione di giurisdizione sollevata con semplice memoria, pur nel vigore dell’art. 9 c.p.a. (il quale oggi impedisce al giudice d’appello di rilevare il difetto di giurisdizione in assenza di uno specifico motivo di impugnazione proposto dalle parti), qualora l’eccezione stessa sia stata formulata anteriormente all’entrata in vigore del codice del processo amministrativo (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 15 dicembre 2010, n. 8925).

Emanuela Russiani

TAR Liguria, Genova, Sez. I, 23 maggio 2011, n. 811

Sull’occupazione abusiva di suolo demaniale marittimo - difetto di giurisdizione del giudice amministrativo

Giurisdizione - riparto di giurisdizione

I provvedimenti con cui l’Amministrazione, sul presupposto di occupazione abusiva di suolo demaniale, ingiunge il pagamento delle somme dovute, attengono esclusivamente a questioni di diritto soggettivo, che postulano accertamenti di fatto inerenti il rapporto tra proprietà pubblica e proprietà privata, e inerenti l’esatta applicazione dei criteri di calcolo alla situazione concreta, privi di apprezzamenti discrezionali. Pertanto, rientrano nella giurisdizione ordinaria sia la domanda di restituzione, che quella di risarcimento del danno per l’occupazione abusiva (Cass., SS.UU., 31 luglio 2008, n. 20749).

Emanuela Russiani

Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 3 giugno 2011, n. 10

Atti unilaterali prodromici ad una vicenda societaria

Giurisdizione – riparto di giurisdizione

Sussiste la giurisdizione del giudice amministrativo sugli atti unilaterali prodromici ad una vicenda societaria, con cui un ente pubblico delibera di costituire una società, o di parteciparvi, o

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di procedere ad un atto modificativo o estintivo della società medesima trattandosi di una scelta organizzativa afferente al perseguimento dell'interesse pubblico, che si esercita mediante un atto di natura pubblicistica.

Invero, la scelta, da parte di un ente pubblico, di costituire o partecipare ad una società, è considerata una scelta organizzativa discrezionale, che differisce logicamente e cronologicamente rispetto al negozio societario che costituisce attuazione di tale scelta, e che radica una diversa giurisdizione rispetto a quella prevista per il negozio societario.

Allorquando un ente pubblico decide di costituire una società con la forma del partenariato pubblico-privato, la scelta del socio privato è considerata dall’ordinamento una vicenda pubblicistica, tanto che tale scelta deve avvenire con procedura di evidenza pubblica, procedura soggetta alla giurisdizione amministrativa esclusiva.

Emanuela Russiani

Cassazione Civile, Sez. Unite, 7 luglio 2011, n. 14960

Sull’operatività dell’art. 10 c.p.a.

Giurisdizione - regolamento preventivo

Ai sensi dell’art. 10 c.p.a., nel processo amministrativo il regolamento preventivo di giurisdizione può essere chiesto, stante il rinvio all’art. 41 c.p.c., solo in primo grado e fino a che la causa non sia decisa nel merito. La regola opera anche se la sentenza sia limitata alla giurisdizione: in tal caso, infatti, la questione deve essere oggetto di uno specifico motivo di impugnazione, avanti al giudice di grado superiore (S.U. n. 26296 del 2008). A seguito della codificazione del principio della translatio iudicii (art. 59, legge n. 69/2009), è inammissibile il ricorso ex art. 41 c.p.c. dopo la riassunzione della causa avanti al giudice a cui favore è stata declinata la giurisdizione (S.U. n. 2716 del 2010). Non si tratta infatti di un nuovo giudizio, ma della prosecuzione di quello originario (S.U. n. 23596 del 2010) in cui è stata già emessa una pronuncia di merito; di conseguenza, è in quella sede che avrebbe dovuto essere chiesta la decisione preventiva sulla giurisdizione.

Annalisa Giusti

TAR Piemonte, Torino, Sez. I, 16 giugno 2011, n. 569

Sulla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo nelle controversie relative alla misura del compenso revisionale nei contratti pubblici

Giurisdizione - giurisdizione di legittimità, esclusiva e di merito

Alla luce dell’art. 133, comma 1, lett. e), n. 2, c.p.a., l’ambito della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia di adeguamento/revisione dei prezzi ha assunto una portata ampia e generale, tale da includere incontestabilmente anche le controversie riguardanti la misura del compenso revisionale rivendicato dall’impresa.

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Gabriella Crepaldi

Consiglio di Stato, Sez. V, 24 giugno 2011, n. 3814

Richiesta risarcitoria attinente comportamenti di concorrenza sleale - difetto di giurisdizione

Giurisdizione – riparto di giurisdizione

La giurisdizione del giudice si determina in base alla domanda e, ai fini del suo riparto tra giudice ordinario e amministrativo, rileva non già la prospettazione delle parti, bensì il c.d. “petitum” sostanziale, il quale va identificato non solo e non tanto in funzione della concreta statuizione che si chiede al giudice, ma anche e soprattutto in funzione della “causa petendi”, ossia della intrinseca natura della posizione soggettiva dedotta in giudizio ed individuata dal giudice stesso con riguardo ai fatti indicati a sostegno della pretesa avanzata nel giudizio.

La controversia rientra nella giurisdizione del giudice amministrativo se, nell’ambito del “petitum” sostanziale del ricorso, sia richiesto per la risoluzione della controversia un sindacato sui poteri esercitati dalla P.A. nell’ambito del rapporto di cui si verte, precluso al giudice ordinario.

La materia dei pubblici servizi rientra nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo quando la Pubblica Amministrazione agisca esercitando il suo potere autoritativo, ma, attesa la facoltà ad essa riconosciuta dalla legge di adottare strumenti negoziali in sostituzione di detto potere, non anche quando le pretese creditorie del privato ineriscano unicamente a diritti patrimoniali di derivazione strettamente convenzionale, essendo insufficiente il generico coinvolgimento, nella controversia, di un pubblico interesse per giustificare la giurisdizione del giudice amministrativo.

Ne consegue che deve riconoscersi la giurisdizione del giudice ordinario allorché si controverta, come nella fattispecie, in materia di dedotta concorrenza sleale tra privati ed una società mista partecipata dal Comune, cui erano stati affidati tutti i servizi funebri e cimiteriali per un periodo di trent’anni, servizi di natura libero imprenditoriale comportanti attività di carattere materiale e non già provvedimentale, né autoritativa.

Il giudizio sul risarcimento danni per concorrenza sleale posta in essere dalla società mista partecipata dal Comune non comporta, invero, accertamenti in ordine a poteri autoritativi dell’autorità amministrativa o della concessionaria esclusiva del servizio suddetto, attenendo a comportamenti lesivi nello svolgimento di un’attività esclusivamente privata, con la conseguenza che ogni questione sulla sussistenza delle situazioni giuridiche soggettive vantate dal preteso danneggiato, appartiene al giudice ordinario.

Gabriella De Stefano

Competenza

TAR Campania, Napoli, Sez. VII, 15 dicembre 2010, n. 27382

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Sulla competenza in materia di controversie di lavoro svolto nell’ambito dell’emergenza rifiuti

Competenza - competenza funzionale e inderogabile

Il criterio della sede di servizio, nelle controversie sui rapporti di lavoro dei pubblici dipendenti (nella fattispecie il trattamento economico di missione), resta salvo anche nelle ipotesi di servizi espletati nell’ambito dell’emergenza rifiuti. Le fattispecie di competenza funzionale sono ritenute di stretta interpretazione in quanto derogatorie degli ordinari criteri di attribuzione della competenza.

Mario Rossi Sanchini

Consiglio di Stato, Sez. VI, 28 gennaio 2011, n. 658

Sull’impugnazione di provvedimenti di vigilanza bancaria

Competenza - competenza territoriale e funzionale

Con riguardo ai provvedimenti di vigilanza bancaria, non è applicabile il criterio di individuazione della competenza territoriale previsto dal comma 1 dell’articolo 13 c.p.a.

Considerato che l’attività creditizia non è circoscrivibile al luogo in cui l’istituto bancario ha sede, in quanto per sua natura espletabile sull’intero territorio nazionale, la competenza a decidere sull’impugnazione dei provvedimenti amministrativi adottati nell’esercizio dei relativi poteri di vigilanza spetta inderogabilmente al TAR Lazio (sede Roma), ai sensi degli articoli 13, comma 3, e 135, comma 1, lett. c), c.p.a.

Qualora la controversia abbia ad oggetto più atti amministrativi, alcuni dei quali adottati dalla Banca d’Italia ed altri da organi diversi (nel caso di specie il decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze con il quale si dispone, su proposta della Banca d’Italia, l’amministrazione straordinaria ex art. 70 T.u.b.), è confermato l’orientamento secondo cui le disposizioni speciali sulla competenza previste per l’impugnazione di atti della Banca d’Italia prevalgono sulle regole di riparto territoriale ordinarie.

Chiara Di Seri

Consiglio di Stato, Sez. VI, 23 febbraio 2011, n. 1144

Sull’impugnazione di provvedimenti di vigilanza bancaria

Competenza - competenza territoriale e funzionale

Considerato il rinvio operato dall’art. 135, comma 1, lett. c), all’art. 133, comma 1, lett. l), c.p.a., rientrano nella competenza funzionale del TAR Lazio le controversie aventi ad oggetto tutti provvedimenti in materia di vigilanza bancaria (nel caso di specie il decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze con il quale si dispone, su proposta della Banca d’Italia, l’amministrazione straordinaria ex art. 70 T.u.b.).

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Non assume rilievo in senso contrario il riferimento, contenuto nel citato articolo 135, alle sole controversie di cui all’articolo 104, comma 2, T.u.b. Il rinvio a tale disposizione radica espressamente la competenza del TAR Lazio anche nel caso di procedure di crisi concernenti un gruppo bancario, senza, tuttavia, che da tale previsione specifica possa desumersi un diverso riparto della competenza territoriale nel caso in cui la procedura di crisi riguardi una impresa singola.

La competenza funzionale del TAR Lazio sussiste, inoltre, per il solo fatto che il ricorrente abbia manifestato la volontà di impugnare uno o più atti della Banca d’Italia, senza che rilevi «la maggiore o minore importanza che l’impugnazione assume nell’economia generale del ricorso, e cioè che si tratti di impugnazione a titolo subordinato, eventuale o tuzioristico, trattandosi di questione che, rientrando nella competenza del giudice di merito, non può essere neppure sommariamente delibata in sede di regolamento di competenza».

Chiara Di Seri

TAR Campania, Napoli, Sez. VII, 8 aprile 2011, n. 1994

Sulla competenza in materia di comunicazioni elettroniche

Competenza - competenza territoriale e funzionale

I provvedimenti ministeriali aventi ad oggetto l’assegnazione della numerazione delle frequenze per il servizio di radiodiffusione televisiva in tecnica digitale rientrano tra i provvedimenti ministeriali in materia di comunicazioni elettroniche per i quali sussiste, ai sensi del combinato disposto dell’art. 133, comma 1, lett. m), c.p.a. con l’art. 135 , comma 1, lett. d), c.p.a., la competenza funzionale e inderogabile del TAR Lazio (sede di Roma).

Francesca Mazzetti

TAR Piemonte, Torino, Sez. I, 14 maggio 2011, n. 485 (ordinanza)

Sulla competenza territoriale

Competenza - competenza territoriale e funzionale

L’impugnativa proposta avverso atti e provvedimenti di amministrazioni statali centrali aventi efficacia territorialmente non limitata risulta idonea a radicare la competenza territoriale del TAR Lazio (sede di Roma), ai sensi dell’art. 13, comma 3, c.p.a., e tale conclusione si impone anche qualora gli atti degli organi centrali dello Stato siano impugnati quali atti presupposti.

A seguito della entrata in vigore del nuovo codice del processo amministrativo, la competenza territoriale in primo grado è divenuta inderogabile, anche per quanto riguarda le misure cautelari.

Gabriella Crepaldi

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Consiglio di Stato, Sez. VI, 23 maggio 2011, n. 3061

Sull’inapplicabilità delle disposizioni del c.p.a. in materia di competenza ai ricorsi instaurati prima del 16 settembre 2010

Competenza

Le disposizioni sulla competenza del c.p.a. sono applicabili solo ai processi instaurati sotto la sua vigenza, e cioè a decorrere dalla data della sua entrata in vigore, dovendosi intendere “instaurati” i ricorsi per i quali a tale data sia intervenuta la prima notifica alle controparti con cui si realizza la “proposizione del ricorso”.

Nel caso di specie, poiché il ricorso e i relativi motivi aggiunti sono stati notificati prima del 16 settembre 2010, la competenza è individuata secondo il previgente art. 3, comma 3, della legge TAR. Pertanto, spetta al TAR Lazio la decisione sul ricorso promosso avverso un provvedimento destinato ad avere efficacia in un determinato ambito territoriale, laddove questo sia meramente applicativo di un provvedimento avente carattere generale ed efficacia su tutto il territorio nazionale.

Chiara Di Seri

Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, 13 luglio 2011, n. 12

Sulla competenza in materia di controversie concernenti i lavori di costruzione di un metanodotto

Competenza - competenza funzionale e inderogabile

La disciplina della competenza prevista nel c.p.a. si applica soltanto ai processi instaurati dopo l’entrata in vigore (16 settembre 2010). Il ricorso che ha dato origine al regolamento di competenza è stato instaurato prima (nel 2007), concerne l’annullamento di atti che riguardano l’esecuzione dei lavori di costruzione di un metanodotto (ricompreso nella rete nazionale dei gasdotti). Pertanto ricade nella previsione dell’art. 41 della legge 23 luglio 2009, n. 99, applicabile anche ai processi in corso (comma 5), che attribuisce la competenza al TAR Lazio, sede di Roma (comma 1). L’abrogazione dell’art. 41, a seguito dell’entrata in vigore del c.p.a. (art. 4, comma 1, punto 43), all. 4 al c.p.a.), non rileva perché la norma (abrogata) si applica alle controversie instaurate sotto la sua vigenza.

Mario Rossi Sanchini

TAR Calabria, Catanzaro, 26 agosto 2011, n. 1199 (ordinanza)

Sull’impugnazione di provvedimenti di vigilanza bancaria

Competenza - competenza territoriale e funzionale

Considerato il rinvio operato dall’art. 135, comma 1, lett. c), all’art. 133, comma 1, lett. l), c.p.a. , laddove il ricorrente impugni, tra gli altri, anche atti e provvedimenti adottati dalla Banca d’Italia presupposti o consequenziali rispetto al provvedimento ministeriale che ha disposto la

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liquidazione coatta amministrativa, si determina lo spostamento della competenza al TAR Lazio, sede di Roma, in quanto dotato di competenza funzionale inderogabile in ordine ai provvedimenti adottati dalla Banca medesima.

Chiara Di Seri

Azioni

TAR Lazio, Latina, Sez. I, 29 ottobre 2010, n. 1857

Risarcimento del danno ed esecuzione parziale del contratto di appalto

Azioni - condanna al risarcimento

Nel caso in cui, ai sensi dell’art. 122 c.p.a., sia possibile disporre il risarcimento in forma specifica mediante subentro nell’esecuzione del contratto già parzialmente eseguito, il ricorrente può ottenere il risarcimento del danno per equivalente in relazione alla sola quota di lavori già eseguiti.

Il risarcimento per equivalente riguarda il solo danno da mancata aggiudicazione e il cd. danno curriculare e va calcolato a partire dall’offerta formulata dalla ricorrente in sede di gara (ridotta della percentuale di lavori che saranno eseguiti), riconoscendo un importo complessivo pari al 10% dell’offerta così ricalcolata di cui il 9% a titolo di mancato guadagno e l’1% a titolo di danno curriculare.

Barbara Boschetti

TAR Piemonte, Torino, Sez. II, 29 ottobre 2010, n. 3939

Sulla condanna al pagamento di somme di denaro

Azioni - altri tipi di condanna

Lo strumento già previsto dall’art. 35, comma 2, del d.lgs. n. 80/1998, ed ora confluito nell’art. 34, comma 4, del c.p.a., consente al giudice amministrativo di stabilire i criteri in base ai quali l’Amministrazione deve proporre a favore dell’avente titolo il pagamento della somma entro un congruo termine (con l’ulteriore previsione che, qualora permanga il disaccordo, le parti possano rivolgersi nuovamente al giudice per la determinazione delle somme dovute, ovvero per l’adempimento delle obbligazioni ineseguite, nelle forme del giudizio di ottemperanza). L’art. 34, comma 4, c.p.a. subordina l’utilizzabilità di tale strumento alla mancata previa opposizione delle parti.

