Post on 03-Jan-2019
Università degli Studi di Padova
Dipartimento di Studi Linguistici e Letterari
Corso di Laurea Magistrale in Filologia Moderna
Classe LM-14
Tesi di Laurea
Relatore Prof. Giovanni Borriero
Laureando Marianna Lana
n° matr.1082326 / LMFIM
«E começou mui bem […], mais houve maos
conselheiros» Os Livros de Linhagens e la
storia di Sancho II
Anno Accademico 2015 / 2016
1
A Matteo
2
3
Sommario
INTRODUZIONE ................................................................................................................. 5
CAPITOLO I OS LIVROS DE LINHAGENS ........................................................................ 9
1. LIVROS VELHOS DE LINHAGENS ....................................................................... 9
1.1. LIVRO VELHO DE LINHAGENS .................................................................... 9
1.2 LIVRO DO DEÃO ............................................................................................ 11
1.3 TRADIZIONE MANOSCRITTA ..................................................................... 13
1.4 EDIZIONI DELL'OPERA ................................................................................ 15
2. LIVRO DE LINHAGENS DO CONDE PEDRO .................................................... 18
2.1 LIVRO DE LINHAGENS ................................................................................ 18
2.2 TRADIZIONE MANOSCRITTA ..................................................................... 23
2.3 EDIZIONI DELL'OPERA ................................................................................ 33
2.4 LO STEMMA ELABORATO DA MATTOSO ............................................... 35
3 RIEPILOGO ............................................................................................................. 39
CAPITOLO II LE ORIGINI DEI LIBRI DEI LIGNAGGI ................................................ 43
1. SCOPI DEI LIBRI DEI LIGNAGGI ....................................................................... 43
2. FONTI DEI LIVROS DE LINHAGENS ................................................................. 47
CAPITOLO III LE NARRAZIONI DEL LIVRO DE LINHAGENS ................................... 55
1. NARRAZIONI DI CARATTERE FOLKLORICO ................................................. 56
2. NARRAZIONI DI CARATTERE NOVELLISTICO .............................................. 63
3. NARRAZIONI DI CARATTERE EPICO ............................................................... 71
4. TRADIZIONI FAMILIARI ..................................................................................... 77
5. NARRAZIONI DI CARATTERE STORICO ......................................................... 80
6. NARRAZIONI LEGATE AL CODICE CAVALLERESCO .................................. 87
7. TRA PROSA E POESIA .......................................................................................... 89
CAPITOLO IV LA STORIA DI SANCHO II: CENNI STORICI ..................................... 95
1. IL REGNO DI AFONSO II (1211-1222) ................................................................. 95
2. SANCHO II (1222-1248) ......................................................................................... 97
3. LA DINASTIA ALFONSINA ............................................................................... 110
CAPITOLO V LA VICENDA DI SANCHO II NEL LIVRO DE LINHAGENS .............. 111
1. SANCHO II, O CAPELO ....................................................................................... 111
2. JOÃO PIRES DE VASCONCELOS ...................................................................... 125
4
3. RAIMONDO VIEGAS DE PORTOCARREIRO E IL RAPIMENTO DI D. MICIA
138
4. MEM CRAVO E I BEZERRA .............................................................................. 149
CONCLUSIONI ................................................................................................................ 159
BIBLIOGRAFIA ............................................................................................................... 163
SITOGRAFIA ............................................................................................................... 167
APPENDICE 1 .................................................................................................................. 169
AFONSO MENDES DE BESTEIROS – JÁ LHI NUNCA PEDIRAM ....................... 170
AIRAS PERES VUITORON – A LEALDADE AA BEZERRA ................................. 171
DIEGO PEZELHO – MEU SENHOR ARCEBISPO ................................................... 175
BIBLIOGRAFIA ........................................................................................................... 177
SITOGRAFIA ............................................................................................................... 177
APPENDICE 2 .................................................................................................................. 179
5
INTRODUZIONE
All’interno di numerose storie della letteratura1 i Libri dei Lignaggi sono generalmente
indicati come una pietra miliare nello sviluppo della prosa in ambito Portoghese. Nati
come opere di carattere prettamente storico, i tre Livros si distinguono infatti all’interno
dell’intero panorama europeo non solo per la loro incredibile ampiezza, ma anche, e
soprattutto, per il valore letterario delle narrazioni che si trovano incorniciate all’interno
delle sezioni puramente genealogiche.
Redatti tutti nell’arco di cent’anni – essendo il cosiddetto Livro Velho databile intorno
al 1290 e il Livro de Linhagens di don Pedro de Barcelos intorno al 1340 – il Livro Velho
de Linhagens, il Livro do Deão e il Livro de Linhagens costituirebbero dunque le prime
testimonianze della nascita di una prosa in lingua galego-portoghese.
Lo studio di questi libri non ha tuttavia meritato negli anni, in ambito filologico, la
stessa attenzione che, per quanto riguarda la koinè linguistica galego-portoghese, ha invece
avuto la lirica, la cui tradizione e sviluppo è stata, soprattutto a partire dal XIX secolo,
oggetto di numerosi e approfonditi studi in ambito accademico.
La spinta verso la riscoperta di questa tradizione non si è tuttavia accompagnata in
ambito letterario a un ritrovato interesse verso la prosa e verso quei libri che, seppur in
maniera singolare, costituiscono i primi passi dello sviluppo di una narrazione in lingua
galego-portoghese prima, e portoghese poi. In effetti, i tre Livros de Linhagens sono stati
fin ora oggetto di studi soprattutto storici, che utilizzavano queste opere come enormi
serbatoi da cui trarre informazioni sulla struttura sociale e sullo sviluppo delle famiglie
nobili del regno di Portogallo, senza soffermarsi tuttavia sulle sezioni narrative se non per
quanto riguarda i dati che da queste potevano essere tratti. Gli studi di tipo prettamente
filologico-letterario sulla questione sono stati pochi e riguardanti ambiti generalmente
limitati.
Questa tesi si propone dunque lo scopo di ravvivare l’interesse verso queste opere,
suddividendo l’argomentazione in due momenti fondamentali: in primo luogo – all’interno
dei capitoli I, II e III – si effettuerà un’analisi critica di quelli che sono stati fin ora gli
studi compiuti sui Livros de Linhagens, evidenziandone punti di forza e mancanze; in
seguito – capitoli IV e V – si approfondiranno le modalità attraverso cui è narrata la storia
1 Come, ad esempio, quella curata da Xosé Ramon Pena ( Pena 2002, pp. 329-340), quella a cura di António
José Saraiva e Oscar Lopes ( Saraiva-Lopes 1985, pp. 77-92) e, infine, quella di Maria Leonor Carvalhão
Buescu (Buescu 1990, pp. 88-96).
6
de re Sancho II all’interno del Nobiliario di don Pedro, con lo scopo di fornire un esempio
concreto a supporto delle tesi esposte nei paragrafi precedenti, nonché dimostrare, per
quanto possibile, quelle che potrebbero essere le potenzialità di maggiori e più approfonditi
studi sull’opera genealogica.
Il capitolo I sarà dunque in questa sede completamente dedicato allo studio della
tradizione dei tre Libri dei Lignaggi: seguendo un ordine cronologico – e separando i due
cosiddetti Livros Velhos dal Nobiliario di don Pedro – di ogni opera saranno discusse le
origini, i contenuti, la tradizione manoscritta e le edizioni. In particolare, sarà impossibile
da questo momento in poi non confrontarsi costantemente con quelli che sono stati gli studi
compiuti su queste tre opere dallo storico portoghese José Mattoso, attualmente ritenuto
uno dei maggiori esperti in materia. Per quanto infatti Mattoso non fosse stato il primo a
tentare di fornire un’edizione critica dei tre Libri, la svolta data dal suo lavoro agli studi su
questi argomenti fu innegabilmente importante.
Rispetto ai suoi predecessori infatti, che si limitarono a fornire edizioni basate
esclusivamente sui codici disponibili in Portogallo – e, in realtà, per lo più nella sola
Lisbona – lo storico portoghese fu il primo a intraprendere una ricerca in tutta Europa di
manoscritti contenenti i tre Livros de Linhagens. In base alle sue ricerche, Mattoso fu
dunque in grado di identificare per primo più di 60 codici contenenti il solo Nobiliario del
conte di Barcelos – in quanto dei due Livros Velhos sono giunti fino a noi solamente tre
manoscritti tardi conservati in Portogallo – arrivando dunque in seguito a costruire il primo
stemma codicum dell’opera. Attualmente, le sue edizioni e i suoi studi – per quanto egli
stesso ammetta di non aver fornito con il suo lavoro delle vere edizioni critiche – sono
considerati un punto di riferimento essenziale per chiunque desideri confrontarsi con i
Libri dei Lignaggi. Il fatto che siano considerati tali tuttavia non implica che questi
possano essere ritenuti scevri da errori o inattaccabili, e proprio su questo si baserà il
versante critico di questa prima parte di elaborato.
Il secondo capitolo si concentrerà invece più approfonditamente su un’analisi del
contesto storico e culturale all’interno del quale hanno avuto origine le tre opere
genealogiche. Innanzi tutto, si procederà a definire il periodo storico all’interno del quale i
Livros sono stati redatti, tentando dunque di indagare quali siano state le motivazioni che
hanno portato alla loro redazione proprio in quei determinati anni, e quali sono gli obiettivi
pratici che ci si proponeva di ottenere attraverso la loro creazione: in poche parole, gli
“scopi” per cui i tre libri sono stati scritti. La seconda parte del capitolo sarà invece
dedicata all’identificazione delle fonti utilizzate per la redazione dei tre Livros, ponendo
7
tuttavia particolare attenzione al Nobiliario del conte Pedro, che per la sua ampiezza e la
qualità letteraria delle sue narrazioni ha più di tutti attratto l’attenzione degli studiosi. Dalle
prime ricerche compiute da Carolina Michaëlis de Vasconcelos, Ramón Menéndez Pidal e
Luís Filipe Lindley Cintra, che si occuparono essenzialmente dei primi capitoli del Livro
de Linhagens, si passerà dunque a esaminare il lavoro compiuto da José Mattoso, che si
pone ancora una volta come attuale punto di riferimento in questo ambito, dato che fu il
primo ad allargare sostanzialmente il campo d’indagine arrivando a fornire una possibile
identificazione delle fonti di ogni sezione del Libro – a volte con prove sicure, altre con
semplici supposizioni.
Anche il capitolo III, d’altronde, è stato costruito basandosi essenzialmente sugli studi
realizzati dallo storico portoghese. Tale sezione, in particolare, si concentra sullo studio
delle narrazioni contenute all’interno del Nobiliario del conte di Barcelos suddivise in sei
categorie principali, una ripartizione proposta inizialmente da Mattoso e in seguito seguita
anche dagli studiosi che successivamente si sono occupati dell’opera. Ogni paragrafo
contiene dunque una serie di racconti ritenuti omogenei nei contenuti, e di cui vengono
specificate la localizzazione all’interno del Livro, il numero di righe, le fonti e,
eventualmente, i rimandi ad altre storie presenti nel Nobiliario.
Dopo aver analizzato le origini e la struttura del Livros de Linhagens, la seconda parte
di questa tesi si concentrerà sullo studio di un caso specifico: la narrazione della storia di re
Sancho II di Portogallo all’interno dell’opera genealogica. Prima di questa sezione tuttavia,
all’interno del capitolo IV si riassumeranno brevemente gli eventi storici che hanno portato
alla deposizione nel 1245 del re Sancho II. Tale sezione si dividerà in due parti principali:
una prima, incentrata sulla figura del padre di Sancho, Afonso II – di modo da poter fornire
una visione più completa del periodo storico all’interno del quale si inserisce la vicenda del
re Capelo – e una seconda, completamente dedicata alla vicenda di Sancho II.
Infine, il capitolo V si concentrerà invece sui racconti – sparsi lungo tutto il Livro de
Linhagens – all’interno dei quali compare la figura di Sancho II, per poter da un lato
analizzare il modo in cui è interpretata la vicenda storica all’interno del Nobiliario, e
dall’altro per scoprire com’è dipinta nell’opera una figura dal profilo così complesso e
sfaccettato.
Il lavoro svolto su questi racconti, tuttavia, non avrà solo un valore a sé stante. Lo
studio approfondito di queste storie avrà infatti il ruolo di supportare, nel suo piccolo, le
tesi esposte all’interno dei precedenti capitoli dell’elaborato, in quanto cercherà di
dimostrare come il Livro de Linhagens del conte Pedro de Barcelos sia in realtà un’opera
8
estremamente complessa e ricca di sfumature, che per essere veramente compresa necessita
di uno sguardo che si sposti sempre dal generale al particolare, dalla contingenza storica
alla rielaborazione letteraria.
9
CAPITOLO I
OS LIVROS DE LINHAGENS
All'interno della produzione storiografia portoghese anteriore al secolo XIV i tre libri
dei lignaggi occupano un ruolo molto particolare. La loro notevole estensione, unica anche
se posta a confronto con l'intero panorama europeo, unita agli interessi letterari in essi
manifestati li rendono una serie di opere di straordinaria importanza non solo per gli storici
- concentrati sullo studio dei lignaggi - ma anche per i filologi.
I libri che costituiscono la serie dei livros de linhagens portoghesi saranno ora descritti
brevemente a partire da una suddivisione generale che separa i due "libri vecchi" dall'opera
del Conte di Barcelos, scelta dettata dalle peculiarità delle opere stesse e dalle modalità
attraverso cui ci sono state trasmesse.
1. LIVROS VELHOS DE LINHAGENS
1.1. LIVRO VELHO DE LINHAGENS
Con la denominazione di Livro Velho (LV) si indica genericamente un breve
frammento che costituisce la prima testimonianza della nascita di interessi genealogici nel
regno di Portogallo.
Una prima datazione dell’opera è avanzata nel 1940 dallo studioso portoghese Artur
Botelho da Costa Veiga, il quale in base agli studi compiuti sul frammento propone di
collocarne la redazione attorno al 1270. Un’interessante obiezione a tale ipotesi è però
portata nel 1980 da José Mattoso2, i cui studi sui due livros velhos l’hanno condotto a
posticipare la data di composizione di LV di una decina di anni rispetto a quella proposta
dal suo predecessore. La presenza all’interno del frammento della figura del vescovo di
Lisbona Estevão de Vaconcelos, cui fu affidato il governo della diocesi tra il 1282 e il
1290, induce infatti lo storico portoghese, una volta scartata l’ipotesi dell’interpolazione, a
spostare necessariamente il processo di redazione all’interno del suddetto lasso di tempo.
Attualmente le ricerche compiute da Mattoso a tal proposito appaiono le più convincenti e
la datazione da lui proposta è oggi comunemente accettata.
2 Mattoso 1980, pp. 10-14.
10
Anche per quanto riguarda l'autore del frammento il testo non fornisce alcun tipo di
indizio diretto che permetta di giungere a un’identificazione certa. Ciò nonostante,
elementi interni all’opera consentono a Mattoso3 di formulare una serie di ipotesi riguardo
la sua possibile identità. Riferimenti molto precisi e caratterizzati a personaggi legati al
monastero di San Tirso, lo sviluppo particolare delle tradizioni leggendarie legate alla
famiglia proprietaria – i Maia – e la menzione di dati concreti riguardanti la fondazione del
monastero e le donazioni ricevute, portano lo storico portoghese a poter affermare con
ragionevole sicurezza che l'autore del testo fosse un monaco legato al monastero o un
chierico al servizio della famiglia Maia. In particolare, l'utilizzo esclusivo all'interno del
frammento per designare le religiose della parola «monja» a scapito di «freira», la cui
diffusione nel corso del XIII secolo si attribuisce agli ordini mendicanti, suggerisce che
l'autore fosse più vicino ai circoli monastici, presso cui tale espressione continuava a essere
viva. Mattoso arriva a identificare il suo redattore in un monaco probabilmente al servizio
di Martim Gil Riba de Vizela, discendente e rappresentante della famiglia Maia per via
femminile e attivo proprio negli anni in cui si suppone sia stata redatta l'opera4.
Di quello che doveva essere il contenuto originario del primo libro dei lignaggi ormai
non rimane molto: sono presenti infatti solamente due, i Suosa e i Maia, delle cinque
genealogie promesse dal prologo. La fortunata conservazione dell'introduzione all'opera
permette tuttavia di ricavare il contenuto della parte mancante che doveva dunque
riguardare le famiglie di Bragança, Baião, e Riba-Douro. È estremamente probabile
tuttavia che i fogli che includevano le genealogie sopra citate debbano esser stati utilizzati
dall'autore del Livro do Deão e dal Conte di Barcelos per il suo Livro de Linhagens prima
di scomparire.
All’interno delle due genealogie conservate è di notevole interesse notare la presenza
sezioni narrative, che denotano come tale libro si ponesse anche pretese letterarie del tutto
assenti nelle opere storiche precedenti. Si tratta in particolare di tre narrazioni: la leggenda
di Miragaia (cap. II); la tradizione riguardante Échega Guiçoi de Suosa (cap. I) e quella
riguardante Gonçalo de Suosa (cap. I).
Il manoscritto che conteneva l’opera, assieme al sopra citato Livro do Deão, e che
presentava dunque solamente un frammento del testo originario è oggi perduto.
3 Mattoso 1980, pp. 10-14.
4 Mattoso 1980, pp.10-14.
11
1.2 LIVRO DO DEÃO
Il cosiddetto Livro do Deão (LD) deve la sua caratteristica denominazione al testo
conservato all'interno del colophon del volume che lo contiene, e che afferma che l’opera
fu scritta da Martim Anes per un decano anonimo nel 1343.
Se è ragionevole concludere che tale sia la data della sua copia, alcuni elementi in essa
contenuti – la menzione della morte di Afonso Vasques Pimentes e l'omissione del secondo
matrimonio di Don Pedro – lasciano supporre che la sua redazione sia avvenuta nell'arco di
tempo che sottende a tali due avvenimenti, ovvero tra il 1337 e il 1340.
Più complessa si dimostra invece l’identificazione dell’autore e del decano menzionati
nel colophon. A proposito del primo è necessario ammettere che il nome Martim Anes era
al tempo troppo frequente per poter permettere oggi una sua identificazione certa. Il decano
è invece identificato da José Mattoso con il rettore della sede di Lamego, in quanto
prossimo al conte di Barcelos sia come autorità ecclesiastica di tale città (trovandosi non
lontano dalla dimora del conte) sia in quanto cappellano della regina Beatriz, per la quale
D. Pedro aveva ricoperto la carica di maggiordomo5.
Si è visto come la figura di Pedro di Barcelos sia essenziale per permettere allo storico
portoghese di giungere all’individuazione del decano menzionato nel colophon: la
centralità della figura di D. Pedro all’interno del processo di identificazione è frutto di una
serie di considerazioni nate dallo studio di alcune peculiarità di LD che lo collegano
all’opera successiva, e più famosa, del conte. Le analogie che si possono trovare tra i due
libri dei lignaggi non sono infatti passate inosservate a coloro che hanno studiato le due
opere, e saranno presentate in questa sede così come le propone José Mattoso6
nell’edizione da lui curata: un utilizzo delle medesime fonti, tra cui anche alcune
castigliane e galeghe; una materia che si ripete in gran parte delle opere con coincidenze
testuali importanti; un processo redazionale molto simile e una data di composizione
vicina. Tali indizi hanno dunque condotto lo storico portoghese a concludere che LD sia in
realtà la traccia di una prima redazione del Livro de Linhagens del conte di Barcelos.
Purtroppo, anche il Livro do Deão è stato tramandato in forma incompleta; il
frammento che si ha attualmente a disposizione tuttavia è meglio conservato del libro che
cronologicamente lo precede (LV), in quanto comprende all'incirca i due terzi dei lignaggi
enumerati nel prologo.
5 Mattoso 1980, pp. 15-18.
6 Mattoso 1980, pp. 15-18.
12
In particolare, LD si proponeva di enumerare la stirpe di numerose famiglie elencate
questa volta non tanto a partire dal loro nome quanto piuttosto dal proprio capostipite,
andando dal tempo del re Alfonso IV de León «o que ganhou Toledo» al lignaggio di
«Egas Soares Usurei, de Cucujanes» (e realmente fino a quello di Pero Pires de Trava). Si
è dunque in questo caso di fronte a un testo contenente il prologo e ventitré capitoli, i quali
sono così suddivisi:
1. [Suosa]
2. Aqui começa o linhagem das irmãs de do, Gonçalo de Suosa
3. Aqui se acaba o linhagem de dona Châmoa Mendes, irmã de dom Gonçalo de Suosa, o
Bom, que foi casada com Gomes Mendes Guedeam, e comença-se o de dona Ourana
Mendes sa irmã
4. Aqui se acaba o linhagem de dona Ourana Mendes, irmã de dom Gonçalo Mendes de
Suosa, o Bom, que foi casada com dom Mem Moniz de Riba do Douro, e começa o de
dona Urraca Mendes, sa irmã de dom Gonçalo de Suosa o Bom
5. Aqui se acaba o linhagem de irmãs de dom Gonçalo de Suosa, o Bom, e começa o
linhagem del Conde dom Mondo, o Sousão, que foi filho de dom Gonçalo de Suosa, o
Bom
6. Ora tornemos a contar os que vem de dom Gonçalo Trastamires
7. Aqui se começa o linhagem de dom Gonçalo Mendes de Maia, irmão de Suer Mendes, o
Bom
8. Aqui se começa o linhagem de dom Pero Troitosendes de Paiva e de Riba do Douro
9. Aqui começa o linhagem de dom Munho Veegas de Riba do Douro
10. Aqui se acaba o linhagem de dom Lourenço Veegas, o Espadeiro, […] e começa o de
Moço Veegas, que foi de dom Egas Moniz de Riba do Douro
11. Aqui se começa o linhagem de dom Egas Gosendes de Riba do Douro
12. Aqui começa o linhagem dos Bargançaos
13. Aqui se começa o linhagem de dom Aires Nunes, onde vem os Valadades e outros muitos
14. [Aqui se começa o linhagem de dom Goido Araldes de Baião]
15. Aqui se acaba o linhagem de Nuno Velho, e começa-se o de Tainha, filha de dom Suer
Guedes, que fez Várgea, [e de suas irmãs]
16. Aqui começa o linhagem d’Aires Carpinteiro, onde vem os Ramirãos
17. Aqui se começa o linhagem do conde dom Fafes Sarracins, onde vem os Godinhos, que
vem do nobelissimo sangue dos Godos
18. Aqui se começa o linhagem de dom Goter Alderete da Silva
13
19. Aqui se começa o linhagem do conde dom Pedro Pires de Trava
20. Aqui se começa o linhagem do conde dom Vermuim, irmão do conde dom Fernando de
Trastamar
21. Aqui se começa o linhagem de dom Gueda, o Velho, onde vem os Guedeãos
22. Aqui se começa o linhagem de dom Vasco Gomes que fez Bravães
23. [Aqui se começa o linhagem de dom Egas Paes, que fez Randufe]
Anche all’interno di LD, com’è avvenuto per LV, sono presenti tre brevi sezioni
narrative: le origini dei Braganção (cap. XII), narrazione che non trova corrispondenza
all’interno degli altri libri dei lingaggi; il duello di Simão de Curutelo (cap. XIV); la
vendetta di Paio Godins de Azevedo (cap. XV).
Si può notare tuttavia come in questo caso, rispetto a quanto avviene in LV, la materia
storica prevalga nettamente su quella narrativa, contando infatti solamente tre narrazioni in
ventitré capitoli di opera.
Come si è accennato all’interno della sezione dedicata a LV, il Livro do Deão era
conservato assieme al Livro Velho in un manoscritto oggi perduto e all’interno de quale
occupava i fogli iniziali.
1.3 TRADIZIONE MANOSCRITTA
Tutto ciò che rimane dei "libri vecchi dei lignaggi" (LV e LD) è stato tramandato da un
unico codice oggi perduto. Appartenuto inizialmente all'Arquivo Real, venne
probabilmente da qui trafugato attorno al 1580 in occasione delle crisi politiche dovute alla
successione, passando, da quel momento, tra le mani di diverse famiglie nobili.
João Baptista Lavanha informa che per un certo periodo fu posseduto da Miguel
Godihno de Castelo Branco, figlio di un guarda mor della Torre do Tombo, e che è stato
da lui donato al vescovo di Viseu, Miguel de Castro. Si trovava ancora presso questa città
nel momento in cui Lavanha lo consultò tra il 1620 e il 1630, perdendosene in seguito ogni
traccia.
Fortunatamente, prima di scomparire fu copiato da Gaspar Álvares de Lousada, il quale
ebbe l’accortezza nella sua opera di tramandarne le caratteristiche; la descrizione da lui
fornita e le glosse con cui annotò il volume passarono alla copia che fu tratta nel 1634 da
Afonso Torres (S), a sua volta antigrafo di un manoscritto del secolo XVIII conservato
attualmente presso la Biblioteca di Ajuda(B).
14
Sempre dal codice appartenuto a Miguel Godinho de Castelo Branco dev’esser stata
tratta un’ulteriore copia dell’opera, della quale era rimasta traccia nel frammento,
anch’esso oggi perduto, ritrovato presso la Biblioteca Real da Alexandre Herculano (A).
Così come ci viene descritto da Lousada, il volume che conteneva le due opere era un
manoscritto pergamenaceo a due colonne, all'interno del quale figurava per primo il Livro
do Deão, nei fogli da 1 a 29, e in seconda posizione, da 30 a 41, il Livro Velho, cui vennero
tagliati con le forbici gli ultimi fogli prima che potesse essere copiato.
All’interno dell’edizione curata da José Mattoso7 i manoscritti perduti sopra menzionati
– il cui testo fu riprodotto nelle edizioni dei suoi predecessori – sono così designati:
Biblioteca Real,
A
Manoscritto incompleto utilizzato da Herculano come base per il testo pubblicato per la
serie Scriptores dei Portugalia Monumenta Historica e da lui datato intorno all’inizio del
XVII secolo.