Gabriella Crepaldi

TAR Lombardia, Brescia, Sez. II, 4 novembre 2010, n. 4552

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Sui criteri di quantificazione del risarcimento del danno in tema di contratti pubblici

Azioni - condanna al risarcimento

In tema di contratti pubblici, ai fini della condanna al risarcimento del danno per equivalente, il ricorrente deve fornire la prova del danno subito ai sensi dell’art. 2697 c.c., risultando oggi non più applicabile, in base all’art. 124 c.p.a., il criterio forfettario del 10% del valore dell’appalto, al quale deve sostituirsi il criterio dell’utile effettivo.

Laddove la quantificazione del danno avvenga ai sensi dell’art. 34, comma 4, c.p.a., questa deve assumere criterio primario, ma non esclusivo, quello dell’offerta presentata in sede di gara.

Barbara Boschetti

TAR Abruzzo, Pescara, Sez. I, 17 novembre 2010, n. 1218

Risarcimento del danno da ritardo e azione contro il silenzio

Azioni - condanna al risarcimento

Alla luce dell’art. 30, comma 4, c.p.a., la condanna al risarcimento del danno da ritardo deve essere esclusa in relazione ai danni che il ricorrente avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza. Rientra nell’ordinaria diligenza l’esperimento degli strumenti di tutela previsti e, nel caso di specie, il ricorso avverso l’inerzia della Pubblica Amministrazione.

Barbara Boschetti

TAR Piemonte, Torino, Sez. I, 19 novembre 2010, n. 4156

Sull’azione di risarcimento del danno

Azioni - condanna al risarcimento

La domanda di risarcimento dei danni è regolata dal principio dell’onere della prova di cui all’art. 2697 c.c., in base al quale chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento, per cui grava sul danneggiato l’onere di provare tutti gli elementi costitutivi della domanda di risarcimento del danno per fatto illecito (danno, nesso causale e colpa). Il principio è oggi ribadito dall’art. 64 del codice del processo amministrativo, secondo cui spetta alle parti l’onere di fornire gli elementi di prova che siano nella loro disponibilità riguardo i fatti posti a fondamento delle domande e delle eccezioni.

Il risarcimento del danno non è una conseguenza automatica e costante dell’annullamento giurisdizionale, ma richiede la positiva verifica, oltre che della lesione della situazione soggettiva di interesse tutelata dall’ordinamento, della sussistenza della colpa o del dolo dell’Amministrazione e del nesso causale tra l’illecito e il danno subito. In particolare, il risarcimento del danno conseguente a lesione di interesse legittimo pretensivo è subordinato, pur in presenza di tutti i requisiti dell’illecito (condotta, colpa, nesso di causalità, evento dannoso), alla dimostrazione, secondo un giudizio di prognosi formulato ex ante, che l’aspirazione al

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provvedimento fosse destinata nel caso di specie ad esito favorevole, quindi alla dimostrazione, ancorché fondata con il ricorso a presunzioni, della spettanza definitiva del bene collegato a tale interesse. Tale giudizio prognostico, tuttavia, non può essere consentito allorché detta spettanza sia caratterizzata da consistenti margini di aleatorietà.

Gabriella Crepaldi

TAR Liguria, Genova, Sez. I, 1° dicembre 2010, n. 10721

Risarcimento del danno da ritardo e diligenza del creditore

Azioni - condanna al risarcimento

Al fine della condanna al risarcimento del danno da ritardo, ai sensi dell’art. 30, comma 3, c.p.a., deve essere esclusa la risarcibilità dei danni evitabili con l’ordinaria diligenza. Tale norma, in quanto canone interpretativo del principio generale di cui all’art. 1227 c.c., trova applicazione ai giudizi in corso.

Ai sensi dell’art. 34, comma 4, c.p.a., in assenza di opposizione delle parti, può essere rimessa al debitore la formulazione di un’offerta in ordine alla quantificazione del danno in osservanza ai criteri assegnati dal giudice.

Barbara Boschetti

TAR Sicilia, Catania, Sez. IV, 16 dicembre 2010, n. 4735

Risarcimento del danno nei contratti pubblici e azione per conseguire l’aggiudicazione

Azioni - condanna al risarcimento

La fattispecie del risarcimento del danno per equivalente in materia di appalti pubblici è regolata dall’art. 124 c.p.a., norma di natura processuale applicabile ai giudizi in corso.

Tale norma prevede che il comportamento della parte che, senza giustificato motivo, non ha proposto la domanda volta a conseguire l’aggiudicazione o non si è resa disponibile a subentrare nel contratto, è valutato dal giudice ai sensi dell’art. 1227 c.c., di modo che risultano oggi non risarcibili i danni che si sarebbero potuti evitare attraverso l’esperimento delle azioni giudiziarie a ciò utili.

Barbara Boschetti

TAR Lazio, Roma, Sez. I, 19 gennaio 2011, n. 472

Sulla convertibilità di un’azione di accertamento in azione di condanna atipica

Azioni - accertamento/altri tipi di condanna

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L’azione di accertamento del diritto ad ottenere un provvedimento ampliativo, proposta contestualmente ad azione di annullamento del diniego, inammissibile perché il ricorrente vanta un interesse legittimo pretensivo, può essere convertita, ai sensi dell’art. 32 c.p.a., in azione di condanna atipica ex art. 34, comma 1, lett. c), c.p.a. (c.d. azione di adempimento).

Francesco Follieri

TAR Lazio, Roma, Sez. I, 19 gennaio 2011, n. 472

Sulla condanna al trasferimento d’ufficio di magistrati in sedi disagiate

Azioni - altri tipi di condanna

In materia di trasferimento d’ufficio di magistrati in sedi disagiate, il C.S.M. esercita un potere vincolato; perciò, annullato il diniego e sussistendo i requisiti richiesti dall’art. 1, comma 4, della legge n. 133/1998, il C.S.M. può essere condannato (ai sensi dell’art. 34, comma 1, lett. c), c.p.a.) ad adottare il provvedimento di trasferimento d’ufficio richiesto.

Francesco Follieri

TAR Sicilia, Palermo, Sez. II, 1 febbraio 2011, n. 187

Azione risarcitoria per danni da occupazione abusiva e giurisdizione del giudice amministrativo

Azioni - condanna al risarcimento

Appartiene al giudice amministrativo la giurisdizione in ordine all’accertamento del diritto al risarcimento del danno da occupazione originariamente legittima, poi divenuta illegittima per mancato rispetto dei termini della procedura espropriativa.

L’azione di condanna al risarcimento del danno ingiusto da lesione di diritto soggettivo può essere direttamente proposta innanzi al giudice amministrativo ai sensi dell’art. 30, commi 2 e 3, c.p.a. In tale ipotesi, il danno subito dal privato per la trasformazione irreversibile del bene è permanente e quindi non soggetto alla prescrizione quinquennale.

Dopo la dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 43 del d.P.R. n. 327/2001, l’obbligo risarcitorio della P.A. per fatto illecito trova la propria fonte nell’art. 2043 c.c.

Barbara Boschetti

Consiglio di Stato, Sez. IV, 11 febbraio 2011, n. 924

Sull’onere della prova nelle azioni di risarcimento

Azioni - condanna al risarcimento

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Sebbene nel giudizio amministrativo trovi applicazione il principio dispositivo con metodo acquisitivo degli elementi di prova da parte del giudice, laddove, come nel giudizio risarcitorio, non sia rilevabile una disuguaglianza di posizioni tra Amministrazione e privato, trova applicazione l’art. 2697 c.c. (cfr., ora, art. 64, comma 1, c.p.a.), altrimenti inverandosi un’inammissibile inversione dell’onere della prova.

Barbara Boschetti

TAR Calabria, Catanzaro, Sez. I, 5 marzo 2011, n. 324

Silenzio e azione di adempimento nei procedimenti di autotutela

Azioni – altri tipi di condanna

L’applicazione dell’art. 31, comma 1, c.p.a. ai procedimenti di autotutela richiede che il giudici accerti, innanzitutto, che sussista la violazione dell’obbligo di provvedere. A bene vedere, non potendo a tal riguardo assumere rilievo autonomo l’istanza dei soggetti presentati, sarà necessario riscontrare l’attivazione d’ufficio del procedimento e l’assenza di un provvedimento conclusivo di revoca/annullamento.

Ai fini dell’accoglimento della domanda proposta ai sensi dell’art. 31, comma 2, c.p.a., escluso che, in relazione ai procedimenti di autotutela, si possa parlare di attività vincolata, occorre verificare che non residuino ulteriori margini di esercizio della discrezionalità e non siano necessari adempimenti istruttori che debbano essere compiuti dall’amministrazione. Nel caso in cui tale verifica abbia esito negativo, il giudice non potrà che limitarsi a condannare l’amministrazione a concludere il procedimento mediante l’adozione di un provvedimento espresso.

Barbara Boschetti

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 21 marzo 2011, n. 759

Azione di risarcimento e azione di annullamento

Azioni - condanna al risarcimento

Gli articoli 30 e 34 del codice del processo amministrativo, in quanto norme processuali, sono immediatamente applicabili ai giudizi in corso, specie in punto di autonomia dell’azione risarcitoria.

Ai sensi dell’art. 30, comma 3, c.p.a., ferma restando la necessità di accertare la sussistenza del nesso causale tra danno e comportamento dell’Amministrazione, non può essere ammesso il risarcimento dei danni che il ricorrente avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza. In particolare, costituisce onere della parte l’esperimento degli strumenti di tutela previsti dall’ordinamento, che avrebbero consentito di escludere o attenuare il danno per il quale è chiesto il risarcimento.

Barbara Boschetti

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Consiglio di Stato, Sez. V, 24 marzo 2011, n. 1796

Risarcimento per equivalente e reintegrazione in forma specifica

Azioni - condanna al risarcimento

Fermo restando che la domanda risarcitoria non può essere mutata in appello, laddove sia chiesto il risarcimento dei danni subiti per effetto di un’illegittima esclusione da una procedura concorsuale e si sia dunque lamentato un danno da perdita di chance (e non un danno da mancata promozione in senso stretto), una volta ottenuta la reintegrazione in forma specifica sotto la specie della riammissione alla procedura o della ripetizione della procedura, deve essere escluso il risarcimento del danno per equivalente.

Laddove sia chiesto il risarcimento del danno da ritardo per fattispecie anteriori all’entrata in vigore dell’art. 2 bis della legge n. 241/1990, è necessario il presupposto del riconoscimento della spettanza del bene della vita, in relazione al quale, in pendenza della procedura concorsuale, non può essere affidato al giudizio prognostico del giudice, vertendosi in materia caratterizzata dalla discrezionalità amministrativa dell’Amministrazione.

Barbara Boschetti

TAR Campania, Napoli, Sez. IV, 25 marzo 2011, n. 1739

Sull’autonomia dell’azione di risarcimento rispetto all’azione di annullamento

Azioni - condanna al risarcimento

Nel vigore dell’art. 30 c.p.a., stante l’autonomia dell’azione risarcitoria rispetto all’azione volta ad ottenere l’annullamento del provvedimento, la declaratoria di inammissibilità del ricorso pronunciata con riguardo alla domanda demolitaria (nella specie, per mancata notifica del ricorso ad almeno uno dei controinteressati) non pregiudica la domanda risarcitoria che deve pertanto essere esaminata.

Barbara Boschetti

TAR Calabria, Catanzaro, Sez. I, 29 marzo 2011, n. 423

Ammissibilità dell’azione, natura del processo amministrativo e conseguenze sulla pronuncia di annullamento

Principi e rapporti con il c.p.c. - effettività

Azioni - annullamento

Il processo amministrativo ha natura soggettiva, in quanto rivolto, non alla tutela dell’interesse pubblico, ma di posizioni giuridiche soggettive sostanziali. A ciò consegue che il ricorrente possa

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agire in giudizio solo quando sia titolare di una posizione giuridica qualificata e differenziata e abbia subito una lesione concreta e attuale. Viceversa, la legittimazione ai fini della tutela delle posizioni giuridiche soggettive che trascendono la sfera individuale del ricorrente è ammessa solo in presenta di ipotesi tipizzate dal legislatore..

Con riferimento alla materia urbanistica, deve ritenersi legittimato ad agire il proprietario di un terreno fatto oggetto di conformazione urbanistica. Laddove l’amministrazione, nelle more del giudizio, rimuova in via di autotutela la previsione di piano pregiudizievole al privato, al giudice amministrativo non è consentito l’annullamento dell’intera delibera in nome dell’interesse pubblico e deve dichiarare cessata la materia del contendere (cfr., in senso conforme, TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, 28 giugno 2011, n. 951).

Barbara Boschetti

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 30 marzo 2011, n. 854

Sulla quantificazione del danno derivante da occupazione illegittima avvenuta nell’ambito di una procedura espropriativa

Azioni - condanna al risarcimento

In caso di occupazione illegittima avvenuta nell’ambito di una procedura espropriativa, la stima della perdita subita per il mancato godimento dei terreni deve essere ancorata al valore locativo degli stessi. Possono, infatti, trovare applicazione in materia i principi elaborati dalla giurisprudenza civile per i danni derivanti da mancata utilizzazione dell’immobile, a causa, tra l’altro, di occupazione senza titolo da parte di terzi o di cattiva esecuzione di lavori di ristrutturazione ovvero, ancora, da altre cause che impediscano il godimento del bene.

La richiamata giurisprudenza ha avuto modo di affermare che, nei segnalati casi di mancato godimento, il danno non necessita di specifica prova, essendo esso in re ipsa e consistendo nell’impossibilità di ritrarre le utilità normalmente derivanti dalla fruizione dell’immobile, in relazione alla natura fruttifera di esso. Tale danno può essere quantificato facendo riferimento al c.d. danno figurativo e, quindi, al valore locativo del cespite.

Margherita Mazzoncini

TAR Sardegna, Cagliari, Sez. II, 31 marzo 2011, n. 290

Sull’incidenza dell’elemento psicologico nella fattispecie “risarcimento del danno ingiusto derivante dall’illegittimo esercizio dell’attività amministrativa o dal mancato esercizio di quella obbligatoria”

Azioni - condanna al risarcimento

Deve ritenersi condivisibile l’orientamento giurisprudenziale secondo cui, una volta accertata l’illegittimità dell’atto amministrativo causativo di un danno, il ricorrente può far valere l’illegittimità stessa quale elemento presuntivo della colpa dell’Amministrazione, spettando, a quel punto, alla parte pubblica dimostrare che si è trattato di un errore scusabile, legato a circostanze

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oggettive e ad essa non addebitabili (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 20 luglio 2010, n. 4660; Cons. Stato, Sez. V, 26 maggio 2010, n. 3367; idem, 1 marzo 2010, n. 1156). Tale orientamento giurisprudenziale sembra ricevere conferma normativa nell’art. 30 c.p.a., il quale - lungi dal limitarsi a una disciplina puramente processuale dell’azione risarcitoria - ha di fatto dettato un nuovo statuto sostanziale della fattispecie “risarcimento del danno da attività provvedimentale”, anche con riferimento all’elemento soggettivo dell’illecito. Il codice del processo amministrativo, in particolare, nel sancire il carattere autonomo della domanda risarcitoria rispetto a quella di annullamento, individua quale presupposto del rimedio avverso i danni da attività provvedimentale (o da mancato esercizio di quella obbligatoria) la sola illegittimità dell’atto (o del silenzio), non anche l’elemento psicologico (art. 30, comma 2), al quale si fa, invece, riferimento nella seconda parte del comma 3, a proposito dei criteri di quantificazione del danno.

Margherita Mazzoncini

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, 31 marzo 2011, n. 858

Responsabilità civile della Pubblica Amministrazione e incidenza dell’elemento psicologico

Azioni - condanna al risarcimento

Non sussiste la colpa della Pubblica Amministrazione che abbia adottato un provvedimento illegittimo in conseguenza di una rappresentazione ingannevole della realtà offerta dalla parte interessata. In sede di giudizio per il risarcimento del danno derivante da provvedimento amministrativo illegittimo, il privato danneggiato può limitarsi ad invocare l’illegittimità dell’atto quale indice presuntivo della colpa, restando a carico dell’Amministrazione l’onere di dimostrare che si è trattato di un errore scusabile per contrasti giurisprudenziali sull’interpretazione della norma, per la complessità del fatto ovvero per l’influenza di altri soggetti (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 13 aprile 2010, n. 2029; idem, 20 luglio 2009, n. 4527).