S
Manoscritto copiato a opera di Afonso Torres nel 1634 e il cui testo è riprodotto da Suosa
all’interno della sua edizione.
C
Manoscritto dei Carmelitani, probabilmente del secolo XVII, le cui varianti rispetto al testo
fornito da S sono annotate da Suosa all’interno della sua edizione.
Si intende inoltre aggiungere alla lista fornita da Mattoso8 un ulteriore codice:
M
Codice dal quale deriva l'intera tradizione manoscritta, inizialmente appartenente
all'Arquivo Real, consultato da Lavanha nel 1620-1630 e copiato da Lousada.
Si è attualmente a conoscenza di soli quattro manoscritti esistenti, menzionati da
Mattoso9 nella medesima edizione:
7 Mattoso, 1980.
8 Mattoso 1980.
9 Mattoso 1980.
15
LISBOA
Biblioteca do Palácio de Ajuda, 47.XIII.10. = B
XVIII sec., la sua datazione è stata possibile su base paleografica, ma la tipologia di
scrittura non è specificata.
Biblioteca Nacional de Lisboa, Pomb., cod.291. = L
copiato da Diogo Esteves de Vega e Nápoles10
.
Fundo Geral, COD. 1329. = S2
Livro Velho das Linhagens por D. António Caetano de Suosa, successiovo al 1737.
Torre do Tombo, Mss. genealógicos, 21.E.24. = S3
Livro Velho das Linhagens por D. António Caetano de Suosa, 179411
.
1.4 EDIZIONI DELL'OPERA
La prima edizione delle due opere congiunte fu realizzata a cura di António Caetano de
Suosa nel 1749 per la serie Provas da Historia Genealogica. Per la realizzazione del suo
studio critico sono stati utilizzati due manoscritti, S e C, entrambi perduti a seguito della
pubblicazione. In particolare, il volume copiato da Afonso Torres nel 1634 (S), è quello
che fornisce il testo su cui essenzialmente si basa l’edizione, trascritto ponendo una
particolare attenzione alla riproduzione delle glosse e annotazioni che rendevano il
testimone di così grande interesse – provenendo direttamente dalla copia tratta da Lousada
dal codice di Miguel Godinho (M). Il secondo manoscritto, ovvero quello chiamato «dos
Carmelitas» (C), è utilizzato da Suosa solamente per annotarne le varianti accanto al testo
fornito da S.
Una seconda edizione dell'opera fu pubblicata nel 1860 a cura dello storico portoghese
Alexandre Herculano per la serie Scriptores dei Portugalia Monumenta Historica12
. Per
portare a termine il suo lavoro lo storico si servì essenzialmente del testo del suo
predecessore e, per gran parte di LD, di un frammento da lui ritrovato presso la Biblioteca
10
L'edizione di Mattoso non specifica ulteriormente, e non si ritrova all’interno di quella curata da
Herculano. 11
1727 in Mattoso 1980. 12
Herculano 1860.
16
Real (A). Tale frammento, oggi a sua volta scomparso, è stato datato intorno al XVII
secolo dallo stesso Herculano e doveva con ogni probabilità provenire proprio da una copia
del codice di Miguel Godinho de Castelo Branco (M). L'edizione del 1860 si distingue
inoltre per l'approfondita analisi riguardante la questione dell'autenticità dei due livros
velhos, che riesce a fugare definitivamente ogni dubbio fino ad allora nutrito da storici e
filologi, in quanto la scarsa notorietà di LV e LD prima del XVII secolo e la misteriosa
scomparsa avvenuta in seguito alla loro copia ha destato negli studiosi il sospetto di
trovarsi di fronte a un falso creato da Lousada.
Innanzi tutto, Herculano afferma che la fama di antiquario di cui Gaspar Álvares de
Lousada ha a lungo goduto sia decisamente esagerata e non all'altezza delle qualità
letterarie dimostrate dagli autori dei due "libri vecchi".
La notevole estensione di questi si dimostrerebbe inoltre assolutamente atipica nel
caso si trattasse di una contraffazione, in quanto ogni qual volta ci si trova di fronte a false
reliquie storiche, queste sono sempre brevi frammenti. Da questo punto di vista, un
monumento quale i due libri dei lignaggi avrebbe necessitato di un impegno troppo
prolungato nel tempo per poter essere ritenuto un fruttuoso "investimento”.
Ulteriore e ultimo argomento portato da Herculano a favore dell’originalità di LV e LD
infine sarebbe la loro sostanziale mancanza di notorietà a seguito della scoperta, essendo
infatti noto che i falsi d'autore erano spesso oggetto di forte pubblicizzazione.
L'edizione che oggi si utilizza come riferimento per i due livros velhos è quella curata
da José Mattoso per la seconda serie dei Portugalia Monumenta Historica nel 198013
. La
più singolare caratteristica di questo studio critico è certamente la scelta operata dall'autore
di non consultare nessuno dei manoscritti dell'opera tutt'ora esistenti, ma di utilizzare per la
redazione il testo pubblicato dai due precedenti editori. Come ci spiega lo stesso storico
nell'introduzione14
una tale decisione è dettata dal fatto che non vi sono tutt'oggi codici
contenenti i due livros velhos anteriori al secolo XVIII e che non siano direttamente
relazionati con la versione di Suosa. I testimoni a cui fecero riferimento i suoi predecessori
sono dunque favoriti in quanto tutti risalenti al XVII secolo e ritenuti, per questo, più
affidabili.
La pubblicazione di Mattoso si propone dunque essenzialmente di migliorare la veste
tipografica dell’edizione del 1860 attraverso, innanzi tutto, uno sfoltimento in apparato
nelle numerose varianti a piè di pagina. Una volta scartate le lezioni manifestamente
13
Mattoso 1980. 14
Mattoso, 1980, pp. 10-12.
17
erronee, si concentra su un’analisi approfondita della struttura del testo giungendo alle
seguenti conclusioni: entrambi i libri enumerano i discendenti di un determinato
personaggio-capostipite prima di prenderne in considerazione uno nuovo; all’interno di una
stessa dinastia, tra i diversi gruppi di discendenti, si segue in ordine cronologico un ramo
alla volta, senza porre differenze tra legami nati per via maschile o femminile.
Il più evidente risultato di questo studio è riscontrabile nella creazione di un
innovativo sistema di numerazione delle generazioni nato con lo scopo di rendere
maggiormente chiaro al lettore lo sviluppo progressivo dei lignaggi presenti nell’opera.
Ogni generazione è dunque identificabile attraverso un codice formato dalla sequenza
numero-lettera-numero: la prima cifra segnala il capostipite e corrisponde al capitolo
dell’opera; la lettera individua un determinato ramo che discende dal suddetto capostipite;
la seconda cifra indica l’ordine nella sequenza delle generazioni.
Si prenda come esempio il capitolo I di LV. Il primo personaggio introdotto all’interno del
libro è Uffo Belfage[r], antenato della famiglia Suosa, cui corrisponde la lettera A: essendo
capostipite di un lignaggio, il codice attraverso cui sarà identificabile e rintracciabile all’interno
dell’opera è 1A1. All’interno del paragrafo indicato da tale codice si trovano dunque Uffo
Belfage[r] e i suoi figli, Santa Senhorinha e dom Guiçoy, a sua volta riconoscibile e individuabile
all’interno del paragrafo-generazione 1A2, in cui viene descritta la sua storia e la sua discendenza
Attraverso tale metodo lo storico portoghese riesce dunque a suddividere in famiglie e
generazioni l’intera opera, all’interno della quale tutti i personaggi sono facilmente
rintracciabili attraverso un codice che indica in maniera esatta il luogo del testo all’interno
del quale appaiono (sia, per esempio, come mariti o padri, sia come protagonisti di
determinate vicende).
Si riporta in seguito un breve schema che possa riassumere le informazioni basilari sui
manoscritti e sulle edizioni dei due livros velhos.
Mss. Sec. Stato Edizioni in cui sono
presenti
Contenuto
A XVII Perduto Herculano 1860, Mattoso 1980 LD da 1A1 a 11Y9
C XVII Perduto Suosa 1749, Herculano 1860,
Mattoso 1980
LV e LD
S XVII Perduto Suosa 1749, Herculano 1860, LV e LD
18
Mattoso 1980
L Non specificato Conservato Mattoso 1980 Si sa solo LD 12 e 1715
B XVIII Conservato Nessuna Non specificato
S2 XVIII Conservato Nessuna Non specificato
S3 XVIII Conservato Nessuna Non specificato
2. LIVRO DE LINHAGENS DO CONDE PEDRO
2.1 LIVRO DE LINHAGENS
Il Livro de Linhagens del conte Pedro di Barcelos (LL) è senza dubbio la più celebre e
importante fonte storica del medioevo portoghese, nonché una delle più rilevanti
testimonianze dello sviluppo di interessi genealogici all’interno dell’intero panorama
europeo. La sua estensione eccezionale unita alla qualità delle sua narrazioni la rendono
infatti un’opera unica, soprattutto se posta a confronto con le brevi e stereotipate
genealogie che circolavano in ambito Europeo e la cui produzione subì peraltro, proprio
nel XIV sec., una notevole inflessione.
Innovando profondamente la tradizione precedente, la prima grande novità introdotta
dal conte nella sua genealogia fu quella di espanderne il contenuto in maniera del tutto
inedita, includendo al suo interno tutte le casate reali di cui era a conoscenza: quelle
bibliche, di Babilonia e Persia, di Roma, dei re arturiani, di Castiglia, di Navarra e di
Francia, per terminare con quelle di Portogallo. Più in particolare, rispetto ai due libri dei
lignaggi più antichi ( LV e LD) il Livro de Linhagens allarga sostanzialmente anche il
numero delle famiglie nobili prese in considerazione, includendo, oltre a quelle portoghesi
cui i suoi “predecessori” erano esclusivamente consacrati, famiglie galeghe, castigliane e
di Biscaia. Non si creda tuttavia che una simile spinta verso una maggior universalità arrivi
a sovrastare gli interessi particolaristici che sono tipici di questo genere: i due terzi
dell'opera sono comunque dedicati a famiglie portoghesi, arrivando presumibilmente a
coprire la maggior parte dell'aristocrazia di Portogallo.
Sebbene ora la critica sia unanime nel riconoscere l'autorità dell'opera al conte di
Barcelos, figlio bastardo del re Don Dinis, sono stati nutriti per lungo tempo seri dubbi
riguardo questa attribuzione. Gli studi compiuti dal professor Lindley Cintra in tal senso si
possono tuttavia ritenere illuminanti e definitivi nel porre fine alla questione. Le numerose
15
L’edizione di Mattoso non ne specifica ulteriormente il contenuto.
19
analogie che collegano il Livro de Linhagens alla Crónica Geral de 1344 – la cui
autorialità non è mai stata in discussione –, l'affermazione espressa dallo stesso Don Pedro
nel prologo e i riferimenti negativi al personaggio di Gomes Lurenço de Beja – cui il conte
dedicò una cantiga de escarnho – sono state accettate come prove sufficienti. Ovviamente,
Don Pedro si può ritenere autore di LL esattamente nello stesso senso in cui il suo avo
Alfonso X El Sabio lo fu nei confronti delle sue opere: incarica i suoi collaboratori della
loro realizzazione in base ai suoi orientamenti, dirige la ricerca e la compilazione delle
fonti, le fa tradurre quando necessario, offre indicazioni riguardo la loro utilizzazione e
revisiona l'opera una volta completata.
Oltre a confermare l’autorità del conte, gli studi compiuti da Cintra permisero inoltre di
stabilire una presumibile datazione di LL: nel periodo dal 1325 al 1340, in cui Don Pedro
era stato in viaggio in Castiglia e Francia, dev'essere avvenuta la raccolta dei materiali,
mentre invece dal 1340 al 1344 si dovrebbe porre la sua redazione definitiva.
Ciò detto, i numerosissimi riferimenti a uomini e donne la cui vita si svolse interamente
dopo la morte di Don Pedro indicano chiaramente come il testo attualmente tramandato
non possa essere quello elaborato dal conte, quanto piuttosto il frutto di un’elaborazione
più tarda. Gli studi compiuti proprio su questa serie di personaggi hanno permesso agli
studiosi d’identificare due diversi rimaneggiamenti: il più antico avvenuto tra il 1360 e il
1365 e il più recente tra il 1380 e il 1383.