Margherita Mazzoncini

Consiglio di Stato, Sez. V, 1° aprile 2011, n. 2031

Sull’azione di risarcimento nel giudizio di ottemperanza

Azioni - condanna al risarcimento

Ai sensi dell’art. 112, comma 4, c.p.a., l’azione di condanna al risarcimento dei danni da azione amministrativa illegittima può essere chiesta per la prima volta in sede di ottemperanza, purché, oltre al rispetto dei presupposti di cui all’art. 30, comma 5, venga proposta avanti al TAR al fine del rispetto del principio del doppio grado di giurisdizione.

Barbara Boschetti

Consiglio di Stato, Sez. VI, 4 aprile 2011, n. 2102

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Azione di annullamento e interesse residuale al risarcimento del danno come interesse attuale

Azioni - condanna al risarcimento

L’interesse residuale al risarcimento del danno per lesione d’interessi legittimi può sorreggere un’azione di annullamento altrimenti improcedibile per sopravvenuta inutilità pratica.

Deve però ritenersi necessario, ai fini dell’ammissibilità dell’azione, un interesse concreto ed attuale, mai identificabile con il mero ripristino della legalità violata. Ebbene, in relazione all’azione risarcitoria l’interesse attuale coincide con i presupposti che le norme e la giurisprudenza hanno definito in materia: sussistenza del danno, nesso di causalità fra tale danno ed un atto illegittimo della P.A. e colpa di quest’ultima.

Quando la domanda di annullamento è sorretta dall’interesse residuale al risarcimento del danno, le censure prospettate a fondamento della domanda stessa devono trovare disamina conforme all’interesse in questione, con riferimento ai vizi che giustificherebbero il soddisfacimento della pretesa risarcitoria nei confronti dell’Amministrazione.

Barbara Boschetti

Consiglio di Stato, Sez. V, 6 maggio 2011, n. 2725

Risarcimento del danno in materia di contratti pubblici e presupposti per il risarcimento per equivalente

Azioni - condanna al risarcimento

Quando non sia stata annullata l’aggiudicazione definitiva e non sussistano comunque le condizioni di cui all’art. 122 c.p.a., tenuto conto dello stato di esecuzione del contratto, deve essere respinta l’istanza di risarcimento del danno in forma specifica.

In relazione alla richiesta di risarcimento per equivalente, ai fini della sussistenza della colpa, non rileva la circostanza che il giudice di primo grado abbia dato ragione all’Amministrazione con decisione ribaltata in appello, in quanto non appare ragionevole dare rilevanza ad un fatto successivo a quello che ha generato l’illecito; aderendo a tale impostazione, la sussistenza della colpa sarebbe ravvisabile nelle sole ipotesi in cui il privato ottenga ragione in entrambi i gradi del giudizio, finendo il giudizio di primo grado ad essere quello decisivo (cfr., in senso conforme, Cons. Stato, Sez. V, 24 giugno 2011, n. 3815).

Barbara Boschetti

TAR Calabria, Catanzaro, Sez. II, 6 maggio 2011, n. 654

Azione di risarcimento e azione di annullamento

Azioni - condanna al risarcimento

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La regola della risarcibilità dei danni evitabili con l’impugnazione del provvedimento e con la diligente utilizzazione degli altri strumenti di tutela previsti dall’ordinamento, oggi sancita dall’art. 30, comma 3, c.p.a. è ricognitiva di principi già evincibili alla stregua di un’interpretazione evolutiva dell’art. 1227, comma 2, c.c. A tali fini: l’obbligazione cooperativa e mitigatrice del creditore incontra il limite del cosiddetto apprezzabile sacrificio, per il quale il danneggiato è tenuto ad agire diligentemente per evitare l’aggravarsi del danno, non fino al punto di sacrificare i propri rilevanti interessi personali e patrimoniali, attraverso il compimento di attività complesse, impegnative e rischiose; il divieto di abuso del diritto va inteso anche come divieto di abuso del processo e, pertanto, il creditore deve evitare di esercitare un’azione con modalità tali da impedire un aggravio della sfera del debitore; la mancata impugnazione di un provvedimento amministrativo può ritenersi un comportamento contrario a buona fede nell’ipotesi in cui si appuri che una tempestiva reazione avrebbe evitato o mitigato il danno, con la conseguenza che in questo caso deve escludersi la risarcibilità del danno; la grave inerzia nella coltivazione di rimedi giudiziali e di iniziative stragiudiziali può integrare la violazione degli obblighi cooperativi che gravano sul creditore danneggiato.

Barbara Boschetti

Consiglio di Stato, Sez. VI, 10 maggio 2011, n. 2755

Sulla legittimità delle azioni di annullamento senza efficacia ex tunc

Azioni - annullamento

La legislazione vigente non preclude al giudice amministrativo di determinare gli effetti delle sentenze di accoglimento da lui pronunciate, anche con un temperamento della tradizionale regola, per cui l’accoglimento del ricorso comporta l’eliminazione integrale degli effetti dell’atto lesivo impugnato di cui è stata accertata l’illegittimità.

Sulla base della giurisprudenza comunitaria - la quale ha da tempo affermato che il principio dell’efficacia “ex tunc” dell’annullamento, seppur costituente la regola, non ha portata assoluta e che la Corte di giustizia UE può dichiarare che l’annullamento di un atto (sia esso parziale o totale) abbia effetto “ex nunc” o che, addirittura, l’atto medesimo conservi i propri effetti sino a che l’istituzione comunitaria modifichi o sostituisca l’atto impugnato – e al novellato, dal Trattato di Lisbona, art. 264, comma 2, del Trattato UE, si deve ritenere che il giudice amministrativo, analogamente agli organi delle istituzioni comunitarie, abbia il potere di statuire il perdurare, in tutto o in parte, degli effetti dell’atto risultato illegittimo, per un periodo di tempo che deve tenere conto del principio di certezza del diritto e della posizione di chi ha vittoriosamente agito in giudizio, oltre che di ogni altra circostanza da considerare rilevante.

Anche il giudice amministrativo nazionale, dunque, può differire gli effetti di annullamento degli atti impugnati, risultati illegittimi, ovvero non disporli affatto, statuendo solo gli effetti conformativi, volti a far sostituire il provvedimento risultato illegittimo. In particolare, il giudice amministrativo, nel determinare gli effetti delle proprie statuizioni, deve ispirarsi al criterio per cui esse, per quanto innovative, devono produrre conseguenze coerenti con il sistema (e cioè armoniche con i principi generali dell’ordinamento, e in particolare con quello di effettività della tutela) e congruenti (in quanto basate sui medesimi principi generali da cui possa desumersi in via interpretativa la regula iuris in concreto enunciata).

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Margherita Mazzoncini

Consiglio di Stato, Sez. V, 12 maggio 2011, n. 2817

Sul potere del giudice di accertare l’illegittimità di un atto, a fini risarcitori, anche in mancanza di domanda risarcitoria già posta

Azioni - accertamento

L’art. 34, comma 3, c.p.a. inibisce l’annullamento di atti che abbiano ormai esaurito i loro effetti nel corso del giudizio e tutela, in presenza dei necessari presupposti, l’interesse all’accertamento, sicchè quando residui la sola possibilità di un risarcimento per equivalente, il giudice adito con azione di annullamento, anche in assenza di domanda risarcitoria, proponibile ex art. 30, comma 5, c.p.a. sino a centoventi giorni dal passaggio in giudicato della relativa sentenza, accerta l’illegittimità degli atti impugnati mancando l’interesse all’annullamento ma sussistendo l’interesse all’accertamento ai fini risarcitori.

Laura Lamberti

TAR Lazio, Roma, Sez. II ter, 18 maggio 2011, n. 4310

Sul cumulo e sulla conversione delle azioni

Azioni

Il c.p.a. ha sancito il principio del cumulo di domande connesse proposte in via principale o incidentale, stabilendo che in presenza di più azioni assoggettate a riti diversi prevale il rito ordinario, ad eccezione del rito abbreviato e del rito in materia di appalti, che prevalgono in ogni caso sugli altri riti (art. 32, comma 1) e ha introdotto il principio della conversione delle azioni (art. 32, comma 2).

Laura Zanettini

Consiglio di Stato, Sez. V, 23 maggio 2011, n. 3083

Spese di giudizio e condanna officiosa della parte soccombente

Azioni - altri tipi di condanna

L’art. 26, comma 2, c.p.a., in tema di spese di giudizio, costituisce ipotesi speciale rispetto all’archetipo divisato dall’art. 96, comma 3, c.p.c. in quanto chiama la parte che abbia dato corso (o abbia) resistito ad (in) un processo oggettivamente ritenuto ingiustificabile a indennizzare la controparte che è stata costretta a subirlo solo nei casi in cui la decisione sia fondata su ragioni manifeste o su consolidati orientamenti giurisprudenziali, con ciò tipizzando i presupposti applicativi della condanna officiosa della parte soccombente. Tale misura pecuniaria, quindi, va qualificata come indennizzo per danno lecito da processo ovvero il nocumento che la parte

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vittoriosa ha subito per l’esistenza e la durata del processo, anche se la controparte non ha agito o resistito in malafede.

Gaetano Zurlo

Consiglio di Stato, Sez. V, 23 maggio 2011, n. 3084

Sui presupposti dell’azione di annullamento

Azioni - annullamento

Deve essere dichiarato inammissibile, ai sensi dell’art. 35, comma 1, lett. b), c.p.a., il ricorso che difetti, anche non in via originaria, di uno dei presupposti dell’azione, ossia: il c.d. titolo o possibilità giuridica dell’azione (cioè la posizione giuridica configurabile in astratto da una norma come di interesse legittimo, ovvero, come altri dice, la legittimazione a ricorrere discendente dalla speciale posizione qualificata del soggetto che lo distingue dal quisque de populo rispetto all’esercizio del potere amministrativo); l’interesse ad agire (art. 100 c.p.c.); e la legitimatio ad causam (o legittimazione attiva/passiva, discendente dall’affermazione di colui che agisce/resiste in giudizio di essere titolare del rapporto controverso dal lato attivo o passivo).

Barbara Boschetti

Consiglio di Stato, Sez. IV, 24 maggio 2011, n. 3110

Azione di risarcimento e azione di annullamento

Azioni - condanna al risarcimento

Se è vero che nel nuovo quadro codicistico la tempestiva proposizione dell’azione di annullamento non può più rilevare ai fini dell’ammissibilità della domanda risarcitoria, essa continua a rilevare sul piano della sussistenza del nesso di causalità tra il comportamento illecito dell’Amministrazione e la produzione del danno, quando nella determinazione di quest’ultimo ha avuto rilievo determinante il comportamento del danneggiato, avendo egli omesso di esperire i rimedi che l’ordinamento gli ha messo ha disposizione per contrastare tale comportamento. La domanda risarcitoria autonoma deve infatti comunque misurarsi con l’art. 30 c.p.a., ai sensi del quale resta escluso “il risarcimento dei danni che si sarebbero potuti evitare usando l'ordinaria diligenza, anche attraverso l'esperimento degli strumenti di tutela previsti”.

Barbara Boschetti

TAR Lombardia, Milano, Sez. III, 8 giugno 2011, n. 1428

Sull’ammissibilità dell’azione di adempimento

Azioni - altri tipi di condanna

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Il codice del processo ha introdotto, anche in presenza di un provvedimento espresso di rigetto e sempre che non vi osti la sussistenza di profili di discrezionalità amministrativa e tecnica, l’azione di condanna volta ad ottenere l’adozione dell’atto amministrativo richiesto. L’art. 34, comma 1, lett. c), infatti, nel precisare i contenuti della sentenza di condanna, prevede anche l’adozione “delle misure idonee a tutelare la situazione giuridica soggettiva dedotta in giudizio”; in base alla successiva lett. e) il giudice dispone “le misure idonee ad assicurare l’attuazione del giudicato”. Le due previsioni, pertanto, prefigurano un potere di condanna senza restrizione di oggetto, modulabile a seconda del bisogno differenziato emerso in giudizio; ovvero, all’occorrenza, quale sbocco di una tutela restitutoria, ripristinatoria ovvero di adempimento pubblicistico coattivo.

Andrea Carbone

TAR Lombardia, Milano, Sez. III, 8 giugno 2011, n. 1428

Discrezionalità esaurita e azione di adempimento

Azioni - altri tipi di condanna

L’accoglimento della domanda di annullamento non permette sempre e comunque la fissazione della regola del caso concreto; ciò sarà consentito solo in presenza di attività vincolata o quando risulti che non residuano ulteriori margini di esercizio della discrezionalità. Il principio, stabilito dall’art. 31, comma 3, deve ritenersi di ordine generale dal momento che l’interesse pretensivo, sia che l’Amministrazione rimanga inerte sia che emani un provvedimento espresso di diniego, ha la stessa consistenza e lo stesso bisogno di tutela. E’ ben possibile, però, che anche una attività in limine litis connotata da discrezionalità possa, a seguito della progressiva concentrazione in giudizio delle questioni rilevanti (ad esempio, mediante il combinato operare di ordinanza propulsiva e motivi aggiunti), risultare, all’esito dello scrutinio del giudice, oramai “segnata” nel suo sviluppo.

Andrea Carbone

TAR Lazio, Roma, Sez. I, 9 giugno 2011, n. 5151

Sulla rilevabilità d’ufficio della nullità dell’atto amministrativo

Azioni

Il difetto assoluto di attribuzione costituisce vizio di nullità dell’atto amministrativo ai sensi dell’art. 21-septies della legge n. 241/1990 (nel caso di specie si trattava del provvedimento del Consiglio Nazionale Forense (CNF) relativo alla disciplina del titolo di avvocato specialista).

La nullità dell’atto può sempre essere rilevata d’ufficio dal giudice (art. 31, comma 4, c.p.a.).

Il giudice amministrativo può accogliere la doglianza che, seppur senza trovare precisa corrispondenza nelle conclusioni rassegnate in ricorso, ha lamentato la nullità dell’atto impugnato.

Giuseppe Urbano

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TAR Toscana, Firenze, Sez. II, 16 giugno 2011, n. 1076

Sull’accoglimento del vizio di incompetenza e sul potere del giudice di sindacare anche gli altri vizi addotti dal ricorrente

Azioni - annullamento

Dopo l’entrata in vigore del codice del processo amministrativo, non può applicarsi il principio, affermato in passato dalla giurisprudenza, sulla base dell’art. 26, secondo comma, della legge TAR, secondo cui l’accoglimento della censura di incompetenza determinava l’annullamento dell’atto impugnato, con assorbimento degli altri motivi di ricorso, il cui esame veniva precluso al giudice al fine di non precostituire un vincolo anomalo sui futuri provvedimenti della competente Autorità.

Attualmente, l’art. 34, comma 2, c.p.a., stabilisce il divieto del giudice di pronunciarsi con riferimento a poteri amministrativi non ancora esercitati.

Nell’ipotesi dell’atto affetto da incompetenza il sindacato del giudice si esplica su un potere che è già stato esercitato (sebbene illegittimamente) e non su un potere ancora da esercitare (ipotesi cui, invece, ha riguardo l’art. 34, comma 2, cit.).

Su tale base, ai sensi dell’art. 34, comma 1, lett. e), il giudice, se ritiene fondati uno o più motivi di ricorso, non deve limitarsi ad annullare l’atto impugnato, ma, contestualmente, può indicare alla P.A. le conseguenze che derivano dal giudicato, senza dover più attendere, a questo fine, la riedizione del potere. Deve essere, pertanto, escluso, il carattere assorbente del vizio di incompetenza e il giudice deve passare ad esaminare gli altri motivi di gravame proposti.

Gianfrancesco Fidone

Consiglio di Stato, Sez. V, 24 giugno 2011, n. 3814

Azione di risarcimento – onere della prova

Azioni – condanna al risarcimento

La domanda di risarcimento dei danni è regolata dal principio dell'onere della prova di cui all'art. 2697 c.c., in base al quale chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento, per cui grava sul danneggiato l'onere di provare, ai sensi del citato articolo, tutti gli elementi costitutivi della domanda di risarcimento del danno per fatto illecito.

Secondo un consolidato e condivisibile orientamento giurisprudenziale, ai fini dell'ammissibilità della domanda di risarcimento del danno, non è sufficiente il solo annullamento del provvedimento lesivo, ma è altresì necessario che sia configurabile la sussistenza dell'elemento soggettivo del dolo ovvero della colpa, dovendo verificarsi se l'adozione e l'esecuzione dell'atto impugnato sia avvenuta in violazione delle regole di imparzialità, di correttezza e di buona fede alle quali l'esercizio della funzione deve costantemente ispirarsi.

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Sulla scorta della giurisprudenza comunitaria è stato precisato che, in sede di accertamento della responsabilità della Pubblica amministrazione per danno a privati, il giudice può affermare la responsabilità quando la violazione risulti grave e commessa in un contesto di circostanze di fatto e in un quadro di riferimenti normativi e giuridici tali da palesare la negligenza e l'imperizia dell'organo nell'assunzione del provvedimento viziato e negarla, invece, quando l'indagine conduce al riconoscimento dell'errore scusabile per la sussistenza di contrasti giudiziari, per l'incertezza del quadro normativo di riferimento o per la complessità della situazione di fatto.

È stato anche rilevato che, in sede di giudizio per il risarcimento del danno derivante da provvedimento amministrativo illegittimo, il privato danneggiato può limitarsi ad invocare l'illegittimità dell'atto quale indice presuntivo della colpa, restando a carico dell'Amministrazione l'onere di dimostrare che si è trattato di un errore scusabile per contrasti giurisprudenziali sull'interpretazione della norma, per la complessità del fatto ovvero per l'influenza di altri soggetti.

Con particolare riferimento poi all'accertamento del nesso di causalità la giurisprudenza ha affermato che esso, seppure può essere riconosciuto sulla base di un serio e ragionevole criterio di probabilità, non può tuttavia fondarsi sulla base di una mera astratta possibilità.

Gabriella De Stefano

Consiglio di Stato, Sez. VI, 30 giugno 2011, n. 3887

Azione di risarcimento e divieto di domande nuove in appello

Azioni - condanna al risarcimento

Se la statuizione del giudice di prime cure che sanziona la sostanziale genericità della domanda risarcitoria non forma oggetto di contestazione in appello, la proposizione del petitum risarcitorio, del suo contenuto essenziale, per la prima volta in appello e solo in sede di note conclusive è precluso dall’art. 104 c.p.a. e va pertanto dichiarato inammissibile.

Barbara Boschetti

Consiglio di Stato, Sez. V, 30 giugno 2011, n. 3913

Azione di risarcimento e divieto di domande nuove in appello

Azioni - accertamento

In deroga al divieto di domande nuove di cui all’art. 104 c.p.a. dispone l’art. 34, comma 3, c.p.a., a tenore del quale quando nel corso del giudizio l’annullamento del provvedimento impugnato non risulta più utile per il ricorrente, il giudice accerta l’illegittimità dell’atto se sussiste l’interesse a fini risarcitori. La portata dell’eccezione è da intendersi nel senso che la domanda di accertamento dell’illegittimità in funzione dell’interesse risarcitorio, formulata per la prima volta in appello, non costituisce domanda nuova inammissibile, rispetto all’originaria domanda di annullamento, se nelle more tra giudizio di primo grado e di appello, è venuto meno l’interesse all’annullamento dell’atto, ma residua l’interesse al riscontro della sua illegittimità.

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In deroga al divieto di domande nuove, è consentita, ai sensi dell’art. 345 c.p.c., la proposizione delle domande aventi ad oggetto accessori e danni maturati dopo la sentenza di primo grado. Non sono però ammesse, in linea con il principio del doppio grado di giurisdizione, nuove domande risarcitorie in appello ad eccezione di quelle che costituiscono svolgimento logico o cronologico di domande già proposte.

Barbara Boschetti

TAR Campania, Napoli, Sez. V, 30 giugno 2011, n. 3494

Sul cumulo di azioni connesse

Azioni

Il cumulo in un unico giudizio di più domande da trattare con riti differenti, a seguito dell’approvazione del codice del processo amministrativo, in attuazione del principio di concentrazione ed effettività della tutela (di cui alla legge delega n. 69/2009, art. 44, n. 2 lett. a)), è regolato dall’art. 32 del d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104 che ammette in ogni caso nello stesso giudizio il cumulo di domande connesse proposte in via principale o incidentale , fissando altresì il principio della tendenziale prevalenza del rito ordinario dell’azione di annullamento.

Anna Pappalardo

TAR Campania, Napoli, Sez. VI, 30 giugno 2011, n. 3504

Interesse alla decisione in un giudizio avverso provvedimenti sanzionatori di abusi edilizi e sopravvenuta istanza di condono edilizio

Azioni - condanna al risarcimento

Alla luce della previsione dell’art. 34, comma 3, c.p.a. la produzione da parte del ricorrente, in un giudizio avverso provvedimenti sanzionatori di abusi edilizi, della sopravvenuta istanza di condono edilizio (che costituisce intrinseca ammissione dell’abusività dell’opera) esclude la sussistenza di un interesse all’accertamento della illegittimità dell’atto impugnato ad eventuali “fini risarcitori” (cfr., in termini, TAR Campania, Sez. V, 25 febbraio 2011, n. 1215; idem, 15 dicembre 2010, n. 27360; idem, 25 ottobre 2010, n. 21368; cfr., sui presupposti in generale dovuti per ritenere sussistente detto interesse, TAR Campania, Sez. VII, 3 novembre 2010, n. 22276).

Anna Pappalardo

Consiglio di Stato, Sez. VI, 4 luglio 2011, n. 3999

Cumulo e rito prevalente

Azioni

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Secondo il c.p.a. è sempre ammesso il cumulo nello stesso giudizio di domande connesse “se le azioni sono soggette a riti diversi, si applica quello ordinario, salvo quanto previsto dai Capi I e II del Titolo V del Libro IV” (art. 32, comma 1, c.p.a.). Tale disposizione, che rinvia a capi inesistenti, va interpretata nel senso che, in caso di riti diversi, prevale il rito ordinario, salvo che taluna delle domande connesse sia soggetta al rito dell’art. 119 o dell’art. 120 c.p.a., che si estende anche alle altre domande, in astratto soggette ad altri riti.

Laura Zanettini

Consiglio di Stato, Sez. IV, 7 luglio 2011, n. 4064

Azione di risarcimento e azione di annullamento

Azioni - condanna al risarcimento

Ai sensi dell’art. 34, comma 3, c.p.a, la domanda risarcitoria proposta in sede giurisdizionale per lesione di interessi legittimi è ammissibile anche in caso di declaratoria di improcedibilità riferita alla domanda di annullamento dell’atto cui dovrebbe ricondursi la dedotta lesione. In tal caso, la scissione tra formale pronuncia sulla legittimità del provvedimento impugnato e valutazione dell’istanza risarcitoria non è idonea di per sé a pregiudicare la ragione sostanziale di un danno risarcibile (cfr., in senso conforme, Cons. Stato, Sez. V, 12 maggio 2011, n. 2817).

Barbara Boschetti

TAR Lombardia, Milano, Sez. III, 14 luglio 2011, n. 1887

Azione di annullamento e azione di accertamento a fini risarcitori

Azioni - accertamento

Ai sensi dell’art. 34, comma 3, c.p.a., venuto meno l’interesse all’annullamento degli atti impugnati residua l’interesse di una pronuncia di accertamento dell’illegittimità degli atti impugnati in vista di una successiva azione risarcitoria, a prescindere dall’avvenuta formulazione di una specifica domanda risarcitoria. Il senso dell’art. 34, comma 3, c.p.a., non è infatti quello di consentire al giudice di pronunciare una condanna risarcitoria limitata all’an debeatur, ma di non privare di ogni utilità l’esperimento della azione di annullamento tutte le volte in cui, a causa di eventi sopravvenuti, dagli effetti della pronuncia costitutiva non possa più derivare alcun vantaggio per il ricorrente (cfr., in senso conforme, Cons. Stato, Sez. V, 12 maggio 2011, n. 2817; v., in senso difforme, TAR Lombardia, Brescia, 3 marzo 2011, n. 373).

Barbara Boschetti

Consiglio di Stato, Sez. III, 18 luglio 2011, n. 4355

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Rinuncia alla domanda di subentro nel contratto di appalto parzialmente eseguito e risarcimento del danno per equivalente

Azioni – condanna al risarcimento

Ai sensi dell’art. 1227 c.c., espressamente richiamato dall’art. 124, comma 2, c.p.a., la rinuncia giudiziale alla domanda di subentro nel contratto di appalto parzialmente eseguito è una condotta processuale valutabile dal giudice ai fini della quantificazione del danno da risarcire per equivalente.

Laura Zanettini

TAR Lombardia, Milano, Sez. III, 14 luglio 2011 n. 1885

Sulla natura discrezionale del potere datoriale di concessione dei permessi previsti dall’art. 33 della legge n. 104/1992

Azioni - accertamento ed altri tipi di condanna

Il potere datoriale di concessione dei permessi previsti dall’art. 33 della legge n. 104/1992 è connotato da discrezionalità; e, anche se è stato esercitato in maniera non conforme ai principi che regolano la materia tanto da comportare l’annullamento del diniego, l’ambito della discrezionalità non si è ridotto, di talchè l’Amministrazione dovrà procedere ad una nuova valutazione della istanza alla luce dei principi espressi nella sentenza, ma l’azione di accertamento del diritto soggettivo a fruire dei permessi e quella di condanna alla concessione dei medesimi vanno rigettate.

Francesco Follieri

Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 29 luglio 2011, n. 15

Sulla tutela del terzo nei confronti della d.i.a./s.c.i.a. - azione impugnatoria ex art. 29 c.p.a.

Azioni

La qualificazione del silenzio, opposto dall’Amministrazione sulla richiesta del terzo che si ritenga leso dallo svolgimento dell’attività dichiarata con la d.i.a., come provvedimento tacito, comporta che il terzo controinteressato all’esercizio dell’attività denunciata può tutelarsi mediante l’azione impugnatoria, ex art. 29 c.p.a. Tale azione deve essere proposta nell’ordinario termine decadenziale di sessanta giorni, che decorre dal momento della piena conoscenza dell’adozione dell’atto lesivo ( art. 41, comma 2, c.p.a.), conoscenza che si acquisisce non con il mero inizio dei lavori, ma con il loro completamento. Laddove invece la piena conoscenza della presentazione della d.i.a. si collochi in un momento anteriore al decorso del termine per l’esercizio del potere inibitorio, il dies a quo coinciderà con il decorso del termine per l’adozione delle doverose misure interdittive.

Margherita Mazzoncini

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Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 29 luglio 2011, n. 15

Sulla tutela del terzo nei confronti della d.i.a./s.c.i.a. - azione di condanna pubblicistica contestuale all’azione di annullamento

Azioni

Il terzo che si ritenga leso dallo svolgimento dell’attività dichiarata con la d.i.a. è legittimato all’esercizio, a completamento ed integrazione dell’azione di annullamento del silenzio significativo negativo, dell’azione di condanna pubblicistica (cd. azione di adempimento) diretta ad ottenere una pronuncia che imponga all’Amministrazione l’adozione del negato provvedimento inibitorio ove non vi siano spazi per la regolarizzazione della denuncia ai sensi dell’art. 19, comma 3, della legge n. 241/1990. Infatti, da un lato, la proposizione di tale azione è coerente sul piano processuale con il disposto dell’art. 30, comma 1, c.p.a., trattandosi di domanda contestuale a quella di annullamento. Dall’altro, risultano altresì rispettati i limiti previsti dall’art. 31, comma 3, poiché lo jussum giurisdizionale non produce un’indebita ingerenza nell’esercizio di poteri discrezionali riservati all’Amministrazione ma, sulla scorta dell’accertamento dell’esistenza dei presupposti per il doveroso potere inibitorio, impone una determinazione amministrativa non connotata da alcun profilo di discrezionalità.

Margherita Mazzoncini

Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 29 luglio 2011, n. 15

Sulla tutela del terzo nei confronti della d.i.a./s.c.i.a. nel periodo anteriore al decorso del termine fissato dalla legge per l’esercizio del potere inibitorio da parte dell’Amministrazione - azione di accertamento

Azioni

Il terzo, nello spatium temporis che separa il momento in cui la d.i.a. produce effetti legittimanti dalla scadenza del termine per l’esercizio del potere inibitorio, può agire in giudizio al fine di ottenere una pronuncia che impedisca l’inizio o la prosecuzione, con effetti anche irrimediabilmente lesivi, dell’attività dichiarata. In particolare, il terzo può proporre un’azione di accertamento tesa ad ottenere una pronuncia che verifichi l’insussistenza dei presupposti di legge per l’esercizio dell’attività oggetto della denuncia, con i conseguenti effetti conformativi in ordine ai provvedimenti spettanti all’autorità amministrativa.

Margherita Mazzoncini

TAR Sicilia, Palermo, Sez. I, 7 settembre 2011, n. 1628 (ordinanza)

Sul termine di decadenza di cui all’art. 30, comma 5, c.p.a.

Azioni – condanna al risarcimento

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È rilevante e va sollevata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 30, comma 5, del d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104 (codice del processo amministrativo), in relazione agli articoli 3, 24, 103 e 113 della Costituzione, nella parte in cui prevede, per la proposizione di una azione risarcitoria nei confronti della P.A., un termine decadenziale di centoventi giorni dall’avvenuta formazione del giudicato di annullamento.

Gianmario Palliggiano

TAR Lazio, Roma, sez. II bis, 14 settembre 2011, n. 7276

Azione di condanna al risarcimento del danno proposta ante codice del processo amministrativo e termini prescrizionali e di decadenza

Azioni – condanna al risarcimento

Nelle materie di giurisdizione esclusiva, ai sensi dell’art. 30 c.p.a., il termine di per la proposizione dell’azione di condanna al risarcimento del danno è quello quinquennale nelle ipotesi di responsabilità aquiliana per lesione di un diritto soggettivo ovvero, nelle ipotesi di risarcimento per lesione di interessi legittimi, quello, decadenziale, di 120 giorni dal verificarsi del fatto lesivo ovvero dalla conoscenza del provvedimento (o dal passaggio in giudicato della sentenza che ha dichiarato l’illegittimità del provvedimento).

Quando la domanda risarcitoria sia stata proposta prima dell’entrata in vigore del nuovo codice e in relazione a vicende realizzatesi prima del riconoscimento della risarcibilità della lesione degli interessi legittimi, mancando nel codice una disciplina transitoria che diversamente disponga circa i termini di prescrizione e decadenza dell’azione risarcitoria, il giudice deve verificare che la domanda sia stata proposta entro il termine quinquennale dal verificarsi dell’evento. Anche quando la domanda risarcitoria sia azionata per la prima volta con motivi aggiunti - ma tale eventualità non sussiste nel caso in esame - rimangono fermi i termini fissati per il ricorso e, dunque, dall’art. 30 c.p.a.

Barbara Boschetti

Giudizio di I° grado

TAR Piemonte, Torino, Sez. II, 29 ottobre 2010, n. 3929

Sulla cessazione della materia del contendere

Giudizio di I° grado

Deve essere dichiarata la cessazione della materia del contendere, ai sensi dell’art. 34, comma 5, d. lgs. 2 luglio 2010, n. 104 (cd. codice del processo amministrativo), qualora nel corso del giudizio la pretesa del ricorrente risulti pienamente soddisfatta.

Gabriella Crepaldi

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TAR Piemonte, Torino, Sez. II, 29 ottobre 2010, n. 3932

Sulla cessazione della materia del contendere

Giudizio di I° grado

L’avvenuto rilascio da parte dell’Amministrazione intimata del titolo di soggiorno originariamente negato è idonea ad integrare un’ipotesi di cessazione della materia del contendere a norma dell’art. 34, comma 5, del d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104 (cd. codice del processo amministrativo).

Gabriella Crepaldi

TAR Piemonte, Torino, Sez. II, 29 novembre 2010, n. 4220

Sulla tardività del deposito di memorie difensive

Giudizio di I° grado

Le memorie e i documenti depositati oltre i termini indicati dall’art. 73, comma 1, c.p.a. (in relazione alla data fissata per l’udienza pubblica di discussione) non possono, in assenza di un consenso prestato dalla controparte, essere utilizzati per la decisione.