Al primo, la cui datazione si basa sulla mancanza di riferimenti a personaggi ben noti
in seguito a questo lasso di tempo, si attribuiscono una serie di aggiunte ai capitoli XXII,
XXVII, XXXVI, XXXVII, LV, LVII, XLIV e la suddivisione del Libro in capitoli e
paragrafi. È alquanto probabile infatti che il Libro dei Lignaggi primitivo non presentasse
ancora una tale ripartizione: non solo i termini «titulos e parrafos» sono desueti per i tempi
in opere di questo genere – dimostrando per di più una certa difficoltà a imporsi nei secoli
successivi –, ma avendo inoltre le due espressioni sopra citate un carattere fortemente
tecnico-giuridico l'adozione di un tale sistema implicherebbe una lunga abitudine a
maneggiare testi di legge, un tipo di cultura sicuramente aliena a D. Pedro. Gli interessi del
rimaneggiatore sembrano limitarsi in questo caso alla semplice attualizzazione di alcune
genealogie, concentrandosi su determinate famiglie senza toccare, apparentemente, le
narrazioni.
Per quanto riguarda il secondo rimaneggiamento, la presenza della biografia del priore
dell'ordine degli Ospitalieri D. Álvaro Gonçalves Pereira, che termina con la sua morte nei
primi mesi del 1380, è stata determinante per definirne esistenza, datazione e scopi.
20
Rispetto al precedente si tratta di un lavoro di modificazione del testo di tutt’altra portata,
che sembra porsi chiaramente il proposito di esaltare la figura del priore attraverso una
serie di ampliamenti delle narrazioni eroiche incentrate su lui stesso e sui suoi avi, con un
evidente - ed eloquente - disinteresse per l'attualizzazione delle genealogie. È dunque
possibile che gli pertengano le narrazioni del capitolo XXXI, parte del capitolo VII, la
battaglia dei re di Escolha del capitolo XV e la storia di Rui Gonçalves Babilom all'interno
del capitolo LXXII. Le propensioni letterarie dell'autore lo portano inoltre a rimaneggiare
anche altre narrazioni di carattere romanzesco.
Ci si è a lungo interrogati su chi potessero essere gli autori degli ampliamenti all'opera
del conte di Barcelos, senza mai tuttavia giungere a conclusioni che superassero il grado
della possibilità. È oggi comunemente accettata l'ipotesi che entrambi avessero un legame
con Fr.16
Álvaro Gonçalves Pereira, che avrebbe dunque commissionato i due
rimaneggiamenti, tanto più che si trova all'interno del Nobiliario un chiaro nesso tra il
Conte e i Pereira stabilito da uno zio del priore. Per quanto riguarda dunque le modifiche
introdotte nel 1360-1365, l'autore può essere ragionevolmente ritenuto un canonista o un
giurista al servizio di Fr. Álvaro. Le propensioni letterarie del secondo scriba sembrano
invece destare maggiormente l’interesse degli studiosi, tra i quali José Mattoso si distingue
per aver tentato di fornire una precisa identificazione del rimaneggiatore17
, nonostante la
carenza e la dispersione dei documenti riguardanti l'ordine degli Ospitalieri non gli
permettano di avanzare molto nella ricerca.
Partendo dalla considerazione che difficilmente un autore di tale livello possa aver
lasciato solo quest'opera poco personale, lo storico portoghese si chiede dunque se siano
giunte ai giorni nostri altre opere che possano essere riconducibili a questo scriba. In
particolare, il parallelismo tra la storia di Rodrigo Froiaz e l'Amadis de Gaula, rinforzato
da una serie di frasi ed espressioni che paiono quasi ritagliate dal romanzo e che
appartengono tutte al rimaneggiatore in questione, hanno portato Mattoso a concludere che
si possa trattare del medesimo autore, identificato tempo addietro nella figura di Vasco
Lobeira. Le infruttuose ricerche effettuate sulla famiglia Lobeira confermano tuttavia come
questa identificazione, per quanto seducente, non possa essere ritenuta niente più che
un’ipotesi. Si può inoltre aggiungere che il responsabile del rimaneggiamento potrebbe
16
Non è raro trovare la figura di Álvaro Gonçalves Pereira citata col titolo di frate (Fr.), per quanto si tratti
del priore di una comunità monastica. Parrebbe di per sé un errore, ma tale designazione è presente in tutti gli
studi riguardanti LL. 17
Mattoso 1980.
21
semplicemente aver conosciuto a fondo l'Amadis e averne tratto frasi ed espressioni per il
suo racconto.
A seguito di tali aggiunte e rimaneggiamenti il Livro de Linhagens si presenta dunque
composto da un prologo e 76 capitoli, di seguito elencati:
1. Dos filhos que Adam houve e de sa geeraçom
2. Dos rex de Troia e dos Rex de Roma e da Bretanha
3. Dos reis gentiis de Persia e Roma, e dos Godos, e como se perdeo a terra em aquel tempo,
e despoti como foi cobrada
4. Dos reis que foram de Castela
5. Dos reis de Navarra
6. Do linhagem dos reis de França
7. Do conde dom Monido, donde decendem os reis de Portugal
8. Dos de que descenderam os de Mendonça e os de Biscaia e de Castro e os de Vermuiz e de
Rui Diaz Cide
9. Dos de Bizcaia
10. Donde vem o linhagem do solar de Lara
11. Dos de Castro
12. Do linhagem de que vem os de Cabreira
13. De dom Pedro Fernandez de Trava e dos que dele descenderom
14. Dos de Castanheda
15. Do linhagem dos Girões
16. De dom Soeiro Meedez, o Boo, da Maia
17. Do linhagem dos de Gozmam
18. Do linhagem dos de Vilalobos
19. Do conde dom Ramiro de Campos e dos que dele decenderom
20. Do linhagem dos Malriques
21. D’el rei Ramiro, donde decendeo a geeraçom dos boos e nobres fildagos de Castela e
Portugal
22. Dos Sousãos
23. De don Elvira Anes, filha de Joham perez da Maia
24. De dom Meem Rodriguez de Tougues
25. De dona Tereja Gonçalves, filha de dom Gonçalo de Sousa
26. De dom Soeiro Meendez, o Grosso, irmão de de dom Gonçalo de Sousa
27. De Gil Guedaz, filho de Gueda Gomes
28. De dona Beatriz Perez, filha de dom Pero Rodriguiz Pereira
29. Do linhagem dos Peixotos
22
30. De dom Gomez Meendez, que foi o primeiro dos Guedãos
31. De dona Ouroana Meendez, irmãa de dom Gonçalo de Sousa
32. De dona Orraca Meendez, irmãa de dom Gonçalo de Sousa
33. De dona meana Elvira Gonçalves da Palmeira
34. De dom Pedro Rodriguez de Pereira
35. Do bõo do dom Vaasco Pimentel
36. De dom Moninho Veegas, o Gasco, donde vem os de Riba Doiro
37. De dom Nuno de Celanova, irmão do conde dom Afonso de Celanova e de Sam Rosendo
38. Dos Bragançaos
39. De dom Fafez Luz, de que descenderom os Fafez e os Godinhos
40. Do linhagem dos de Baiam, o primeiro que sabemos houve nome dom Arualdo
41. De dom Pedro Coronel, donde veem os Coronees
42. De dom Goido Araldez de Baiam e de Riba Doiro, filho de dom Arualdo, e dos que dele
descenderom
43. Dos de Porto Carreiro
44. De dom Gomçalo Ouvequez, o que fondou o moesteiro de Cete, e dos que dele
decenderom
45. Os de Riba d’Avizela e dos que dele decemderom
46. De dom Pai Mogudo de Sandi, donde veem os Ervilhães
47. De dom Gomez Espinhel
48. De dona Elvira Rodriguez, filha do alcaide dom Rodrigo Fernandez de Podentes, donde
vem os d’Altaíde
49. De dom Crasconho Araldez, donde vem os d’Orgeses
50. De Fernam Jeremias, e dos que dele descenderom, os Pacheos
51. De dom Ramiro Quartela, e dos que dele descenderom
52. Donde vem os d’Azevedo, começando primeiro em dom Godinho Veegas, que fondou o
moesteiro de Vilar de Frades
53. Do conde Dom Osoiro de Cabreira
54. De Gomez Pirez de Meceeira e de dona Maria Osoirez, irmãa de dom Serrazinho Osoirez
que jaz no Carvoeiro, e dos que deles decenderom
55. Do linhagem dos de Cuinha, donde o mais longe sabemos. O primeiro foi dom Goterre que
foi natural da Gasconha
56. De dona Ouroana Soarez, filha de dom Soeiro Gueedaz, o que fez o moesteiro de Varzea,
como se mostra no titulo XLII, de dom Goido Araldez de Baiam, parrafo 1
57. De dom Afonso Telez, o Velho, o que probou Albuquerque, donde decenderom os Telos
58. De dom Goterre Audarete de Silva, como foi casado e quaes filhos houve
23
59. Dos de Gooes, donde mais longe sabemos. E queremos primeiro começar em dom Aniam
da Estrada, donde decenderom os de Gooes e os Redondos e os de Sequeira e sa madre de
Martim Lourenço da Cuinha, filho de Martins da Cuinha
60. De dom Meem Gundar, que foi cavaleiro mui bõo e honrado, e dos que dele descenderom
61. Do linhagem dos do Vinhal, onde o mais longe sabemos
62. De dom Pero Meendez d’Aguiar, onde o mais longe sabemos. O primeiro foi dom Gueda,
o Velho, donde decendem os Guedaãos
63. De dom Vaasco Nuniz de Bravães, filho de […], e com quem foi casado e quaes filhos
houve
64. De dom Sesnando Hueriz, que fondou o moesteiro d’Oliveira; e este dom Sesnando foi
filho de dom Oeiro de Brito e de dona […]
65. Do linhagem de dom Pero Novaes, o Velho, que foi natural de Riba de Tea
66. Dos d’Afonseca que son padroeiros e naturaes do moesteiro de Mancelus. E queremos
primeiro começar en Meem Gonçalves s’Afonseca
67. Dos de Taavares, porque forom boos cavaleiros, e queremos começar em dom Estevam
Pires de Taavares
68. De dom Paai Delgado, que foi boo cavaleiroe honrado, que fo ina tornada de Lixboa,
quando a el rei dom Afonso, o primeiro rei de Portugal, filhou aos mouros
69. De dom Ligel, que foi natural de Frandes, e foi na filhada de Lixboa com el rei dom
Afonso, o primeiro rei de Portugal
70. De dom Roorim, que foi o primeiro alcaide e sehnor de Azambuja
71. De dom Sueiro Longo de Belsar, que foi boo cavaleiro e honrado
72. De dom Fernam Branco, o Velho, de Louredo
73. Do linhagem donde veem os Marinhos, donde o mais longe sabemos; e forom naturaes de
Galiza
74. Do linhagem dos Churrichãos, de que se mais longe pode saber. E o primeiro foi dom Pero
Arteiro, de que sairom todolos Churrichãos
75. De dom Paai Meendez Soredea, e dos que dele decemderom
76. De dom Fernam Paaez de Capelo, donde decenderom os Varelas de Galiza, e chamou-se de
Vila Marim
2.2 TRADIZIONE MANOSCRITTA
Il più accurato lavoro di spoglio di cataloghi di manoscritti è stato fin ora realizzato da
José Mattoso in occasione della sua edizione per i Portugalia Monumenta Historica18
.
18
Mattoso 1980, pp. 9-27.
24
L’elenco di 60 codici che si troverà in seguito segue dunque quello fornito dallo storico
portoghese, di cui si riprendono anche le caratteristiche: si potrà infatti notare che non è
stata assegnata una sigla a tutti i manoscritti, in quanto solo quelli utilizzati in sede di
edizione ne posseggono una.
BARCELONA
Biblioteca Central de la Diputación, ms. 531.
XVII sec., cart.
Presenta prologo e 74 capitoli, mancando infatti i primi due.
Si segnala la presenza delle medesime lacune che contraddistinguono il codice della Torre
do Tombo (T1), di cui si tratterà in seguito, all'inizio del capitolo XXXVIII, la fine del
capitolo XLII e l'inizio del XLI.
COIMBRA
Biblioteca da Universidade, ms. 432.
XVIIsec., cart.
Mancano incipit ed explicit.
Presenta le medesime lacune di T1 per quanto riguarda i capitoli XXXVIII e XLI-XLII,
mentre non presenta quelle del capitolo I, che Mattoso ipotizza siano state ricostruite per
congettura.
ms. 652.
XVII sec., cart.
Comprende il prologo e 76 capitoli.
Non presenta le lacune del primo capitolo, mentre invece quelle dei capitoli XXXVIII e
XLI sono ricostruite, a opinione di Mattoso, la prima ope ingenii, la seconda legando i
personaggi di Pedro Coronel e Justa Pais a Maria Rodriguez Rebotim . Il testo si presenta,
sempre secondo lo storico portoghese, alquanto corrotto.
ms. 1589.
XVII sec., cart.
Contiene il prologo e 76 capitoli.
Presenta le lacune dei capitoli I e XLI, mentre quella del capitolo XXXVIII pare
ricostruita, a opinione di Mattoso, a partire dal Livro do Deão.
25
ESCURIAL
Biblioteca do Monasteiro, ms. h.II.21, ff. 228-377.
XVI sec., cart.
Contiene l'opera nei fogli da 228 a 377.
Presenta il prologo e i capitoli da II a LXXVI, mancando il capitolo I e parte del II.