Gabriella Crepaldi

TAR Piemonte, Torino, Sez. I, 3 dicembre 2010, n. 4384

Sulla procura ad litem

Giudizio di I° grado - introduzione del giudizio

Prescriveva l’art. 6, n. 4, del r.d. n. 642/1907 che il ricorso potesse essere sottoscritto o dalla parte personalmente o dalla parte e dal difensore (in caso di doppia sottoscrizione si riteneva di poter prescindere dal mandato al difensore, essendo deducibile proprio da detta norma il principio della necessità, nel processo amministrativo, della sola assistenza e non anche della rappresentanza in giudizio della parte) o ancora dal solo difensore, onerato tuttavia in tal caso di indicare la “data del mandato speciale” che, evidentemente, doveva essere antecedente. Prescrive oggi l’art. 40, lett. d), c.p.a. (d.lgs. n. 104/2010) che il ricorso debba essere sottoscritto dal ricorrente che sta in giudizio personalmente oppure dal difensore, con indicazione in tal caso della procura speciale; la nuova disciplina ha quindi eliminato la previsione di doppia sottoscrizione in assenza di procura speciale, sicchè oggi sarà sufficiente la sottoscrizione della parte ove questa possa anche stare in giudizio personalmente, altrimenti il difensore che sottoscrive l’atto dovrà essere munito di procura speciale, da indicarsi nell’atto di ricorso.

Gabriella Crepaldi

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TAR Piemonte, Torino, Sez. I, 16 dicembre 2010, n. 4549

Sul mandato per la proposizione di motivi aggiunti

Giudizio di I° grado - motivi aggiunti

I motivi aggiunti possono essere validamente proposti sulla scorta del mandato conferito al difensore per il ricorso originario allorché con essi si impugnano atti che fanno parte di uno stesso procedimento, poiché la procura conferita dagli interessati deve ritenersi comprensiva di tutti i poteri processuali necessari a rimuovere le illegittimità che hanno determinato la lesione per la quale è stata richiesta la tutela giurisdizionale. Tale opzione ermeneutica ha trovato successiva conferma nell’art. 24 c.p.a.

Gabriella Crepaldi

TAR Piemonte, Torino, Sez. I, 14 gennaio 2011, n. 27

Sulla rinuncia al ricorso

Giudizio di I° grado

In presenza di un rituale atto di rinuncia, naturalmente riferito alla totalità delle domande proposte con il ricorso giurisdizionale, e in difetto di opposizione delle altre parti costituite, il Collegio è tenuto a dichiarare l’estinzione del giudizio, ai sensi degli artt. 35, comma 2, lett. c), e 84 c.p.a.

Gabriella Crepaldi

TAR Piemonte, Torino, Sez. II, 22 gennaio 2011, n. 59

Sulla rinuncia al ricorso

Giudizio di I° grado

Ai sensi dell’art. 84 del codice del processo amministrativo, approvato con d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104, la parte può rinunciare al ricorso in ogni stato e grado della controversia, mediante dichiarazione sottoscritta da essa stessa o dall’avvocato munito di mandato speciale e depositata presso la segreteria o mediante dichiarazione resa in udienza e documentata nel relativo verbale, da notificarsi alle altre parti almeno dieci giorni prima dell’udienza e che, se quelle che hanno interesse alla prosecuzione, non si oppongono, il processo si estingue. Tuttavia, la circostanza che non risulti documentata l’osservanza di tutte le formalità prescritte non preclude al giudice di dichiarare l’estinzione del giudizio a norma del comma 4 della disposizione citata, atteso che la rinuncia agli atti resa dalla ricorrente e il disinteresse comunque manifestato dalla stessa in corso di causa appaiono elementi sintomatici della sua carenza d’interesse alla decisione del ricorso (cfr., in termini, TAR Piemonte, Sez. II, 22 gennaio 2011, n. 98; idem,17 gennaio 2011 n. 168).

Gabriella Crepaldi

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TAR Piemonte, Torino, Sez. I, 4 febbraio 2011, n. 128

Sulla litispendenza

Giudizio di I° grado - introduzione del giudizio

Benché il nuovo codice del processo amministrativo abbia individuato il momento del perfezionamento della notificazione dell’atto introduttivo quale termine di decorrenza di svariati termini endoprocessuali (termine per la costituzione dell’Amministrazione resistente e dei controinteressati, termine per la proposizione del ricorso incidentale e della domanda riconvenzionale), la scelta non si ritiene incidere sul momento della litispendenza qualora il ricorso notificato non venga mai depositato. La litispendenza potrebbe essere fissata al momento della notificazione del ricorso alla sola condizione che la fattispecie complessa dell’incardinamento della lite (data dalla notificazione alle controparti e dal deposito dell’atto introduttivo presso l’ufficio) sia perfezionata in tutti i suoi elementi.

Gabriella Crepaldi

Consiglio di Stato, Sez. IV, 8 febbraio 2011, n. 2955

Sul regime probatorio nel processo amministrativo

Giudizio di I° grado - istruttoria

Nel processo amministrativo il sistema probatorio è fondamentalmente retto dal principio dispositivo con metodo acquisitivo degli elementi di prova da parte del giudice, il quale comporta l’onere per il ricorrente di presentare almeno un indizio di prova perché il giudice possa esercitare i propri poteri istruttori. Ciò si giustifica in quanto il ricorrente, di per sé, non ha la disponibilità delle prove, essendo queste nell’esclusivo possesso dell’Amministrazione ed essendo quindi sufficiente che egli fornisca un principio di prova. Viceversa, la disciplina contenuta nell’art. 2697 c.c., secondo la quale spetta a chi agisce in giudizio indicare e provare i fatti, deve trovare integrale applicazione anche nel processo amministrativo ogniqualvolta non ricorra tale disuguaglianza di posizioni tra Pubblica Amministrazione e privato.

Alex Maglione

TAR Piemonte, Torino, Sez. II, 25 febbraio 2011, n. 205

Sull’inammissibilità del ricorso

Giudizio di I° grado

E’ inammissibile e soggiace alla relativa declaratoria, ai sensi dell’art. 35, comma 1, lett. b), del codice del processo amministrativo, la domanda giurisdizionale di annullamento di un atto che si fonda su più motivi autonomi, allorquando essa sia volta a censurarne solo uno: l’eventuale fondatezza della censura, infatti, non farebbe venir meno l’atto che si regge anche sugli altri motivi.

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Gabriella Crepaldi

TAR Piemonte, Torino, Sez. II, 25 febbraio 2011, n. 196

Sul principio di non contestazione

Giudizio di I° grado - istruttoria

L’assenza di ogni difesa da parte dell’Amministrazione comporta l’applicazione del principio di non contestazione ex art. 64, comma 2, d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104, (cd. codice del processo amministrativo), ovvero, argomenti di prova sfavorevoli ex art. 64, comma 4, medesimo testo, dovendosi ricavare che, rispetto a quanto dedotto in ricorso e asserito dal Collegio, l’Amministrazione non avesse alcuna difesa utile da opporre.

Gabriella Crepaldi

TAR Lombardia, Milano, Sez. III, 14 aprile 2011, n. 1374

Sull’inammissibilità della prova testimoniale nell’udienza di discussione

Giudizio di I° grado - istruttoria

Il codice del processo amministrativo prevede che la prova testimoniale possa essere disposta solo ad istanza di parte, ma nulla dispone in ordine al momento ultimo in cui siffatta istanza può essere presentata. Il fatto che il processo amministrativo non preveda alcuna distinzione fra la fase istruttoria e quella decisoria farebbe propendere per l’ammissibilità dell’istanza di prova per testi anche all’udienza di discussione.

Tuttavia vi sono elementi decisivi che militano per la soluzione contraria. L’impianto del codice sembra, infatti, presupporre che prima della udienza di discussione le parti abbiano già esercitato le proprie facoltà relative all’allegazione ed alla prova dei fatti. In tal senso milita la norma secondo cui esse possono produrre i documenti entro 40 giorni prima della udienza di discussione e le memorie entro 30 giorni prima di tale data e soprattutto la disposizione secondo cui nella predetta udienza è consentita solo una discussione “sintetica”. A ciò si aggiunga che l’indicazione dei testi in udienza comporterebbe la necessità di rinviare la trattazione del ricorso tutte le volte che controparte chieda di poter controdedurre, con conseguente allungamento dei termini processuali che, invece, la disciplina del codice ha voluto mantenere contratti.

Alex Maglione

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 21 aprile 2011, n. 1829

Sui termini di costituzione

Giudizio di I° grado - istruttoria

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Va confermato, anche dopo l’entrata in vigore del codice del processo amministrativo, l’orientamento formatosi in giurisprudenza durante la vigenza della legge n. 1034/1971, incline a reputare ammissibile la costituzione tardiva della parte intimata nel processo amministrativo, in ragione della non perentorietà del termine previsto. Come conseguenza della costituzione tardiva, semmai, deve essere considerata l’impossibilità di produrre memorie e documenti, essendo i poteri della parte tardivamente costituita limitati alla sola difesa orale nel corso dell’udienza di discussione. In tal senso, va precisato come le conclusioni alle quali era giunta la giurisprudenza formatasi sulla legge n. 1034/1971 conservino intatte la loro validità anche in presenza del d.lgs. n. 104/2010, sia perché la formulazione dell’art. 46 ricalca sostanzialmente quella dell’abrogato art. 22 della legge n. 1034/1971, sia perché, anche alla luce della nuova disciplina del c.p.a., non pare mutata la “ratio” ispiratrice dell’orientamento giurisprudenziale sopra indicato.

Alex Maglione

TAR Piemonte, Torino, Sez. I, 4 maggio 2011, n. 452

Prova per testimoni e rinvio al c.p.c.

Giudizio di I° grado - istruttoria

Il codice del processo amministrativo rinvia al c.p.c., in quanto compatibile, in relazione a termini e modi di assunzione della prova (artt. 39 e 68 c.p.a.); ai sensi dell’art. 244 c.p.c. la prova per testimoni deve essere dedotta “mediante indicazione specifica delle persone da interrogare”. Benché la giurisprudenza civile ammetta anche una indicazione indiretta del teste (ad esempio attraverso la funzione espletata), occorre pur sempre che essa sia fatta in modo tale da consentire una sicura e tempestiva identificazione dei testimoni, sì da garantire il regolare instaurarsi del contraddittorio. Perciò è da ritenersi tardiva l’indicazione dell’identità del teste quando siano maturate le preclusioni istruttorie, poiché solo con tale ultima indicazione l’articolazione della prova può dirsi completa (Cass., Sez. III, n. 13250/2010). L’enunciato principio si ritiene compatibile e quindi applicabile anche alle preclusioni ex art. 73 c.p.a.

Gabriella Crepaldi

TAR Campania, Napoli, Sez. VIII, 5 maggio 2011, n. 2459

Sulla competenza territoriale a conoscere dei motivi aggiunti

Giudizio di I° grado - motivi aggiunti

Con riguardo allo statuto normativo da applicare in materia di rilievo dell’incompetenza per territorio, si afferma che la scelta di impugnare a mezzo di motivi aggiunti, notificati dopo il 16 settembre 2010, provvedimenti sopravvenuti connessi a quelli che formano già oggetto del giudizio pendente introdotto prima di tale data, assoggetta la nuova impugnativa alla medesima competenza già radicatasi per il giudizio cui essa accede.

Anna Pappalardo

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TAR Campania, Napoli, Sez. VII, 5 maggio 2011, n. 2463

Fatti non contestati e discrezionalità del giudice

Giudizio di I° grado - istruttoria

In forza del disposto di cui all’art. 64, comma 2, c.p.a., i fatti non contestati devono essere posti a fondamento della decisione, senza che residui alcuna discrezionalità per il giudicante. Peraltro la collocazione topografica del disposto dell’art. 64, comma 2, deve portare a ritenere che nell’ambito del processo amministrativo i fatti non contestati confluiscono nel concetto di prova.

Anna Pappalardo

TAR Lombardia, Milano, Sez. III, 6 maggio 2011, n. 1205

Sull’interrogatorio libero

Giudizio di I° grado - istruttoria

Il giudice amministrativo, quando le dichiarazioni delle parti costituite possano fornire motivi sussidiari di convincimento per corroborare o disattendere le prove già acquisite al processo (e quindi solo in via “suppletiva” o “indiziaria” e non nella loro isolatezza quali elementi di “piena prova”), può disporre l’interrogatorio libero delle parti costituite, anche in sede generale di legittimità, ai sensi degli artt. 63 e 64 c.p.a. norme queste che non distinguono tra i vari tipi di giudizio amministrativo (di legittimità, esclusiva e di merito).

Pur con i predetti limiti, l’interrogatorio libero, oltretutto acquisibile anche in sede di incidente cautelare (visto che l’art. 56, comma 7, c.p.a. non preclude la presenza della parte personalmente in tale fase), costituisce pertanto un importante ausilio alla chiarificazione e precisazione delle allegazioni di fatto contenute negli scritti difensionali, specie nelle controversie in cui solo il “contatto” con le parti può fornire indispensabili elementi “sensitivi” di convincimento ai fini del riscontro e della valutazione delle prove (in specie, documentali) già acquisite. Il colloquio informale, altresì, può consentire al giudice di comprendere in maniera più esauriente i termini reali delle operazioni economiche e dei meccanismi tecnici celati dietro il linguaggio specialistico utilizzato, facilitando allo stesso tempo l’espunzione dal thema probandum dei fatti non oggetto di specifica contestazione e per i quali il deducente può essere assolto ab onere probandi.

Alberto Linguiti

TAR Lombardia, Milano, Sez. III, 13 maggio 2011, n. 1233

Sulla possibilità per il giudice amministrativo, in caso di accoglimento del vizio di incompetenza, di esaminare gli altri motivi di ricorso

Giudizio di I° grado

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Nell’intento di garantire una maggiore effettività della tutela, il nuovo codice del processo amministrativo, all’art. 34, comma 1, lett. e), dispone che il giudice amministrativo, allorché ritenga fondati uno o più motivi di ricorso, non debba limitarsi ad annullare l’atto impugnato ma possa contestualmente indicare alla Pubblica Amministrazione le conseguenze che derivano dal giudicato, senza più dover attendere, a tal fine, la riedizione del potere. Tale facoltà, se raccordata con il principio della domanda, comporta che il giudice amministrativo non possa dichiarare assorbiti uno o più motivi di ricorso qualora il loro accoglimento possa arricchire il contenuto del giudicato aggiungendo vincoli più specifici al riesercizio del potere amministrativo, poiché, in tal caso, la domanda di annullamento viene ad integrarsi con un distinto petitum sul quale il giudice ha l’obbligo di pronunciarsi.

La predetta regola trova senz’altro applicazione nel caso in cui il ricorrente, accanto a censure di ordine sostanziale, deduca anche il vizio di incompetenza. Infatti il c.p.a. non prevede più che nel caso di accoglimento di tale motivo il giudice debba necessariamente rimettere l’intero affare all’autorità competente senza potersi pronunciare sulle restanti censure.

Margherita Mazzoncini

TAR Piemonte, Torino, Sez. II, 19 maggio 2011, n. 491 (ordinanza)

Sul verificatore

Giudizio di primo grado - istruttoria

Il verificatore non è tenuto a prestare giuramento, atteso che tale incombente è stabilito dal codice solo per il c.t.u. (v. art. 67, comma 1), secondo una scelta che si presenta priva di profili d’irragionevolezza atteso che il verificatore, quale funzionario pubblico, è già tenuto ad ottemperare fedelmente ai propri compiti e funzioni per il perseguimento del pubblico interesse, nel rispetto delle norme vigenti e dei principi di diritto che informano l’attività delle pubbliche amministrazioni.

Gabriella Crepaldi

TAR Campania, Napoli, Sez. III, 3 giugno 2011, n. 2962

Sull’ammissibilità di motivi aggiunti anche qualora le parti del ricorso per motivi aggiunti siano diverse da quelle del ricorso principale

Giudizio di I° grado - motivi aggiunti

E’ ammissibile il ricorso per motivi aggiunti con il quale si impugna un provvedimento emanato da un’autorità amministrativa diversa da quella che, per aver emanato l’atto gravato con il ricorso principale, è già parte del giudizio, sempre che tra i provvedimenti vi sia connessione (quale tipicamente, nelle vicende amministrative, è la relazione di presupposizione, consequenzialità, etc.) ed essi rientrino nella medesima vicenda di amministrazione.

Anna Pappalardo

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TAR Campania, Napoli, Sez. VII, 10 giugno 2011, n. 3076

Sulla tardività del deposito di memorie difensive

Giudizio di I° grado

Il deposito di memoria difensiva effettuato 29 giorni liberi prima dell’udienza va dichiarato tardivo in quanto viola il disposto di cui all’art. 73, comma 1, c.p.a. che prevede quale termine per il deposito delle memorie il termine di trenta giorni liberi prima dell’udienza.

Non costituisce causa di proroga del termine la circostanza che il giorno antecedente cada in giorno festivo, in quanto l’art. 155, comma 4, c.p.c., diretto a prorogare al primo giorno non festivo il termine scadente in giorno festivo, opera con esclusivo riguardo ai termini cosiddetti a decorrenza successiva, e non anche per quelli che si computano “a ritroso”, con l’assegnazione di un intervallo di tempo minimo prima del quale deve essere compiuta una determinata attività.

Anna Pappalardo

TAR Campania, Napoli, Sez. VII, 10 giugno 2011, n. 3093

Sui termini per il deposito di memorie

Giudizio di I° grado

Qualora l’udienza di discussione del ricorso sia stata fissata successivamente alla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 104/2010, si applica ratione temporis la nuova disciplina dei termini di cui all’art. 73, comma 1, per la presentazione di memorie e documenti.

Per definire il regime transitorio applicabile occorre distinguere il caso in cui, alla data del 16 settembre 2010, risulti essere già stata fissata l’udienza, dal caso in cui ciò non sia avvenuto. Nella prima ipotesi, preesistendo all’entrata in vigore del c.p.a. la concreta identificazione del dies a quo (ancorché a ritroso) coincidente con la data di udienza, la presentazione di memorie e documenti avviene con applicazione della normativa previgente al d.lgs. n. 104/2010; nella seconda ipotesi, in mancanza della concreta individuazione, alla data del 16 settembre 2010, del dies a quo stesso, il deposito, benché consentito, non può avvenire durante la pendenza del periodo previsto dal citato art. 2, non essendo predefinito il giorno dell'udienza che funge da termine di riferimento.

Anche nel sistema introdotto dal codice deve invero ritenersi - come nel precedente - che i termini fissati per il deposito di memorie e documenti siano perentori, come confermato indirettamente dall’art. 54, comma 1, c.p.a. che prevede la possibilità del Collegio di autorizzare, su richiesta di parte, la presentazione tardiva di memorie e documenti, quando la produzione nel termine di legge risulta estremamente difficile.

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Anna Pappalardo

TAR Piemonte, Torino, Sez. I, 16 giugno 2011, n. 639

Sospensione feriale dei termini e computo

Giudizio di I° grado - introduzione del giudizio

La sospensione ex lege dei termini processuali fino al 15 settembre comporta che il giorno 16 debba essere considerato quale dies a quo e, secondo la regola generale, non vada considerato nel calcolo del termine per l’impugnazione. Qualora la conoscenza degli atti lesivi avvenga durante il periodo di sospensione estiva dei termini processuali, pertanto, il giorno 16 settembre, quale dies a quo, non deve essere computato nel calcolo del termine per l’impugnazione.

Gabriella Crepaldi

TAR Piemonte, Torino, Sez. I, 16 giugno 2011, n. 640

Sulla rinuncia al ricorso in assenza delle formalità prescritte

Giudizio di I° grado

Quantunque l’atto di rinuncia al ricorso non sia stato notificato alle controparti, esso costituisce manifestazione del venir meno dell’interesse alla coltivazione del giudizio. Ai sensi dell’art. 84, comma 4, c.p.a., anche in assenza delle formalità prescritte (legale munito di mandato speciale, notifica alle altre parti almeno dieci giorni prima dell’udienza), il giudice amministrativo può desumere dall’intervento di fatti ed atti univoci dopo la proposizione del ricorso ed altresì dal comportamento delle parti argomenti di prova della sopravvenuta carenza di interesse alla decisione della causa.

Gabriella Crepaldi

TAR Piemonte, Torino, Sez. I, 16 giugno 2011, n. 641

Compiuta giacenza e applicazione alle comunicazioni

Giudizio di I° grado - introduzione del giudizio

Il decorso del tempo nel caso della cosiddetta compiuta giacenza, se vale a perfezionare la notificazione a mezzo del servizio postale, ha valore a maggior ragione nel campo, governato da meno rigide formalità, delle comunicazioni. L’opposta conclusione condurrebbe all’illogico risultato di favorire il soggetto che, omettendo di ritirare la corrispondenza, finirebbe per disporre di un termine più ampio e potenzialmente indeterminato per l’impugnativa degli atti lesivi dei suoi interessi, con conseguente pregiudizio per la certezza dei rapporti giuridici.

Gabriella Crepaldi

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TAR Campania, Napoli, Sez. I, 20 giugno 2011, n. 3255

Sul termine per il deposito della prova della notifica del ricorso

Giudizio di I° grado - introduzione del giudizio

Il ricorso è procedibile qualora la notifica sia stata ritualmente effettuata, mancando unicamente il deposito agli atti della relativa prova, atteso che, per il deposito della documentazione comprovante la data in cui la notificazione si è perfezionata anche per il destinatario, l’art. 45, comma 3, c.p.a., non stabilisce un termine di decadenza, precisando piuttosto che “in assenza di tale prova le domande introdotte con l’atto non possono essere esaminate”.

La cartolina di ricevimento della notifica ad una parte necessaria del processo può essere sempre prodotta, anche in udienza, essendo da escludere l’applicazione dei termini previsti dall’art. 73 c.p.a., che si riferisce piuttosto ai documenti della controversia.

Anna Pappalardo

TAR Friuli Venezia Giulia, Trieste, Sez. I, 27 giugno 2011, n. 231

Inammissibilità della trasposizione in sede giurisdizionale del ricorso straordinario effettuata dal cointeressato

Giudizio di I° grado

L’atto di trasposizione in sede giurisdizionale del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica effettuato dal cointeressato è inammissibile.

L’art. 34, comma 2 del R.D. n. 1054/1924, il quale prevedeva la facoltà della trasposizione in favore dei soli cointeressati che non avessero proposto ricorso in proprio (facoltà successivamente estesa dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 1/1964 anche ai controinteressati), non è più in vigore in quanto abrogato dall’art. 4, comma 1, n. 4) dell’Allegato 4 del d.lgs. n. 104/2010.

Viene così risolto il problema (dibattuto in dottrina) riguardante la sopravvenienza dell’art. 34 del R.D. n. 1054/1924 dopo l’entrata in vigore del d.P.R. n. 1199/1971 che ha ridisciplinato in toto la materia del ricorso straordinario senza prevedere più la possibilità della trasposizione dello stesso in sede giurisdizionale in favore dei cointeressati.

Ai sensi dell’art. 10, comma 2, del d.P.R. 1199/1971 e dell’art. 48, comma 3, del d.lgs. n. 104/2010 (che in caso di inammissibilità della trasposizione prevedono la possibile prosecuzione del giudizio in sede straordinaria) il TAR, rilevato che il ricorso può essere deciso in sede straordinaria, dispone la trasmissione del fascicolo al competente Ministero dell’Interno per gli ulteriori adempimenti istruttori.

Roberto Fusco

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TAR Piemonte, Torino, Sez. II, 15 luglio 2011, n. 790

Sulla cessazione della materia del contendere

Giudizio di I° grado

L’avvenuto annullamento amministrativo del provvedimento gravato è idoneo ad integrare un’ipotesi di cessazione della materia del contendere a norma dell’art. 34, comma 5, c.p.a., in quanto comunque satisfattivo della pretesa azionata; in tal modo, viene meno la posizione di contrasto tra le parti e, con essa, sia il loro interesse a proseguire il giudizio sia l’obbligo del giudice di pronunciare sull’oggetto della controversia.

Gabriella Crepaldi

Consiglio di Stato, Sez. III, 17 agosto 2011, n. 4792

Sulle novità del codice del processo amministrativo in tema di motivi aggiunti

Giudizio di I° grado - motivi aggiunti

Il nuovo art. 43 c.p.a. consente l’impugnazione di un provvedimento nuovo con lo strumento dei motivi aggiunti anche nei casi in cui le parti della nuova impugnazione non coincidano del tutto con quelle del ricorso iniziale. Ebbene, proprio la possibilità che le parti della prima e della seconda impugnazione non siano le stesse pone il problema di salvaguardare l’integrità del contraddittorio, con particolare riferimento ai controinteressati sopravvenuti, quali indubbiamente sono gli aggiudicatari di una procedura di gara rispetto all’impugnazione inizialmente proposta, da uno degli altri concorrenti, avverso la propria esclusione.

Nell’ipotesi in cui al ricorso avverso l’esclusione da gara pubblica, correttamente notificato solo alla stazione appaltante, faccia seguito la proposizione di motivi aggiunti avverso l’aggiudicazione, solo questi ultimi vanno notificati al controinteressato aggiudicatario, e non anche il ricorso principale, essendo ciò sufficiente all’instaurazione del contradditorio, ma a condizione che in essi siano riportati, sia pure molto sinteticamente, le censure dedotte in quello principale, in termini sia di petitum che di causa petendi.

Margherita Mazzoncini

Tutela cautelare

TAR Piemonte, Torino, Sez. I, 21 aprile 2011, n. 406 (ordinanza)

Sulla delega al magistrato relatore

Tutela cautelare - riti speciali

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Nel giudizio cautelare, per valutare la sostenibilità economica di un’offerta in un procedimento contrattuale, va disposta una verificazione, affidata ad un tecnico universitario, con l’assegnazione di termini per il rispetto del contraddittorio; per la proroga dei termini e per eventuali chiarimenti è delegato il magistrato relatore, incaricato di provvedere con atti monocratici (n.d.r.: il magistrato delegato ha effettivamente provveduto con atto monocratico in data 3 giugno 2011, n. 2276).

Gabriella Crepaldi

TAR Piemonte, Torino, Sez. I, 14 maggio 2011, n. 322 (ordinanza)

Sull’audizione in camera di consiglio del dirigente competente

Tutela cautelare - rito ordinario (e ante causam)

Nel giudizio cautelare, onde acclarare la situazione di fatto, occorre disporre la convocazione, a chiarimenti, del dirigente competente affinché sia sentito in camera di consiglio su circostanze previamente capitolate dal Collegio.

Gabriella Crepaldi

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, 10 giugno 2011, n. 1514

Sulla notifica del ricorso a mezzo fax e conseguenze

Tutela cautelare - rito ordinario (e ante causam)

E’ ammissibile il ricorso notificato all’Amministrazione via fax ai fini della proposizione della richiesta di misure cautelari monocratiche ai sensi dell’art. 56 del codice del processo amministrativo; tuttavia la norma stabilisce che se la parte si avvale della facoltà di cui al secondo periodo del comma 2 (notificazione a mezzo fax), le misure cautelari perdono efficacia se il ricorso non viene notificato per via ordinaria entro cinque giorni dalla richiesta delle misure cautelari provvisorie.

Alberto Linguiti

Giudicato, ottemperanza ed esecuzione

TAR Liguria, Genova, Sez. II, 12 novembre 2010, n. 10372

Sull’esecuzione del decreto di accoglimento del ricorso straordinario

Giudicato, ottemperanza ed esecuzione - procedimento di ottemperanza ed esecuzione

Le controversie sul silenzio serbato dall'Amministrazione sull’istanza di esecuzione del decreto di accoglimento di riscorso straordinario rientrano nella cognizione del giudice amministrativo,

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quand’anche nella fase di merito le posizioni giuridiche delle controparti abbiano natura paritetica (cfr., ad es., Cons. Stato , Sez. VI, 21 luglio 2010 , n. 4802).

Al fine di far valere il titolo alla puntuale esecuzione della decisione sul ricorso straordinario non è utilizzabile lo strumento del ricorso per l’ottemperanza, che è limitato all’esecuzione del giudicato, quanto piuttosto, in base al principio di effettività che deve assistere le decisioni emesse in esito a procedimenti lato sensu contenziosi, volti alla tutela di situazioni soggettive del privato, la pretesa al pieno e corretto adempimento all’atto decisorio non resta sfornita di tutela, rinvenendosi nella possibilità di rendere significativo con rituale diffida il comportamento omissivo dell’Amministrazione per poi avvalersi dello strumento apprestato dall’art. 21 bis della legge n. 241/1990 ai fini della declaratoria di illegittimità del silenzio rifiuto con comminatoria dell’ordine di esecuzione (cfr., ad es., Cons. Stato, Sez. VI, 4 aprile 2008, n. 1440 e TAR Lazio, Sez. I, 18 dicembre 2007, n. 13528).

Francesca Romana Maellaro

Cassazione civile, Sez. Unite, 28 gennaio 2011, n. 2065

Sull’esecuzione del decreto di accoglimento del ricorso straordinario

Giudicato, ottemperanza ed esecuzione - procedimento di ottemperanza ed esecuzione

In materia di ricorsi amministrativi, l’evoluzione normativa - della quale costituiscono espressione, da una parte, l’art. 69 della legge n. 69/2009, laddove prevede l’incidente di costituzionalità da parte del Consiglio di Stato chiamato ad esprimere il parere sul ricorso straordinario ed abolisce la facoltà del Ministro di discostarsi dal parere del Supremo Consesso, e, dall’altra, l’art. 112 dell’allegato 1 del d.lgs. n. 104/2010, il quale, alla lettera b), prevede che l’azione di ottemperanza può essere proposta per conseguire l’attuazione delle sentenze esecutive e degli altri provvedimenti esecutivi del giudice amministrativo - porta a configurare la decisione resa su ricorso straordinario come provvedimento che, pur non essendo formalmente giurisdizionale, è tuttavia suscettibile di tutela mediante il giudizio di ottemperanza. Tale principio deve trovare applicazione per la analoga decisione resa dal Presidente della Regione siciliana ai sensi della normativa regionale, modellata sulla disciplina dettata per il ricorso straordinario al Capo dello Stato. Ne deriva che è senz’altro ammissibile il giudizio di ottemperanza in relazione al decreto del Presidente della regione siciliana che abbia accolto il ricorso straordinario.

Margherita Mazzoncini

Consiglio di Stato, Sez. V, 28 aprile 2011, n. 2532

Sul rito applicabile sulle domande del commissario ad acta

Giudicato, ottemperanza ed esecuzione - poteri del giudice e commissario ad acta

Per ineludibili esigenze di economia dei mezzi processuali nel caso di introduzione da parte del commissario ad acta di due differenti domande sottoposte a riti diversi (la prima, relativa alla richiesta di proroga del mandato collegata alla asserita persistente inottemperanza, veicola un

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incidente di esecuzione che, a mente dell’art. 114, commi 3, 6 e 7, c.p.a. deve essere deciso dal giudice dell’ottemperanza con sentenza in forma semplificata; la seconda, relativa alla richiesta di liquidazione del compenso, dovrebbe essere invece decisa, ai sensi del combinato disposto degli artt. 57 e 168, comma 1, t.u. n. 115/2002, dal giudice che procede con decreto emanato de plano), le due istanze devono essere trattate congiuntamente, dandosi la prevalenza al rito collegiale camerale previsto dall’art. 114 c.p.a. maggiormente garantista (secondo il principio generale che innerva la norma sancita dall’art. 32, comma 1, c.p.a.). Il procedimento divisato dall’art. 168 troverà un limitato ambito di applicazione solo quando il giudice amministrativo non proceda alla liquidazione di acconti (cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV, 30 novembre 2010, n. 8363), ovvero non sia tenuto a risolvere con sentenza altri incidenti di esecuzione.