Da notare ancora una volta le lacune dei capitoli XXXVIII e XLI.
ÉVORA
Biblioteca Pública Eborense, ms, CXVII/1-1.
Fine XVI- inizio XVII sec., cart.
Contiene il prologo e 76 capitoli.
Da notare inoltre le lacune dei capitoli I, XXXVIII e XLII.
ms. CXVII/1-2.
Scomparso in seguito alla pubblicazione del catalogo di J. H. da Cunha Rivara: Catalogo
dos manuscriptos da Bibliiotheca Publica Eborense. 4 vol. (Lisbona, 1870-1871).
ms. CXVII/1-3.
XVII sec., cart.
Contiente il prologo e 76 capitoli.
Manca la lacuna del capitolo I, mentre invece quelle dei capitoli XXXVIII e XLI sono
corrette, la prima attraverso congettura, la seconda come avveniva nel ms. 652 della
Biblioteca da Universidade di Coimbra. Anche il testo di questo manoscritto si presenta a
opinione di Mattoso notevolmente corrotto.
LEIDEN
Biblioteca dell’Università, BPL 2017.
XVI sec., cart.
Contiene il prologo e 76 capitoli.
Da notare le lacune presenti ai capitoli I, XXXVIII e XLII uguali a quelle di T1.
LISBOA
26
Biblioteca do Palácio de Ajuda, A119
XIV-XV sec., membr. scritto in littera textualis.
Si tratta di un frammento che contiene la parte finale del capitolo XXI (con lacune) e i
capitoli da XXII a XXXV, con ulteriori lacune al capitolo XXX per la perdita di due fogli.
Rilegato insieme al cosiddetto Cancioneiro de Ajuda.
ms. 47.XIII.11. = A2
XVI sec., cart. scritto in lettera umanistica. In questo caso la schematizzazione riportata da
Mattoso non risulta chiara: nonostante annunci che riporta il prologo e 76 capitoli, afferma
in seguito che, mancando trenta pagine all'inizio dell'opera, non sono presenti i capitoli da I
a VI e parte del VII. Al capitolo XXXVIII omette il passo legato a Urraca Fernandes che,
in T1 così come nella maggior parte dei manoscritti, è legato al capitolo XXXVII.
Si notano le lacune presenti al capitolo XLI.
ms. 49.XIII.14.
XVI sec., cart.
Presenta il prologo e 76 capitoli, ma omette la numerazione del capitolo XXXVIII. È una
copia di T1.
ms. 49.XIII.15.
XVIII sec., cart.
Presenta il prologo e 76 capitoli.
Manca la lacuna del capitolo I, mentre quelle dei capitoli XXXVIII e XLI sono, a opinione
di Mattoso, emendate per congettura.
ms. 51.XI.50.
XVII sec., cart.
Presenta il prologo e 76 capitoli.
Da notare sempre le lacune dei capitoli I, XXXVIII e XLI identiche a quelle di T1.
Biblioteca Nacional de Lisboa, Col. Alcob., ms. CDLXVIII/313.
XVII sec., cart.
19
della segnatura del manoscritto non è specificato altro nell'edizione di Mattoso.
27
Incompleto, presenta i capitoli da VII a LXXVI, omettendo dunque il prologo e i capitoli
da I a VI. Sono presenti le lacune dei capitoli XXXVIII e XLI identiche a quelle di T1.
Col. Pomb, ms. 326.
XVII sec., cart.
Presenta il prologo e 76 capitoli, ma il capitolo XXXVIII non è numerato, e nell’indice ne
appaiono solo 75.
Da notare le consuete lacune ai capitoli I, XXXVIII e XLI. È una copia di T1.
Col. Pomb., ms. 291. = L2
XVII sec., cart.
Presenta il prologo e 76 capitoli.
In quanto copia di T1, presenta le medesime lacune ai capitoli I, XXXVIII e XLI, anche se
riempie la lacuna del capitolo XXXVIII con la parte corrispondente di LD.
F. G., ms. 970
XVIII sec., cart.
Il lavoro di Mattoso non ne specifica il contenuto, ma ne segnala le lacune: sono presenti
quelle del capitolo I, XXXVIII e XLI, omettendo quest'ultimo il paragrafo riguardante D.
Pedro Coronel.
F. G., ms. 972.
XVII sec., cart.
Incompleto, manca dei capitoli da I a VI e presenta lacune ai capitoli XXXVIII e XLI.
F. G., ms 973.
XVIII sec., cart.
Non ne viene specificato il contenuto, ma viene identificata come una copia parziale di T1.
F. G., ms 1160.
XVII sec., cart.
Comprende il prologo e 76 capitoli.
Da notare le lacune presenti ai capitoli I, XXXVIII e XLI identiche a quelle di T1.
28
F. G., ms 1354. = L1
XVII-XVIII sec., cart.
Presenta il prologo e 76 capitoli.
Non presenta le lacune del capitolo I, mentre invece quelle del capitolo XXXVIII sono
ricostruite, a opinione di Mattoso, per congettura. L'inizio del capitolo XLI è invece
ricostruito legandolo al finale del capitolo XLII (la numerazione dei due capitoli si
presenta infatti invertita nell'intera tradizione, come si vedrà in seguito.)
F. G., ms. 1358.
XVII sec., cart.
Contiene il prologo e 76 capitoli.
Da notare le lacune presenti ai capitoli I, XXXVIII e XLI identiche a quelle di T1.
F. G. ms. 7633.
XVII sec., cart.
Presenta il prologo e 77 capitoli, in quanto la loro numerazione e suddivisione si presenta
alquanto modificata: il capitolo VII è diviso in due, omette la numerazione del capitolo
XXXVIII e aggiunge, attraverso un'interpolazione, un nuovo capitolo LXXIV «do
linhagem dos Peçanhas».
F. G. ms. 8716.
XIX sec., cart.
Comprende il prologo e 76 capitoli.
Da notare le lacune dei capitoli I, XXVIII20
e XLI.
Il testo è uguale a quello di T1.
F. G., ms. 11055
XVII sec., cart.
Contiene il prologo e 76 capitoli.
Da notare le lacune dei capitoli I, XXXVIII e XLI, identiche a quelle di T1.
F. G., cx. 190, n.º 8
20
È segnalato il capitolo XXVII, ma si può ritenere che, essendo il testo uguale a quello di T1, sia un errore
di battitura e si intenda il capitolo XXXVIII.
29
XVII sec., cart.
Contiene il prologo e 70 capitoli, in quanto omette di numerare il capitolo XXXVIII e
mutilo della parte finale. Presenta le lacune dei capitoli I, XXXVIII e XLI. È ritenuto da
Mattoso una copia di T1.
Biblioteca da Academia das Ciências, ms. 369 (vermelho) = C
XVII sec., cart.
Contiene il prologo e 77 capitoli, in quanto interpola un nuovo capitolo XI: «Dos de
Saldanhas». Non presenta le lacune del capitolo I, ma quelle dei capitoli XXXVIII e XLI.
ms. 374 (vermelho).
XVII sec.
Si tratta di un frammento: comincia al capitolo II, manca dell'XXI e si conclude al capitolo
LVII. Presenta le lacune dei capitoli XXXVIII e XLI, di cui la prima è riempita attraverso
un confronto con il «livro antigo», denominazione con cui di solito si indica LV.
ms. 129 (azul).
XVII sec. Contiene il prologo e 74 capitoli in quanto manca il capitolo I e parte del II
Sono presenti le lacune dei capitoli XXXVIII e XLI. È ritenuto da Mattoso un testo
alquanto corrotto.
Arquivo Nacional da Torre do Tombo, Casa Forte, T121
Fine XV - inizio XVI sec. membr.
Comprende il prologo e 76 capitoli, ma manca la numerazione dei capitoli XXXVIII e
«XLI»22
.
Il testo della parte finale del capitolo XXXVI è sostituito da un quaderno in pergamena la
cui scrittura imita quella del manoscritto stesso.
Presenta lacune ai capitoli I, XXXVIII e XLI.
Genealogias, ms. 63 (21.F.30) = T2
XVII sec., cart.
21
della segnatura del manoscritto non è specificato altro nell'edizione di Mattoso. 22
È singolare come questa volta nonostante sia omessa la numerazione di alcuni capitoli Mattoso scelga
comunque di contarne 76 (mentre in precedenza quelli non numerati non sono stati inclusi nel conteggio).
30
Non è specificato in edizione il suo contenuto, ma essendo una copia di T1 e presentandone
le medesime lacune è lecito supporre che sia lo stesso.
Livraria, ms. 632.
XVII sec., cart.
Contiene il prologo e 76 capitoli, ma omette la numerazione del capitolo XXXVIII.
Sono presenti le lacune dei capitoli I, XXXVIII e XLI in quanto copia di T1.
LONDON
British Museum, Bibl. Hardleiana, ms. 3575
XVII sec. in varie scritture.
Il contenuto non è specificato in sede di edizione.
Add. ms. 21.962.
XVII sec.
È copia del manoscritto della Torre do Tombo fatta da Diogo Fernandes des Santa Cruz.
MADRID
Real Academia de la Historia, ms. C-9.
XVII sec.
È citato da Inocêncio in Diccionario bibliographico portuguez, VI (1862) p. 374.
ms. R-59.
Non ne viene data alcuna specificazione all'interno dell'edizione. Citato ibid., p. 374
Biblioteca Nacional
ms. 1373.
XVII sec.
Comprende il prologo e 76 capitoli, ma mancano il capitolo I e parte del capitolo II: deve
aver dunque subito una serie di interpolazioni non nominate in edizione.
Presenta le lacune dei capitoli XXXVIII e XLI.
ms. 3310.
XVI sec., cart.
31
Il contenuto non è segnalato all'interno dell'edizione, ma si indica la presenza di lacune
presso i capitoli I, XXXVIII e XLI identiche a quelle di T1.
ms. 3318.
XVII sec., cart.
Il contenuto non è specificato, si dice solo che è una traduzione castigliana e che presenta
la mancanza del capitolo I. Sono inoltre da notare le lacune dei capitoli XXXVIII e XLI
identiche a quelle di T1.
ms. 3471.
XVII sec., cart.
Traduzione castigliana.
Suppone Mattoso che il manoscritto sia incompleto, ma non gli sono giunte informazioni
sufficienti per poter confermare la sua ipotesi.
ms. 8179.
XVII sec., cart.
Il contenuto non è specificato in edizione.
Presenta le lacune del capitolo I identiche a quelle di T1. Le lacune del capitolo XXXVIII
sono state riempite attraverso il confronto con un adattamento di LD.
ms. 8209.
XVII sec., cart.
Traduzione castigliana.
Manca il capitolo I, mentre invece il capitolo XXXVIII presenta le medesime lacune di T1.
MUGE
Casa Cadaval, ms. M.VII.4 (964)
XVI sec., cart.
Non presenta le lacune del capitolo I, ma presenta quelle dei capitoli XXXVIII e XLI come
accade in C.
PARIS
Biblioteca Nacional, St. Germain, ms. 1585
32
XVII sec.
Anc. Fonds. 10011 (Mazarin)
XVII sec.
Mattoso suppone che sia il manoscritto da cui fu copiato il codice F. G., ms. 8176 della
Biblioteca Nacional di Lisbona.
PORTO
Biblioteca Pública Municipal, ms. 277.
XVI sec., cart.
Contiene il prologo e 76 capitoli. Sono indicate le lacune presenti ai capitoli I, XXXVIII e
XLI identiche a quelle presenti in T1, di cui è quasi contemporaneo.
Suppone Mattoso che tale codice sia probabilmente una sua copia, nonostante presenti una
serie di varianti che diventano sistematiche qualora utili a ridurre le ripetizioni.
ms. 278.
XVI sec., cart.
Contiene il prologo e 76 capitoli, ma presenta la mancanza del capitolo I e di parte del II:
anche questo codice deve aver subito una serie di interpolazioni non segnalate in edizione.
Sono presenti le lacune dei capitoli XXXVIII e XLI, identiche a quelle di T1.
ms. 279, pp. 1-129
XVII sec., cart.
Contiene il prologo e 76 capitoli, ma presenta la mancanza del capitolo I e di parte del II –
devono essere anche qui presenti delle interpolazioni.
Lacune dei capitoli XXXVIII e XLI identiche a quelle di T1.
ms. 279 bis.
XIX sec., cart.
Non ne viene specificato il contenuto, ma sono indicate le lacune: mancano quelle del
capitolo I, mentre quelle del capitolo XXXVIII sono state ricostruite probabilmente, a
opinione di Mattoso, attraverso congettura, basandosi sui dati forniti da LD; le lacune del
capitolo XLI sono identiche a quelle di ms. 279.
33
WIEN
Nationalbibliothek, ms. 5807
XVI sec.
2.3 EDIZIONI DELL'OPERA
I primi tentativi di fornire un'edizione critica del Nobiliario del conte di Barcelos
vedono la loro realizzazione all'interno del lavoro curato da João Baptista Lavanha nel
1640. Il testo presentato all'interno di questa pubblicazione proviene essenzialmente
dall'unico manoscritto consultato, il codice della Torre do Tombo, T1, interpolato in più
punti attraverso il confronto con le lezioni fornite dal codice di Miguel Godinho de Castelo
Branco (M), contenente LV e LD.
Il risultato ottenuto da un tale lavoro di collazione non ha tuttavia convinto gli studiosi
successivi, che non hanno risparmiato critiche sulla scarsa qualità di un testo ottenuto
attraverso il confronto tra opere diverse: sebbene non vi siano dubbi sul fatto che i due
"libri vecchi" (LV e LD) siano stati ampiamente utilizzati da Don Pedro come fonti per la
redazione di LL, tale considerazione non può comunque essere sufficiente per giustificare
la massiccia opera di interpolazione attuata da Lavanha.
Proprio partendo da tali considerazioni lo storico portoghese Alexandre Herculano
pubblicò nel 1860 una nuova edizione, contenuta nel volume Scriptores della serie
Portugalia Monumenta Historica (PMH). Lo studio di Herculano si distingue da quello del
suo predecessore per la consultazione di un manoscritto fino ad allora inedito: il
frammento di Ajuda, A1. Ritenuto da Herculano il testimone più affidabile dell'opera, il
testo fornito dallo storico portoghese si basa essenzialmente sulle sue lezioni, completate,
per le parti mancanti, attraverso l'utilizzo di T1.
Per quanto siano stati fatti dei passi avanti rispetto all'opera pubblicata da Lavanha,
anche il lavoro contenuto nei PMH non è stato esente dal ricevere numerose critiche. In
particolare, l'eccessiva fiducia data alle lezioni fornite dai due manoscritti consultati hanno
portato all'inclusione nel testo di una serie di scorrettezze, inesattezze e lacune che non
sono passate inosservate ai successivi studiosi. Per quanto infatti il testo di A1 sia
attualmente ritenuto quello più corretto non lo si può comunque considerare scevro da
errori, i quali si sarebbero potuti correggere attraverso un attento lavoro di confronto con
T1 o anche attraverso congettura.
34
Infine, come per i due "libri vecchi", l'edizione attuale di riferimento per il Nobiliario
di Don Pedro è quella curata da José Mattoso per la seconda serie dei Portugalia
Monumenta Historica (PMH). Il lavoro dello storico portoghese si caratterizza innanzi
tutto per essere stato il primo a compiere uno spoglio di diversi cataloghi europei con lo
scopo di individuare tutti i manoscritti contenenti il Livro de Linhagens (LL), in quanto i
due precedenti editori si erano limitati a prendere in considerazione solamente quelli
ritrovati nella città di Lisbona. Questa procedura ha permesso di identificare in tutto
sessanta codici e di elaborare il primo, attualmente unico, stemma codicum dell'opera,
commentato nel dettaglio in edizione23
.
È interessante notare come Mattoso sostenga nell'introduzione che non sia sua
intenzione fornire un'edizione critica dell'opera, ma semplicemente un testo leggibile e
comprensibile a uso degli storici. In effetti, la consultazione di una nutrita serie di
manoscritti tra quelli da lui elencati, ma mai esaminati personalmente, sarebbe necessaria
per ottenere una visione più completa e più chiara della tradizione, che potrebbe ampliare
le prospettive e modificare le conclusioni cui lo storico portoghese è giunto nel corso dei
suoi studi.
Si riporta in seguito un breve schema che possa riassumere le informazioni basilari sui
manoscritti e sulle edizioni del Livro de Linhagens (LL):
Mss. Sec. Edizioni Contenuto Lacune Interpolazioni
A1 XIV-XV Herculano,
Mattoso
Cap. XXI-
XXXV
Finale cap.
XXI; parte
cap. XXX
nessuna
A2 XVI Mattoso Prologo e 76
cap.
Cap. I-VII;
parte cap.
VII
nessuna
C XVII Mattoso Prologo e 77
cap.
Cap. XI
T1 XV-XVI Lavanha;
Herculano;
Mattoso
Prologo e 76
cap.
Presso i cap.
I; XXXVIII;
XLI
nessuna
23
Mattoso 1980.
35
T2 XVII Mattoso Prologo e 76
cap.24
Presso i cap.
I; XXXVIII;
XLI
nessuna
L2 XVII Mattoso Prologo e 76
cap.
Presso i cap.
I; XXXVIII;
XLI
nessuna
2.4 LO STEMMA ELABORATO DA MATTOSO
Lo stemma da elaborato da Mattoso all'interno della sua edizione è il seguente25
:
Ω
a A1
b T1
A* C*
A2 C T2 L2
La scelta di non includere al suo interno tutti i manoscritti censiti è nata dalla decisione
di non menzionare i codici ritenuti dallo storico portoghese dipendenti da T1: tra questi
appaiono soltanto T2 e L2, ovvero quelli che sembrano dare a Mattoso maggiori garanzie di
aver trascritto correttamente il quaderno perduto del capitolo XXXVI– anche se non sono
esplicitate le motivazioni che hanno portato a tale selezione.
La dipendenza di determinati testimoni dal manoscritto della Torre do Tombo (T1) –
che ha portato, come si è visto, alla loro esclusione dallo stemma – è stabilita dallo storico
in base a una serie di criteri esplicitati in sede di edizione, i quali possono essere in tal
modo brevemente riassunti:
La presenza di annotazioni all'interno del codice in questione che ne esplicitano la
dipendenza da T1 o da manoscritti identificati come suoi descripti.
La presenza di lacune, che comprendono determinate parole, nelle storie di Isacco e
Giacobbe del capitolo I.
24
Come si è visto in precedenza, il contenuto non è specificato in edizione, ma essendo copia di T1 e
presentando le medesime lacune si può pensare che sia lo stesso del manoscritto della Torre do Tombo. 25
Mattoso 1980, pp.
36
La lacuna iniziale del capitolo XXXVIII.
Lacune che comprendono una precisa serie di parole alla fine del capitolo XLI
(seguendo la numerazione di T1).
Due lacune all'inizio del capitolo XLII (sempre seguendo la numerazione di T1).
Tra questi, il primo criterio utilizzato da Mattoso non appare tuttavia molto
convincente: non solo perché non avendo personalmente consultato una buona parte dei
codici appare alquanto aleatorio, ma anche perché le parole da lui stesso utilizzate in
edizione per descrivere il suo lavoro, «além das declarações espressas de certos códices»
26, sono decisamente poco chiare.
In seguito lo storico portoghese stabilisce una divisione della tradizione in due rami
principali, che vede da una parte A1 e dall'altra i discendenti del sub archetipo a, T1A2C27
.
In particolare, gli elementi interni all’opera che permettono di separare A1 da T1A2C sono:
L'assenza della numerazione dei paragrafi in T1A2C, presente invece in A1.
Capitoli dai titoli più estesi nel secondo gruppo.
Rubriche più numerose nel frammento di Ajuda (A1), con corrispondenti
adattamenti del testo in T1A2C in caso di relativa soppressione.
L'omissione, sempre all'interno del secondo ramo, di alcune narrazioni, tra le quali
spiccano la storia di Gonçalo di Suosa, già erasa in A1, e la battaglia di Salado.
Tolte queste differenze il testo risulta sostanzialmente identico, salvo alcune varianti
del secondo gruppo la cui manifesta erroneità ha spinto Mattoso a decidere di non
includerle in apparato.
L'esistenza del sub archetipo a, da cui derivano T1A2C, è supposta in quanto tutti i
manoscritti di tale ramo presentano, oltre alle sopra citate differenze da A1:
Consistenti lacune ai capitoli XXXVIII e XLI.
Inversione dei capitoli XLI e XLII.
Lacune evidenti all'inizio dei capitoli XLI e XLII.
In particolare, le lacune dei capitoli XXXVIII e XLI sono probabilmente il risultato
della perdita di un foglio, anomalia che insieme ad altre porta Mattoso a dedurre che il
modello di T1A2C fosse un manoscritto lasciato incompleto dall'autore.
Per quanto riguarda invece il problema suscitato dai capitoli XLI e XLII, si può notare
che i riferimenti interni all'opera menzionano sempre il capitolo XLI come quello dedicato
26
Mattoso 1980, p. 29. 27
T2 e L2 non sono mai nominati in quanto utilizzati solo in determinati punti, ovvero per quanto riguarda il
capitolo XXXVI.
37
ai Coronéis e il XLII a Goido Arualdez, non lasciando dunque alcun dubbio riguardo la
loro inversione. Il rimaneggiatore deve aver voluto collocare il capitolo riguardante Goido
Arualdez accanto a quello dei Baião (XL) – in quanto legati da parentela – senza però
arrivare a modificare i costanti riferimenti al capitolo: altra caratteristica che si può
spiegare attraverso l'incompletezza del rimaneggiamento del 1380-1383.
All’interno del gruppo dipendente da a, T1 si distingue da A2C in quanto presenta una
versione lacunosa della storia di Isacco e Giacobbe (cap. I), completa invece negli altri
due. Un esame attento del passo confermerebbe, a opinione di Mattoso, che la lezione di
A2 e C non sarebbe il frutto di una ricostruzione operata per congettura ma autentica, in
quanto concorda con quella fornita dalla fonte utilizzata dal conte per tale capitolo, il Libro
de las Generaciones.
La dipendenza di A2 e C da un medesimo sub archetipo (b) diverso da T1 è confermata
da una serie di errori e varianti comuni che si possono ritenere disgiuntivi rispetto al codice
della Torre do Tombo. Utilizzando il metodo di suddivisione del Libro introdotto da
Mattoso all’interno della sua edizione dei due livros velhos si riportano qui alcuni degli
errori che separano T1 da A2C:
9 A 1 Vusturio] Misturio A2 Mesturio C
11 C 8 el i] om.
11 C 8 Garalte] Galarte A2 Golarte C
13 E 2 ũu filho] ũa filha
16 tit. E COMO, DE … TAAVARES] om.
21 A 1 donde estava] om.
21 A 3 Sernam] Fernam
21 A 3 chamarom] houve nome
21 G 6 tam dura] tamanha
21 G 9 crastado] om
La presenza di due diversi antigrafi per A2 e C (A* e C*) è ipotizzata a causa di errori
disgiuntivi che separano i due codici, ma che non sono esplicitati in sede di edizione.
La costruzione dello stemma si ritrova inoltre complicata dalla presenza di una serie di
errori comuni tra T1 e C non presenti invece in A2. Nel tentativo di spiegare la questione
Mattoso propone due ipotesi: la contaminazione di C attraverso la consultazione di T1 o di
un manoscritto simile, o quella di A2 da parte di un testo migliore oggi perduto; non
38
essendo possibile però confermare una delle due possibilità nessuna delle due è stata
riportata nella rappresentazione grafica.
Una volta conclusa la descrizione dello stemma, si è ritenuto opportuno includere una
serie di considerazioni riguardanti l'intera tradizione.
Si è visto come la presenza in A1 di un numero maggiore di rubriche rispetto ai
testimoni derivati dal sub-archetipo a sia utilizzato dall’editore come importante criterio
nella suddivisione delle due famiglie. Sorge dunque a questo punto spontaneo il quesito: è
stato A1 a moltiplicarle o a a ridurle? La comparazione di passi paralleli alle due famiglie
parrebbe favorire la seconda ipotesi, in quanto in T1A2C i paragrafi presi in considerazione
presentano degli incipit la cui struttura sintattica e semantica sembra derivare da una
soppressione da parte del copista delle rubriche presenti in A1. La presentazione del
personaggio di cui si parlerà all’interno del capitolo (compresa la sua derivazione
genealogica) avviene infatti in A1 all’interno delle rubriche, principiando di conseguenza il
testo che segue con la parola Este. Possiamo vedere invece come a cominci generalmente i
passi corrispondenti sempre con il medesimo este – ritardando dunque l’identificazione,
che viene inserita in seguito – anche se la sua presenza si giustifica solo se il vocabolo è
preceduto da una rubrica, e il caso in cui questo in a non avviene sono numerosi.
Si prenda a esempio la struttura presentata dal capitolo XXVI:
Al titolo “DE DOM SOEIRO MEENDEZ, O GROSSO, IRMAO DE DOM
GONÇALO DE SOUSA” seguono le parole “Este dom Soeiro Meendez …” presenti in
tutti i manoscritti; a partire dal terzo paragrafo tuttavia la rubrica “DE DOM MARTIM
ANES DE RIBA D’AVIZELA” è presente solamente in A1, mentre invece tutti i testimoni
presentano solamente la frase seguente, “Este dom Martim Anes de Riba d’Avizela…”,
seguita inoltre in T1 e C da “filho do dito dom Joham Fernandez” . Come possiamo vedere
il dimostrativo este è comprensibile solo perché preceduto da una rubrica che introduce il
personaggio in questione, in quanto altrimenti la sua presenza non avrebbe alcun senso dal
punto di vista sintattico e semantico. In altri casi è invece possibile vedere una serie di
modifiche atte a risolvere la soppressione della rubrica, come per esempio avviene in 26C3
ove la caduta della rubrica di A1 “DE DONA MARIA ANES, FILHA DE DOM JOHAM
FERNANDEZ DE RIBA D’AVIZELA E DE DONA MARIA SOAREZ” ha provocato
una modifica del testo seguente, che vede la sostituzione del dimostrativo este con la
congiunzione e: “Este dona Maria Anes” in A1 e “E dona Maria Anes” in T1A2C28
.