Francesca Romani

Consiglio di Stato, Sez. V, 28 aprile 2011, n. 2542

Sull’ottemperanza al lodo arbitrale dichiarato esecutivo

Giudicato, ottemperanza ed esecuzione - procedimento di ottemperanza e lodo arbitrale

Si deve confermare il condivisibile orientamento interpretativo di questo Consiglio, che, già con riguardo al quadro normativo anteriore all’entrata in vigore del codice del processo amministrativo, ha ritenuto ammissibile la proposizione del rimedio dell’ottemperanza anche ai fini dell’esecuzione del lodo arbitrale dichiarato esecutivo (cfr., ex plurimis, Cons. Stato, Sez. V, 12 ottobre 2009, n. 6241; idem, 12 novembre 2001, n. 5788; idem, 1° marzo 2000, n. 1089). Ad avviso di detto indirizzo ermeneutico, “il lodo arbitrale, già di per sé idoneo ad acquistare l’efficacia di cosa giudicata, una volta reso esecutivo con decreto del pretore, è titolo esecutivo nel territorio della Repubblica ai sensi dell’art. 474, c.p.c. e costituisce presupposto per l’iscrizione dell’ipoteca giudiziale ex art. 2819 c.c. nonché titolo per la trascrizione o l’annotazione nei registri immobiliari e, come tale, è suscettibile di formare oggetto del giudizio d’ottemperanza”.

Il nuovo codice del processo amministrativo ha consacrato detta equiparazione prevedendo expressis verbis, all’art. 112, comma 1, lett. e), la proponibilità del rimedio dell’ottemperanza anche ai fini dell’esecuzione dei lodi arbitrali esecutivi divenuti inoppugnabili. Deve quindi reputarsi ammissibile il ricorso per ottemperanza ai fini dell’esecuzione del lodo che qui viene in rilievo, che presenta i requisiti richiesti dalla giurisprudenza e confermati dalla sopravvenuta disciplina codicistica.

Francesca Romana Maellaro

Consiglio di Stato, Sez. VI, 2 maggio 2011, n. 2578

Sui limiti all’oggetto del giudizio di ottemperanza

Giudicato, ottemperanza ed esecuzione - ambito oggettivo e soggettivo del giudicato

Occorre premettere, in linea di diritto, che l’oggetto del giudizio di ottemperanza azionato in primo grado è rappresentato dalla puntuale verifica da parte del giudice dell’esatto adempimento

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da parte dell’Amministrazione dell’obbligo di conformarsi al giudicato per far conseguire concretamente all’interessato l’utilità o il bene della vita già riconosciutogli in sede di cognizione (Cons. Stato., Sez. V, 3 ottobre 1997, n. 1108; Cons. Stato, Sez. IV, 15 aprile 1999, n. 626; Cons. Stato, Sez. IV, 17 ottobre 2000, n. 5512). Detta verifica, che deve essere condotta nell’ambito dello stesso quadro processuale che ha costituito il substrato fattuale e giuridico della sentenza di cui si chiede l’esecuzione (Cons. Stato, Sez. V, 9 maggio 2001, n. 2607; Cons. Stato, Sez. IV, 9 gennaio 2001, n. 49), passa attraverso l’interpretazione del giudicato, al fine di enucleare e precisare il contenuto del comando giudiziale, attività da compiersi esclusivamente sulla base della sequenza “petitum – causa petendi – motivi – decisum” (Cons. Stato, Sez. IV, 9 gennaio 2001, n. 49; Cons. Stato, Sez. V, 28 febbraio 2001, n. 1075). Pertanto, in sede di giudizio di ottemperanza non può essere riconosciuto un diritto nuovo ed ulteriore rispetto a quello fatto valere e affermato con la sentenza da eseguire, anche se sia ad essa conseguente o collegato (Cons. Stato, Sez. IV, 17 gennaio 2002, n. 247), né possono essere proposte domande che non siano contenute nel “decisum” della sentenza da eseguire (Cons. Stato, Sez. V, 18 agosto 2010, n. 5817; Cons. Stato, Sez. IV, 9 gennaio 2001 n. 49; Cons. Stato, Sez. IV, 10 agosto 2000, n. 4459).

Francesca Romana Maellaro

Consiglio di Stato, Sez. VI, 10 giugno 2011, n. 3513

Sull’esecuzione del decreto di accoglimento del ricorso straordinario

Giudicato, ottemperanza ed esecuzione - procedimento di ottemperanza ed esecuzione

Il rimedio del ricorso in ottemperanza è esperibile al fine di ottenere la esecuzione del decreto decisorio del ricorso straordinario al Capo dello Stato (Cassazione civile, Sez. Unite, 28 gennaio 2011, n. 2065).

Il ricorso straordinario costituisce un rimedio giustiziale che si colloca in simmetrica alternativa con quello giurisdizionale ancorché di più ristretta praticabilità quanto al novero delle azioni esperibili. Negli anni recenti ne è stata progressivamente esaltata utilità e funzione. L’effettività del parallelismo e dell’alternatività dei due rimedi impone che – nelle materie e limitatamente alle domande per cui è proponibile ricorso straordinario – tale rimedio appresti un grado di tutela non inferiore a quello conseguibile agendo giudizialmente. Ed in tale affermazione è compresa la possibilità di esperire il ricorso per l’ottemperanza al fine di ottenere l’esecuzione del decreto presidenziale (nel caso di specie l’Amministrazione omise di conformarsi richiamando il principio discendente da una decisione resa dalla Corte di Cassazione ma secondo il Consiglio di Stato tale decisione non era invocabile in quanto – seppur certamente resa da autorevole Organo giurisdizionale – riguardava parti diverse, e non poteva essere invocata per paralizzare l’esecuzione del decreto decisorio su ricorso straordinario, in quanto questo possiede la stessa efficacia della sentenza regiudicata).

Francesca Romani

TAR Campania, Napoli, Sez. III, 28 giugno 2011, n. 3439

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Giudizio di ottemperanza e congiunta azione risarcitoria

Giudicato, ottemperanza ed esecuzione - procedimento di ottemperanza ed esecuzione

Solo con l’entrata in vigore del nuovo codice del processo amministrativo è stata ammessa la possibile proposizione, nel giudizio di ottemperanza, di una azione risarcitoria anche per i danni riguardanti periodi precedenti al giudicato (art. 112, comma 4). Tuttavia tale possibilità resta contenuta nei limiti (temporali e sostanziali) dettati dal precedente art. 30 e con la precisazione che, in tal caso, “il giudizio si svolge nelle forme, nei modi e nei termini del processo ordinario” (Cons. Stato, Sez. V, 23 novembre 2010, n. 8142).

La legge ha ora codificato al comma 3 dell’art. 112 la proposizione in sede di ottemperanza dell’azione di “risarcimento danni derivante dalla mancata esecuzione, violazione o elusione del giudicato”. Il codice ha altresì innovato, rispetto al diritto pretorio precedente, ammettendo (art. 112, comma 4) la proposizione per la prima volta in sede di ottemperanza anche della domanda risarcitoria riguardante il danno formatosi anteriormente alla sentenza della cui esecuzione si tratta (nel caso in esame, viene in rilievo un’ipotesi di danno da ritardo, ossia di danno derivante dalla violazione del termine di conclusione del procedimento).

La domanda volta a ottenere il ristoro dei danni da ritardo subiti per tutto il periodo che intercorre dal momento di avvio del procedimento con l’istanza di permesso di costruire fino alla definizione dello stesso deve necessariamente essere scomposta in tre parti: 1) il risarcimento del danno “già maturato nella definizione del procedimento avviato con la richiesta” ; 2) il risarcimento “in ragione del ritardo nell’ottemperanza al dictum giudiziale”; 3) la fissazione della “misura dell’ulteriore risarcimento per il successivo ritardo”.

Sebbene la domanda risarcitoria per il pregiudizio subito a causa del ritardo riguardi sia i danni prodottisi ante giudicato, sia quelli post giudicato, il fatto lesivo che identifica in modo unitario la causa petendi è lo stesso, ossia la mancata conclusione del procedimento con un provvedimento espresso dell’Amministrazione. Si tratta, invero, di una condotta omissiva che prosegue sostanzialmente omogenea, ancorché l’intervento della sentenza ex art. 21 bis (sul silenzio della P.A.) abbia ad un certo punto (in parte) mutato la qualificazione giuridica dell’inadempimento e, quindi, il correlativo titolo giuridico della pretesa (di provvedimento e risarcitoria) del ricorrente, in termini di violazione del giudicato.

Anna Pappalardo

Consiglio di Stato, Sez. IV, 2 settembre 2011, n. 4975

Vizi deducibili con il ricorso per l’ottemperanza

Giudicato, ottemperanza ed esecuzione – procedimento di ottemperanza ed esecuzione

Anche la sola deduzione della violazione od elusione del giudicato compendia gli elementi minimi e sufficienti richiesti dall’art. 40 c.p.a. per la valida introduzione di un giudizio di ottemperanza al giudicato.

Gaetano Zurlo

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Consiglio di Stato, Sez. IV, 2 settembre 2011, n. 4975

Sulla competenza del giudice dell’ottemperanza

Giudicato, ottemperanza ed esecuzione – procedimento di ottemperanza ed esecuzione

L’art. 112 c.p.a. secondo cui è lo stesso giudice che ha emesso la sentenza sulla quale si è formato il giudicato che è chiamato a dettare le misure per la corretta ottemperanza al giudicato stesso trova giustificazione nella circostanza che la conoscenza approfondita della questione, invero garantita da chi abbia già contribuito a costituire il dictum nell’appropriata sede cognitoria, agevola oggettivamente il compito esecutivo.

Gaetano Zurlo

Impugnazioni

TAR Campania, Napoli, Sez. VII, 27 aprile 2011, n. 2315

Sulla legittimazione all’opposizione di terzo

Impugnazioni - opposizione di terzo

L’ art. 108, comma 1, c.p.a., prevedendo l’ipotesi del terzo che “titolare di una posizione autonoma e incompatibile, può fare opposizione contro una sentenza del tribunale amministrativo regionale o del Consiglio di Stato pronunciata tra altri soggetti, ancorché passata in giudicato, quando pregiudica i suoi diritti o interessi legittimi”, con una formula certamente meno neutra di quella adoperata dal codice di rito civile all’art. 404, comma 1, evidenzia come l’opposizione di terzo, in ambito processuale amministrativo, è strumento precipuo di tutela del litisconsorte pretermesso e, pertanto, certamente l’intentio della codificazione non poteva essere quella di mutilare l’istituto della parte casistica maggiormente pregnante.

La lettera dell’art. 108, comma 1, c.p.a. non può e non deve essere intesa nel senso di escludere la legittimazione del litisconsorte pretermesso, riservando il rimedio impugnatorio in esame alle sole posizioni di titolarità di un diritto sostanziale autonomo, incompatibile e prevalente, contrapposto a quella - processuale e, quindi, formale - di chi lamenti essenzialmente il mancato necessario coinvolgimento, fin dalla sua origine, nel processo.

Anna Pappalardo

TAR Campania, Napoli, Sez. VII, 27 aprile 2011, n. 2315

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Opposizione di terzo - contenuti dell’azione

Impugnazioni - opposizione di terzo

Nel processo amministrativo, al fine di esperire l’azione di opposizione di terzo ai sensi dell’art. 108 c.p.a., mentre il litisconsorte pretermesso tout court non ha l’onere di formulare censure di merito, proprio perché lamenta la violazione di un diritto processuale (ancorchè collegato ad una presunzione di incompatibilità sostanziale), il terzo, il quale faccia valere un diritto sostanziale autonomo, incompatibile e prevalente su quello riconosciuto con la sentenza passata in giudicato, deve dare corpo al proprio interesse ad impugnare, non soltanto invocando la rescissione della pronuncia lesiva, ma anche deducendo i motivi di merito per cui la propria posizione dovrebbe risultare prevalente su quella già regolata in sentenza a favore dell’originario ricorrente (nella specie, il TAR ha dichiarato inammissibile l’opposizione del terzo in quanto l’opponente, pur affermandosi titolare di una posizione sostanziale autonoma e incompatibile con quella riconosciuta con la sentenza opposta, si è limitato a chiedere una pronuncia rescindente della sentenza, senza nulla dedurre sul necessario piano rescissorio).

Gaetano Zurlo

Consiglio di Stato, Sez. IV, 3 maggio 2011, n. 2636

Sulla legittimazione a proporre opposizione di terzo ordinaria

Impugnazioni - opposizione di terzo

Costituisce indirizzo pacifico (v. Cons. Stato, Ad. Plen., 11 gennaio 2007, n. 2), che la legittimazione al rimedio dell’opposizione di terzo, introdotto nel processo amministrativo dalla sentenza additiva della Corte Costituzionale n. 177 del 1995, secondo il modulo di cui all’art. 404, comma 1, c.p.c. (ed ora contemplato all’art. 108 del codice del processo amministrativo, intervenuto in corso di causa, che ha, inoltre, introdotto l’opposizione revocatoria), va riconosciuta non a qualunque soggetto pregiudicato dalla sentenza resa inter alios ma ai controinteressati (pretermessi, non facilmente individuabili o sopravvenuti che siano) e, più in generale, ai soggetti che siano titolari di una posizione autonoma rispetto a quella azionata nel giudizio ed incompatibile con l’assetto definito con la sentenza opposta. In particolare, è esclusa la legittimazione dei titolari di diritti dipendenti dalla posizione soggettiva di chi è stato parte in causa, come tali esposti all’efficacia riflessa del giudicato.

Irene De Chiaro

Consiglio di Stato, Sez. VI, 9 maggio 2011, n. 2738

Sulla deroga al divieto dei nova in appello

Impugnazioni - appello

I presupposti di ammissibilità di prove nuove in appello previsti dagli artt. 345 c.p.c. e 104 c.p.a. -vale a dire la dimostrazione che la parte non ha potuto produrli in primo grado per causa ad essa

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non imputabile, e la valutazione di indispensabilità da parte del collegio - sono da considerarsi alternativi. Considerato che, nel processo di primo grado, l’Amministrazione resistente ha l’onere di depositare il provvedimento impugnato e, se non provvede, il giudice ordina anche d’ufficio l’esibizione dei documenti ex art. 65, comma 3, c.p.a., se ne desume che il provvedimento impugnato e gli altri atti del procedimento relativo sono per definizione “indispensabili” al giudizio. Con l’ulteriore conseguenza che la mancata acquisizione d’ufficio da parte del giudice di primo grado può essere supplita con i poteri ufficiosi del giudice di appello - atteso che l‘art. 46, comma 2, c.p.a. è senz‘altro applicabile in grado di appello -, senza che si incontri la preclusione ai nova in appello recata dall’art. 104, comma 2, c.p.a. (Cons. Stato, Sez. V, 29 marzo 2011, n. 1925), essendovi per definizione un’indispensabilità, sotto il profilo probatorio, del provvedimento impugnato e degli atti del relativo procedimento.

Irene De Chiaro

Consiglio di Stato, Sez. IV, 10 maggio 2011, n. 2768

Sulla legittimazione a proporre appello dei controinteressati pretermessi

Impugnazioni – appello

Nel processo amministrativo, anche a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 102, comma 1, c.p.a., secondo cui sono legittimate a proporre appello “le parti fra le quali è stata pronunciata la sentenza di primo grado”, deve essere riaffermata la validità dell’orientamento che riconosce ai c.d. controinteressati pretermessi, i quali avrebbero la possibilità di esperire il rimedio dell’opposizione di terzo, anche la legittimazione a proporre appello avverso la sentenza resa in difetto di loro evocazione in giudizio, al pari di qualsiasi soggetto che risultasse essere contraddittore necessario in quanto titolare di un interesse giuridicamente differenziato e qualificato alla conservazione dell’atto impugnato (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 26 novembre 2008, n. 5834; Cons. Stato, Sez. IV, 23 gennaio 2008, n. 167; idem, 26 settembre 2007, n. 4970; idem, 31 maggio 2007, n. 4248).

Irene De Chiaro

Consiglio di Stato, Sez. IV, 12 maggio 2011, n. 2872

Sui presupposti per la riunione degli appelli

Impugnazioni - appello

La riunione degli appelli, ai fini di un’unica decisione sugli stessi, presuppone, ai sensi dell’art. 96 c.p.a. che essi siano volti alla riforma della stessa sentenza. Nella specie, essendo oggetto di impugnazione con gli appelli per i quali era stata chiesta la riunione due distinte e diverse sentenze concernenti provvedimenti anch’essi distinti e diversi, pur se concernenti lo stesso soggetto e le prove concorsuali da questi sostenute, il giudice amministrativo ha ritenuto di dover

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procedere alla separata decisione dei due mezzi processuali in questione, con conseguente rigetto dell’istanza di parte, in coerenza con la giurisprudenza amministrativa che, prima dell’entrata in vigore del codice, riteneva applicabile al processo amministrativo l’art. 335 c.p.c. (Cons. Stato, Sez. V, 20 luglio 2009, n. 4527; idem, Sez. IV, 10 novembre 2006, n. 6634; idem, Sez. IV, 4 maggio 2006, n. 2482; idem, Sez. IV, 10 gennaio 2006, n. 27)

Gaetano Zurlo

Consiglio di Stato, Sez. III, 23 maggio 2011, n. 3094

Sul carattere dilatorio del termine di cui all’art. 46 c.p.a. e sui requisiti di ammissibilità della domanda di revocazione per errore di fatto.