28
a volte le modifiche possono appartenere a uno solo dei manoscritti del secondo gruppo.
39
Allo stesso modo, appare quanto meno singolare che l'interna tradizione manoscritta a
disposizione dello storico portoghese abbia soppresso la numerazione dei paragrafi,
quando questa si rivela indispensabile per ritrovare i luoghi indicati dai numerosi
riferimenti presenti lungo tutto il testo – che sarebbero altrimenti inutili. L'anomalia è, a
opinione di Mattoso, attribuibile anche questa volta all’incompletezza del
rimaneggiamento del 1380-1383. Un importante esempio a favore di tale ipotesi si può
notare presso la sezione finale del capitolo XXX, dove in A1 la numerazione dei paragrafi
passa direttamente dal numero XIII al XVII: per quanto non appaia nessun evidente iato
nel testo sembra non ci sia allo stesso tempo alcun errore nella numerazione, perché i
soggetti del paragrafo XVII sono citati per tre volte con questo numero. Una tale scelta
dev'esser quindi stata dettata dalla volontà di rivedere in un secondo momento il testo del
capitolo XXX, aggiungendo tra il numero XIII e il XVII i relativi paragrafi.
È inoltre da notare che negli ultimi capitoli il copista evita molte volte di indicare la
numerazione dei paragrafi nei suoi riferimenti. Mattoso suppone dunque che, col tempo, si
sia creata una confusione tale che deve aver portato lo scriba a sopprimere il sistema di
numerazione senza però modificare i riferimenti già presenti del testo.
3 RIEPILOGO
In questo ultimo paragrafo si intende inserire brevemente le principali informazioni
riguardanti le opere finora introdotte di modo da consentire una più agevole e veloce
utilizzazione dei dati forniti.
Il Livro Velho (LV):
• Prima opera genealogica di ambito portoghese, è attualmente ritenuta databile tra il 1282 e il 1290.
• L’autore non è indicato dal testo, ma gli studi compiuti da José Mattoso lo identificano con un
monaco legato al monastero di San Tirso, probabilmente al servizio di Martim Gil Riba de Vizela.
• È un frammento: delle cinque famiglie menzionate nel prologo sono presenti solamente i Suosa
(cap. I) e i Maia (cap. II). Mancano completamente i Bragança, i Baião e i Riba-Douro.
• Sono presenti tre passi narrativi: la leggenda di Miragaia, la tradizione riguardante Échega Guiçoi de
Suosa e quella riguardante Gonçalo de Suosa.
• Il manoscritto che originariamente conteneva l’opera, rilegata assieme al Livro do Deão, è oggi
perduto.
Il Livro di Deão (LD):
• Il Livro do Deão ottiene questa denominazione a causa del testo conservato nel colophon, il quale
afferma che fu scritto da Martim Anes per un decano anonimo nel 1343.
40
• L'analisi di elementi interni all'opera ha portato Mattoso a farne risalire la redazione a un periodo che
va dal 1337 al 1340.
• Il decano menzionato nel colophon è stato identificato dallo storico portoghese con il rettore della
sede di Lamego. L’autore non è identificabile.
• Numerose analogie collegano LD all’opera del conte di Barcelos (LL). Lo studio di tali analogie ha
portato Mattoso a ipotizzare che il Livro do Deão sia la traccia di una prima fase redazionale del
Livro de Linhagens.
• Come accade per il Livro Velho (LV), anche LD è conservato in maniera incompleta. Sono presenti
in totale il prologo e ventitré capitoli.
• Sono presenti all’interno del libro tre brevi sezioni narrative: Le origini dei Braganção; Il duello di
Simão de Curutelo; La vendetta di Paio Godins de Azevedo
Edizioni di LV e LD:
1749, António Caetano de Suosa pubblica i due livros velhos per la serie Provas da Historia
Genealogica. I manoscritti utilizzati per l'edizione sono S, che fornisce il testo di base, e C, di cui
vengono annotate le varianti.
1860, Alexandre Herculano propone una nuova edizione per la serie Scriptores dei Portugalia
Monumenta Historica. I codici consultati dallo storico portoghese sono S e, ove possibile, A.
1980, Mattoso pubblica una terza edizione per la nuova serie dei Portugalia Monumenta Historica.
Lo studio critico dello storico portoghese si caratterizza per la singolare decisione di riproporre il
testo di Herculano (basato dunque su A e S), le cui lezioni vengono confrontate con L.
Il Livro de Linhagens (LL):
La redazione dev'essere avvenuta tra il 1340 e il 1344
Nonostante siano stati nutriti numerosi dubbi al riguardo, in seguito agli studi compiuti da Cintra è
oggi indubitabile che l'autorità dell'opera sia da attribuire al conte Pedro de Barcelos, figlio bastardo
del re D. Dinis.
L'opera è stata soggetta a due rimaneggiamenti - il primo nel 1360-1365, il secondo nel 1380-1383 -
entrambi commissionati dal priore degli Ospitalieri Álvaro Gonçalves Pereira e volti a esaltare la
memoria di diversi membri della famiglia del priore.
Il rimaneggiamento del 1360-1365 è attribuibile a un canonista o a un giurista e si limita ad
attualizzare alcune genealogie. Sono stati interpolati in questa occasione i capitoli: XXII, XXVII,
XXXVI, XXXVII, LV, LVII, XLIV.
Il rimaneggiamento del 1380-1383 dimostra un totale disinteresse per l'attualizzazione della materia
lignagistica, concentrandosi invece sull'ampliamento di una serie di narrazioni eroiche che vedono
come protagonisti il priore e i suoi avi. Gli sono dunque state attribuite le narrazioni del capitolo
XXXI, parte del capitolo VII, la battaglia dei re di Escolha del capitolo XV e la storia di Rui
Gonçalves Babilom all'interno del capitolo LXXII.
41
Edizioni di LL:
1640, João Baptista Lavanha cura la prima edizione del Livro de Linhagens (LL). Il testo da lui
pubblicato riproduce quello dell'unico manoscritto da lui consultato, T1, interpolato tramite il
confronto col codice di Miguel Godinho de Castelo Branco, M, contenente LV e LD.
1860, Alexandre Herculano propone nel volume Scriptores della serie Portugalia Monumenta
Historica una seconda edizione di LL. I codici utilizzati in questo caso sono due: il frammento di
Ajuda, A1, fino a quel momento inedito, e il manoscritto della Torre do Tombo, T1.
1980, José Mattoso pubblica per la nuova serie dei Portugalia Monumenta Historica una nuova, e
attualmente ultima, edizione del testo. Nonostante attraverso la sua opera di ricerca abbia
identificato sessanta manoscritti contenenti il Livro de Linhagens, il suo studio critico si basa
essenzialmente sull'utilizzo di sei manoscritti: A1, T1, A2, C, T2 e L2.
42
43
CAPITOLO II
LE ORIGINI DEI LIBRI DEI LIGNAGGI
Dopo aver esposto dunque quali siano i contenuti, la tradizione e le edizioni dei tre
Livros de Linhagens, si passerà in questo capitolo ad analizzare il contesto storico e
culturale all’interno del quale hanno avuto origine le tre opere genealogiche. Uno studio di
quali siano infatti le motivazioni che hanno spinto un determinato gruppo sociale a
redigere questi libri in un preciso periodo della storia del regno di Portogallo, nonché le
fonti utilizzate per tale compilazione, sarà infatti estremamente utile per comprendere a
fondo la struttura stessa dei tre Livros e allo stesso tempo, come si vedrà pienamente
soprattutto nei capitoli successivi, la sua grandezza.
1. SCOPI DEI LIBRI DEI LIGNAGGI
Si è visto in precedenza quanto nell’analisi di un’opera come i Libri dei Lignaggi
galego-portoghesi sia di particolare interesse lo studio della loro data di composizione:
appartenendo infatti tutti ai secoli XIII e XIV si situano in un periodo in cui si assiste
gradualmente, in ambito europeo, a una riduzione nella nascita di questa categoria di opere
storiche. Un’attenta valutazione del contesto in cui i tre livros sono stati redatti unita a un
esame dei rispettivi prologhi può essere utile a capire perché queste opere siano nate in un
periodo così singolare per il genere genealogico.
Nei secoli XIII e XIV la giovane nobiltà portoghese non poteva restare indifferente di
fronte a una serie di minacce sociali, economiche e politiche che minacciavano di
dissolvere i privilegi grazie ai quali era nata e che la identificavano in quanto tale. La
progressiva ascesa di nuove classi sociali, quali quella degli «homens bons e cavaleiro
vilãos»29
o dei mercanti, unita all’incremento di un’economia di produzione e, infine, ad
una maggiore centralizzazione del potere operata dai regnanti furono uno stimolo
essenziale per l’elaborazione in Portogallo di una nuova ideologia di classe. Lo sviluppo di
questa ideologia era necessario per costruire le basi di una nuova identità sociale che
potesse distinguere la classe signorile tanto dalla casa reale quanto dalle classi inferiori,
29
Mattoso 1981, p.51
44
dandole dunque, attraverso un rinnovamento radicale, nuova vita e possibilità di sviluppo.
Si vedrà ora come la redazione dei nostri Livros de Linhagens si ponga come un momento
essenziale all’interno di questo sviluppo.
È innanzi tutto estremamente interessante notare come le tre genealogie si
caratterizzino per porre, già all’interno dei rispettivi prologhi, una significativa distinzione
tra la classe nobiliare e la casa reale30
, deliberatamente esclusa dalle prime due opere, LV e
LD, e nettamente distinta nel Nobiliario del conte di Barcelos, in cui viene posta in
relazione con le monarchie del mondo antico e moderno e non con le signorie di
Portogallo. Tali decisioni redazionali parrebbero suggerire, come si vedrà anche in seguito,
l’esistenza di un forte senso di rivalità tra sovrani e signorie.
Una volontà di polemica nei confronti della casa reale è particolarmente evidente nei
due libri più antichi, che si rivelano più diretti, in un certo senso, nella loro critica nei
confronti del sovrano. In particolare, LV nell’affermare di voler descrivere i lignaggi che
«andaram a la guerra e filhar o reyno de Portugal» sminuisce implicitamente il ruolo svolto
dal re nella lotta per l’indipendenza, il cui successo è dunque interamente attribuito alla
classe nobile che si ritrova protagonista indiscussa del libro e delle narrazioni in esso
contenute, volte a innalzare la memoria dei suoi protagonisti e del loro valore in un
momento topico per la nascita del regno.
Su uno stesso piano si pone anche l’autore di LD, il quale, proponendosi di ottenere
con la sua opera «muita prol e arredar muito danno: cá muito uem de bom linhagem e non
o sabem elles, nem o samem os reis, nem o sabem os grandes homens», parrebbe accusare
i sovrani – che, si ricordi, non compaiono tra le genealogie del libro – di dimenticare
spesso il proprio obbligo di fornire ai signori protezione e benefici, accusa molto grave
dato che la generosità così come la protezione rientravano tra i doveri più importanti di un
re ed erano i valori essenziali su cui poggiava le proprie basi il codice vassallatico, struttura
fondante dell’ordine sociale del regno.
Come si è detto, a una netta presa di distanza nei confronti della casata reale si
accompagna una volontà di distacco anche dalle classi inferiori, espressa implicitamente in
tutti i libri ma che si fa più chiara con il passare del tempo. Si può infatti vedere come in
LV all’elenco delle cinque famiglie che avevano contribuito in maniera essenziale
all’indipendenza del regno si affianchi anche la citazione di personaggi legati a questi
lignaggi per via maschile e femminile; se dunque le prime famiglie vengono poste in una
30
La prima di quelle cui si era precedentemente accennato.
45
posizione assolutamente unica è altrettanto vero che la decisione di associarvi anche una
serie di casate minori porta queste ultime a partecipare, anche se non completamente, alla
medesima posizione sociale, quella dei «bons homens filhos-dalgo do reyno de Portugal».
Una tale espressione si ritrova a sua volta ripresa anche all’interno di LD, che riserva
implicitamente a tutte le famiglie in esso elencate, riunite sotto la designazione di «homens
fildalgos de Portugal», il medesimo diritto a possedere determinati onori, diritti e proprietà;
diversamente da quanto accade nel Libro precedente però, all’intento di unire tutte i
lignaggi sotto una medesima designazione si contrappone per la prima volta una presa di
distanza dalle classi inferiori, che risulta implicita nelle parole con cui i membri della
classe nobile vengono descritti: asserire che «muitos uem de bom linhagem» implica infatti
che tutti coloro che non vengono nominati nell’opera appartengono di fatto ad un
lignaggio, per così dire, “non buono”, e debbano dunque ritenersi esclusi tanto dalla classe
signorile quanto dai diritti e doveri che essa comporta (e rivendica).