Impugnazioni - revocazione

Il termine di costituzione in giudizio della parte intimata, che il nuovo art. 46, comma 1, c.p.a. fissa in sessanta giorni dalla ricevuta notificazione (come quello previsto dalle corrispondenti disposizioni vigenti anteriormente al c.p.a.), non va considerato perentorio, ossia comportante la decadenza dalla facoltà di costituirsi in giudizio, ma ha invece una funzione dilatoria e di garanzia, nel senso che, sino a che esso sia pendente, il giudizio non può essere definito in assenza del resistente.

E’ inammissibile la domanda di revocazione per errore di fatto ex art. 395, n. 4, c.p.c., proposta nei confronti di una sentenza del Consiglio di Stato che non ha preso specificatamente in esame un motivo di appello, se questo non riguarda un “punto” decisivo della controversia. Nel caso di specie, tutte le dissertazioni già svolte dall’appellante nel quarto motivo e ora riproposte con la domanda di revocazione sono assolutamente non pertinenti alla questione (l’unica) dibattuta nelle precedenti fasi del giudizio.

Irene De Chiaro

Consiglio di Stato, Sez. VI, 4 luglio 2011, n. 3999

Termini per la proposizione dell’appello e scusabilità dell’errore

Impugnazioni

Secondo il rito abbreviato l’appello è soggetto a termini abbreviati rispetto a quelli ordinari, ovvero trenta giorni dalla notificazione della sentenza e, in difetto di motivazione, tre mesi della pubblicazione della sentenza, laddove il previgente art. 23-bis, legge TAR prevedeva un termine lungo di 120 giorni dalla pubblicazione della sentenza.

Il nuovo regime si applica anche ai giudizi promossi in primo grado secondo il rito previgente, se il termine per l’appello non sia già in corso alla data di entrata in vigore del codice, vale a dire se la sentenza di primo grado sia pubblicata a partire dal 16 settembre 2010.

Laura Zanettini

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Consiglio di Stato, Sez. V, 5 settembre 2011, n. 4977

Divieto di ammissione di nuovi mezzi di prova in appello e prove cd. precostituite

Impugnazioni - appello

Sono inammissibili in sede di appello le prove nuove, in quanto non prodotte nel giudizio di primo grado, vigendo anche nel processo amministrativo il principio del divieto di ammissione di nuovi mezzi di prova in appello, sancito dall’art. 345 c.p.c., che riguarda anche le prove cd. precostituite, quali i documenti, la cui produzione è subordinata, alla pari delle prove cd. costituende, alla verifica della sussistenza di una causa non imputabile, che abbia impedito alla parte di esibirli in primo grado, ovvero alla valutazione della loro indispensabilità (Cons. Stato, Sez. IV, 12 ottobre 2010 , n. 7440), divieto peraltro confermato anche dall’art. 104, comma 2, c.p.a.

Irene De Chiaro

Riti speciali

TAR Piemonte, Torino, Sez. I, 19 novembre 2010, n. 4165

Sul risarcimento del danno per annullamento di aggiudicazione

Riti speciali - contratti pubblici

Ai fini della determinazione del quantum risarcitorio, nel caso di annullamento dell’aggiudicazione di una gara, il criterio del 10% del prezzo a base d’asta - se pure è in grado di fondare una presunzione su quello che normalmente è l’utile che un’impresa ritrae dall’appalto - non può essere oggetto di applicazione automatica e indifferenziata, poiché rischierebbe di rendere il risarcimento dei danni più favorevole per l’imprenditore dell’impiego del capitale; appare invece preferibile il criterio che esige la prova, a carico dell’impresa, della percentuale di utile effettivo che avrebbe conseguito se fosse risultata aggiudicataria dell’appalto. Tale principio trova oggi conferma nell’art. 124 del codice del processo amministrativo che, nel rito degli appalti, prevede il risarcimento del danno (per equivalente) “subito e provato”.

Gabriella Crepaldi

TAR Liguria, Genova, Sez. II, 3 febbraio 2011, n. 207

Sulla necessità di notifica ai controinteressati nei giudizi avverso il silenzio

Riti speciali - silenzio

La regola che impone la notifica del ricorso ai controinteressati, ancorché concepita e formulata con specifico riferimento ai giudizi impugnatori, esprime il principio generale della necessaria

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instaurazione di un contraddittorio processuale integro che comprenda tutti i soggetti direttamente interessati dall’esito del ricorso sicché l’onere con la stessa imposto deve intendersi applicabile a tutti i ricorsi (anche non preordinati all'annullamento di un atto amministrativo) in cui risulti configurabile l’esistenza di soggetti titolari di un interesse contrario a quello di chi li propone e che potrebbero, pertanto, restare pregiudicati. La qualità di controinteressato va riconosciuta a chi, nell’ambito dei giudizi di accertamento che si celebrano dinanzi al giudice amministrativo, categoria nella quale si iscrive anche il giudizio del silenzio, può ricevere un pregiudizio dalla pronuncia come accade quando, quantomeno in termini di prospettazione, siano invocate statuizioni del giudice nel senso dell’individuazione dei provvedimenti che l’Amministrazione debba adottare ovvero di provvedimenti vincolati (come ad esempio in caso di sanzioni edilizie).

Laura Lamberti

TAR Liguria, Genova, Sez. II, 4 febbraio 2011, n. 219

Sulla natura e sul dies a quo di decorrenza del termine per il deposito del ricorso elettorale con la prova delle eseguite notificazioni

Riti speciali - rito elettorale

Il termine per il deposito del ricorso elettorale, con la prova delle eseguite notifiche, ha carattere perentorio e decorre dal momento in cui il destinatario dell’atto ne riceve la notificazione e non già dal momento, eventualmente successivo, in cui il notificante riceva l’avviso del perfezionamento della notifica effettuata tramite il servizio postale, notificato alla parte che vi abbia interesse. La norma, formulata all’art. 83/11, d.P.R. n. 570/1960 e riprodotta all’art. 130, comma 4, c.p.a., mira a soddisfare le esigenze di certezza e rapidità del giudizio elettorale e ad evitare che il delicato iter processuale che caratterizza detto giudizio resti nella totale ed esclusiva disponibilità del ricorrente.

Laura Zanettini

TAR Piemonte, Torino, Sez. I, 7 aprile 2011, n. 363

Sul risarcimento del danno per equivalente

Riti speciali - contratti pubblici

La domanda di risarcimento dei danni per equivalente è una misura che la legge pone, di regola, in rapporto di alternativa alla dichiarazione di inefficacia del contratto (cfr. art. 124, comma 1, secondo periodo, c.p.a.) e non è conseguentemente suscettibile di accoglimento laddove il danno lamentato dalla ricorrente attiene solo al mancato conseguimento dell’utile derivante dall’aggiudicazione e dall’esecuzione del contratto.

Gabriella Crepaldi

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TAR Friuli Venezia Giulia, Trieste, Sez. I, 22 aprile 2011, n. 237

Sulla notifica del ricorso elettorale avverso l’esclusione di candidati per le elezioni comunali

Riti speciali - rito elettorale

Devono ritenersi corrette le notifiche di un ricorso in materia elettorale (proposto avverso un provvedimento di esclusione di alcune candidature di una lista elettorale) effettuate direttamente alla Prefettura e alla Regione, anziché presso l’Avvocatura dello Stato. Ciò perché: il dettato letterale dell’art. 129, comma 3, del codice del processo amministrativo impone la “consegna diretta” alla Prefettura; la stessa norma pone numerose deroghe in funzione della estrema celerità della procedura, deroghe fra le quali ben può essere ricompresa quella in esame; la vicenda è ancora nell’ambito del procedimento preparatorio, fase che ancora non interessa direttamente le amministrazioni destinatarie degli effetti del procedimento elettorale.

Roberto Fusco

TAR Campania, Napoli, Sez. II, 29 aprile 2011, n. 2413

Sui termini nel ricorso elettorale avverso esclusione di liste

Riti speciali - rito elettorale

Ai sensi dell’art. 129 c.p.a., secondo il quale il ricorso avverso l’esclusione di liste o candidati deve essere notificato e depositato nel termine perentorio di tre giorni dalla pubblicazione o comunicazione del provvedimento impugnato, va dichiarato irricevibile il ricorso che benché notificato nei termini, sia stato depositato successivamente allo scadere dei tre giorni.

Anna Pappalardo

Consiglio di Stato, Sez. V, 12 maggio 2011, n. 2817

Sul potere del giudice di accertare l’illegittimità degli atti di gara, a fini risarcitori, anche in mancanza di domanda risarcitoria già posta

Riti speciali - contratti pubblici

L’art. 34, comma 3, c.p.a. inibisce l’annullamento di atti che abbiano ormai esaurito i loro effetti nel corso del giudizio e tutela, in presenza dei necessari presupposti, l’interesse all’accertamento, sicchè quando residui la sola possibilità di un risarcimento per equivalente, il giudice adito con azione di annullamento, anche in assenza di domanda risarcitoria, proponibile ex art. 30, comma 5, c.p.a. sino a centoventi giorni dal passaggio in giudicato della relativa sentenza, accerta l’illegittimità degli atti impugnati mancando l’interesse all’annullamento ma sussistendo l’interesse all’accertamento ai fini risarcitori.

In costanza di fondata impugnativa degli atti di gara operata in funzione strumentale ad ottenere l’indizione di nuova gara, ove non ricorrano le condizioni previste dagli artt. 121 e 122 c.p.a. per dar luogo alla dichiarazione di inefficacia del contratto, il giudice adito, in applicazione dell’art. 34,

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comma 3, c.p.a., anche in assenza di espressa domanda, ha obbligo di accertare l’illegittimità degli atti impugnati dovendosi ritenere sussistente l’interesse ai fini risarcitori in relazione ad eventuali spese di partecipazione alla gara e all’eventuale perdita di chances che l’impresa possa allegare.

Laura Lamberti

TAR Lazio, Roma, Sez. II ter, 18 maggio 2011, n. 4310

Sul cumulo e sulla conversione delle azioni

Riti speciali - silenzio

Sia il cumulo che la conversione trovano attuazione all’interno del codice in relazione ai casi in passato ritenuti controversi dalla giurisprudenza. In particolare l’art. 117, comma 5, c.p.a. disciplina una ipotesi di cumulo e di conversione obbligatoria del rito speciale in rito ordinario, prevedendo che se nel corso del giudizio avverso il silenzio sopravviene il provvedimento espresso o un atto connesso con l’oggetto della controversia, questo può essere impugnato con motivi aggiunti secondo il rito ordinario e l’intero giudizio prosegue secondo tale rito. L’art. 117, comma 6, c.p.a. introduce invece una ipotesi di cumulo e di conversione facoltativa, se congiuntamente all’azione avverso il silenzio è proposta anche l’azione di risarcimento dei danni. In tal caso, infatti, ferma restando la proponibilità contestuale delle due domande, spetta al giudice scegliere se decidere con rito camerale l’azione avverso il silenzio, rinviando al rito ordinario la trattazione della domanda risarcitoria, oppure se convertire il rito speciale avverso il silenzio in rito ordinario.

Laura Zanettini

TAR Campania, Napoli, Sez. V, 6 luglio 2011, n. 3564

Sulla natura del giudizio sul silenzio

Riti speciali - silenzio

L'art. 31 del d.lgs. n. 104/2010 (cd. codice del processo amministrativo), in cui è traslato l’art. 21 bis, della legge n. 1034/1971, non ha inteso creare un rimedio di carattere generale, esperibile in tutte le ipotesi di comportamento inerte della P.A., slegato dalla giurisdizione del giudice amministrativo, il quale si configurerebbe come giudice del silenzio della P.A., ma soltanto un istituto giuridico di elaborazione giurisprudenziale relativo alla esplicazione di potestà pubblicistiche correlate alle ipotesi di mancato esercizio dell’attività amministrativa. Sicché ove la controversia attivata rientri tra quelle devolute al giudice ordinario ne discende l’inammissibilità del ricorso per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo.

Anna Pappalardo

Consiglio di Stato, Sez. V, 8 luglio 2011, n. 4089

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Integrale esecuzione del contratto d’appalto e interesse dell’aggiudicatario a dimostrare la legittimità dell’aggiudicazione

Riti speciali - contratti pubblici

L’eventuale annullamento o accertamento di illegittimità dell’aggiudicazione è potenzialmente idoneo a produrre effetti caducanti sul contratto pubblico stipulato, anche ex tunc (come stabilito dagli artt. 121 e 122 c.p.a.) e a rendere sine titulo il rapporto intercorso tra stazione appaltante e impresa. Come si evince dal considerando 21 della direttiva 2007/66/CE (c.d. “ricorsi”), lo svolgimento di un rapporto reso sine titulo a seguito dell’annullamento dell’aggiudicazione, potrebbe dare luogo a obblighi restitutori delle somme versate all’aggiudicatario illegittimo, nei limiti dell’arricchimento, consistenti nell’utile di impresa o in parte di esso.

Conseguentemente, anche nel caso di integrale esecuzione del contratto di appalto, l’aggiudicatario conserva l’interesse a dimostrare la legittimità dell’aggiudicazione in base alla quale il contratto è stato stipulato, in coerenza con l’art. 41, comma 2, c.p.a., ai sensi del quale il beneficiario dell’atto illegittimo è parte necessaria del giudizio anche di solo risarcimento.

Gianfrancesco Fidone

TAR Piemonte, Torino, Sez. I, 14 luglio 2011, n. 785

Sul ricorso incidentale nel rito speciale ex art. 119 c.p.a.

Riti speciali - contratti pubblici

Il ricorso incidentale in materia di appalti, ai sensi del combinato disposto dell’art. 42 e 120 c.p.a., deve proporsi nel termine di trenta giorni decorrenti dalla conoscenza del ricorso principale e non più dalla scadenza del termine stabilito dalla legge per il suo deposito come avveniva nel regime previgente.

Gabriella Crepaldi

Consiglio di Stato, Sez. V, 7 settembre 2011, n. 5032

Sulla facoltà dell’Amministrazione di procedere all’annullamento d’ufficio del provvedimento di aggiudicazione

Riti speciali - contratti pubblici

E’ stato più volte ribadito che, anche se nei contratti della Pubblica Amministrazione l’aggiudicazione, quale atto conclusivo del procedimento di scelta del contraente, segna normalmente il momento dell’incontro delle volontà dell’Amministrazione e del privato in ordine alla conclusione del contratto (volontà che per quanto riguarda la posizione dell’Amministrazione si è manifestata con la individuazione dell’offerta ritenuta migliore), non è tuttavia precluso all’Amministrazione di procedere con successivo atto (e con un richiamo ad un preciso e concreto interesse pubblico) all’annullamento d’ufficio dell’aggiudicazione.

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Tale potere di autotutela trova fondamento nei principi di legalità, imparzialità e buon andamento, cui deve essere improntata l’attività della Pubblica Amministrazione, ai sensi dell’articolo 97 Cost., in attuazione dei quali l’Amministrazione deve adottare atti il più possibile rispondenti ai fini da conseguire (fermo l’obbligo nell’esercizio di tale delicato potere, anche in considerazione del legittimo affidamento eventualmente ingeneratosi nel privato, di rendere effettive le garanzie procedimentali, di fornire un’adeguata motivazione in ordine alle ragioni che giustificano la differente determinazione e di una ponderata valutazione degli interessi, pubblici e privati, in gioco (cfr. Cons. Stato,Sez. V, 4 gennaio 2011, n. 11; idem, 10 settembre 2009, n. 5427; Cons. Stato, Sez. IV, 31 ottobre 2006, n. 6456; Cons. Stato, Sez. VI, 26 luglio 2010, n. 4864).

Margherita Mazzoncini

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