L’incipit di LL infine oltre al menzionare, tra le diverse motivazioni che hanno spinto
l’autore a scrivere il suo Nobiliario, le canoniche ragioni di tipo economico – cautelare e
chiarire diritti patrimoniali, ereditari o relativi alla distribuzione delle terre – e sociale –
determinare i gradi di parentela per evitare di sposarsi tra consanguinei – ne aggiunge
un’altra di particolare interesse: quella politico-sociale. Lo scopo primario per cui
quest’opera è stata scritta, e su cui si insiste molto all’interno del prologo, sarebbe infatti
quello di suscitare una nuova solidarietà, un «amor», tra i nobili della penisola iberica, che
devono in tal modo sentirsi tra loro più legati e uniti contro un comune nemico. Di
particolare interesse è il passo che descrive questi “comuni nemici”:
A terceyra [ragione per cui ha scritto il libro] por seerem de ũu coraçom, de haverem de seguir os
seus emmigos que som em estroimento da fe de Jesu Christo, ca, pois elles veem de ũu linhagem, e
seiam no quarto ou no quinto grao ou dali acima, nom devem poer deferença antre si, e mais que os
que som chegados come primos e terceiros, ca mais nobre cousa é e mais santa amar o homem a seu
paremte alongado per dívido, se boõ è, que amar ao mais chegado, se faleçudo é. E os homẽes que
non som de boo conheçer nom fazem conta do linhagem que hajam, senam d’irmãos e primos
cõirmãos e segundos e terceiros. E dos quartos acima nom fazem conta. Estes taes erram a Deus e a
si, ca o que tem parente no quinto ou sexto grao ou dali acima, se é de gram poder deve-o servir por
que vem do seu sangue. E se é seu igual deve-o d’ajudar. E se é mais pequeno que si deve de lhe
fazer bem, e todos devem seer a ũu coraçom31
31
LL, p. 57
46
L’analisi di questo segmento effettuata da Mattoso nel suo volume del 1981 evidenzia
infatti come il conte ponga un’interessante relazione tra le forme di solidarietà familiari e
le differenze sociali, suggerendo che coloro i quali non partecipano a tale solidarietà di
classe non possano essere ritenuti parte dell’ordine cosmico voluto da Dio ed
equiparandoli, di fatto, ai veri e propri nemici. Si arriva dunque in questo modo ad
aumentare a dismisura, come mai nelle opere precedenti, la distanza che separa le signorie
dalle classi inferiori.
Come dunque si può dedurre dalla natura stessa dei nostri Libri dei Lignaggi la nobiltà
non rimase inerme di fronte ai cambiamenti sociali che minacciavano di dissolvere il
proprio status e i propri privilegi. La prima reazione fu quella di rinnovare in maniera
significativa la propria organizzazione, abbandonando gradualmente una struttura parentale
di tipo cognatico a favore di una di tipo lignagistico32
, la quale permetteva una maggiore
stabilità economica nel rafforzare le forme di successione patrimoniale evitando la
divisione dei beni e alla quale spesso si associava l’esclusione dall’eredità dei figli
secondogeniti – un’evoluzione questa che contraddistingue l’intera Europa già a partire dal
X secolo e che prevede il superamento delle forme della parentela sviluppatesi in età Tardo
Antica.
In secondo luogo, i signori si adoperarono per convertire nuovamente a proprio favore
il potere politico, accogliendo definitivamente il re come arbitro dei propri conflitti interni
nel tentativo di trovare un nuovo equilibrio e accontentando allo stesso tempo il sovrano
per riuscire a mantenere la propria posizione, pur dovendo accettare una serie di necessari
compromessi.
La terza reazione fu, infine, quella che si trova propriamente espressa nei Libri dei
Lignaggi, e che consiste nel porre la genealogia al servizio della solidarietà di classe nel
tentativo di trovare una nuova unità che permettesse allo stesso tempo di ricordare e
riacquisire determinati privilegi.
Il contesto storico e sociale all’interno del quale appaiono i tre Livros de Linhagens
spiega dunque perché in Portogallo si assista ad uno sviluppo del genere genealogico
proprio nel momento in cui nel resto d’Europa la produzione di opere lignagistiche subisce
un temporaneo calo: i Libri dei Lignaggi – insieme a tutta la produzione letteraria del
periodo – si pongono dunque come strumenti essenziali attraverso i quali la classe nobile
32
Ovvero da una concezione della parentela in cui rientrano nei diritti di successione anche i parenti della
moglie a una che privilegia solo la linea di sangue maschile, come spiega brillantemente K. Leyser nel suo
lavoro del 1970.
47
cerca di ottenere e dimostrare una nuova vitalità, di ritrovare un suo posto all’interno di
una società che cambia e alla quale si deve, volente o nolente, adattare.
2. FONTI DEI LIVROS DE LINHAGENS
Nel corso del XX secolo diversi studiosi, tra i quali spiccano nomi illustri quali
Carolina Micaëlis de Vasconcelos, Ramón Menéndez Pidal, Lindley Cintra e Diego
Catalán Menéndez Pidal, si sono occupati dell’identificazione delle possibili fonti del
Nobiliario di don Pedro.
Un passo decisivo in questo campo fu dato nel 1950 dagli studi compiuti da Lindley
Cintra, che per primo superò le teorie esposte da Micaëlis de Vasconcelos33
identificando
come unica fonte per i capitoli da I a VI – a eccezione della materia arturiana del II – il
Liber Regum, una fusione tra la cronaca universale e la genealogia regia, redatto in
Navarra34
nei primi anni del XIII secolo. Cominciando da Adamo, la nostra fonte
genealogica si propone di enunciare la successione di tutti i patriarchi biblici, dei re di
Isreaele, di Babilonia, di Castiglia, di Navarra di Francia e, probabilmente, anche del Cid,
“o Campeador” – che appare così affiancato alle famiglie reali – coprendo dunque quasi
interamente la materia trattata nei primi capitoli di LL. Era tuttavia opinione di Cintra che
il conte di Barcelos avesse utilizzato una versione diversa, non ancora identificata, rispetto
alle due fino ad allora conosciute – una più prossima all’originale nota anche col nome di
Chronicon Villarense e un adattamento castigliano databile intorno al 1220 – in quanto
sono presenti all’interno del Nobilario una serie di varianti riguardanti la storia del
“Campeador” che non appartenevano a nessuna fonte fino ad allora conosciuta. Le
informazioni tratte da quest’opera fino ad allora sconosciuta erano inoltre state completate
attraverso elementi provenienti da altre cronache: la versione galego-portoghese della
Variante Ampliada da Primeira Crónica Geral de Espanha, delle Crónicas de Castela e
delle opere di Pelágio di Oviedo.
Gli studi compiuti da Cintra vennero in seguito ampliati e perfezionati da Diego
Catalán Menéndez Pidal nel 1962. Questi innanzi tutto si distingue per aver identificato la
terza versione del Liber Regum – sempre di origine navarra e parzialmente trascritta da
Martim de Larraya35
– di cui Cintra aveva supposto l’esistenza: un opera conosciuta col
33
Vasconcelos 1983 e Vasconcelos 1904. 34
Che si distingue come luogo di elezione per la letteratura genealogica all’interno della penisola iberica. 35
Erudito del XV secolo.
48
titolo di Libro de las Generaciones che includeva al suo interno non solo la materia
arturiana del capitolo II, ma anche le suddette varianti della genealogia del Cid presenti in
LL. Ampliando ulteriormente gli spunti forniti dallo studio del 1950, Catalán Menéndez
Pidal dimostrò che il testo di cui si servì il conte per redigere il capitolo VII non era
propriamente una versione antica della IV Crónica Breve de Santa Cruz de Coimbra, ma
una Crónica galego-portuguesa de Espanha e Portugal – conosciuta e parzialmente
trascritta da Cristóvão Rodrigues Acenheiro36
; opera oggi perduta e redatta in Portogallo
verso la fine del XIII secolo, costituirebbe la prima importante prova di storiografia
cronachistica in ambito portoghese37
.
L’apporto dato dalle prime ricerche in merito alle fonti del Nobiliario tuttavia, per
quanto illuminante sotto certi versi, risulta sostanzialmente limitato da un ambito di
indagine notevolmente ristretto, in quanto ci si occupò essenzialmente solo della prima
parte di LL – ovvero dei capitoli da I a VII, le generazioni dei re dai patriarca biblici ai
sovrani portoghesi – e solo parzialmente dei capitoli seguenti; tutti gli studiosi non si
occuparono tra l’altro che di analizzare le relazioni tra LL e altre opere propriamente
storiografiche, senza mai porre la propria attenzione sulle numerose narrazioni presenti nei
settantasei capitoli del Libro.
Una nuova spinta in tale senso fu data dallo storico portoghese José Mattoso che, nel
suo lavoro del 1981, provò a identificare le fonti dei capitoli successivi al VII partendo
innanzi tutto da uno studio approfondito dei rapporti che legano il Nobiliario di don Pedro
ai due livros velhos (LV e LD). La comparazione delle tre genealogie permise dunque di
identificare le sezioni di LL derivanti dai due libri precedenti; in particolare l’utilizzo di
LV da parte di LL si limita sostanzialmente a:
La parte iniziale del capitolo XXI, riguardante i signori di Maia
I paragrafi da I a 5 del capitolo XXII, riguardanti i Sousões
I paragrafi da 1 a 4 e 7 del capitolo XXV, riguardanti i Fornelos e i Soverosas
Il capitolo XXVI, riguardante i Riba de Vizela, i Cachins e i Barros
Il capitolo XXX, per quanto riguarda le parti sui Barrosos
La parte del paragrafo 1 del capitolo XXXVI riguardante D. Moninho Viegas de
Riba de Doiro
36
Intellettuale vissuto tra il 1474 e il 1538 a Évora, ove praticò come avvocato. La sua opera più importante,
e attualmente l'unica giunta fino a noi, fu tuttavia un testo di tipo cronachistico, la Crónica dos Reis de
Portugal, scritta nel 1535 e ricordata principalmente in quanto contiene estratti di cronache precedenti,
alcune delle quali sono tutt'oggi considerate perdute. 37
Catalán Menéndez Pidal 1962, pp. 207-288.
49
Il passo riguardante i Portocarreiros del capitolo XLIII
La parte del capitolo LII riguardante D. Osório de Cabreira
Per quanto riguarda invece il Livro do Deão, LD, questo fornisce invece la struttura
di base e le espressioni verbali con cui sono descritti i capitoli:
Da XII a XLV (a eccezione del capitolo XXXV)
Da L a LVIII (a eccezione del capitolo LIII)
Da LXIII a LXI
LXVII
Una serie di parallelismi tra la materia di LD e quella dei capitoli da IX a XI e da
LXXIV a LXXVI di LL parrebbe infine dimostrare come gran parte della materia
genealogica del Nobiliario derivi essenzialmente dal Livro do Deão, mentre solamente
alcuni passi possano essere ritenuti il frutto di un armonizzazione delle lezioni dei due
livros velhos.
Se dunque LD fornisce al Livro de Linhagens la struttura di base, il redattore di LL
impone comunque dei cambiamenti importanti: varia l’ordine delle genealogie e la
struttura dei lignaggi, aggiunge paragrafi che non vi sono nei due libri precedenti – che
comprendono personaggi più recenti, ma anche antichi – fornisce lignaggi nuovi e
menziona legami omessi dalle opere precedenti.
Il passo successivo della ricerca di Mattoso è quello di ricercare quali siano le fonti dei
capitoli non coinvolti nelle precedenti ricerce, partendo proprio dall’ottavo.
Per quanto un’analisi interna faccia risultare evidente una certa relazione tra i lignaggi
navarri e castigliani dei capitoli da VIII a XV, questi tuttavia non sembrano derivare, a
opinione dello storico, da una medesima fonte. Se infatti il capitolo VIII dipende, come i
precedenti, dal Libro de las Generaciones e dalla Versão galego-portuguesa da Crónica
Geral de Espanha, un’analisi delle peculiarità del capitolo IX – la grande importanza data
alle sezioni narrative di fondo mitico o fittizio e le indicazioni precise riguardanti i cinque
più recenti signori di Biscaia – parrebbe indicare invece una fonte di tipo genealogico
contaminata dal genere cronachistico e annalistico non anteriore al 1280.
Il capitolo X, riguardante la famiglia Lara, presenta invece caratteristiche ancora
differenti. Comincia anche questo con una narrazione, la leggenda degli infanti di Salas –
di carattere epico e non mitico come accadeva nel capitolo precedente – cui seguono le
genealogie e una serie di narrazioni di tipo cronachistico, tutte relativamente lunghe,
riguardanti i membri della famiglia. Il notevole numero di dettagli con cui sono descritti i
50
fatti e l’attenzione dedicata all’esaltazione di personaggi legati alla famiglia hanno portato
a ipotizzare che il conte di Barcelos abbia utilizzato una fonte speciale dedicata alla
famiglia dei Laras, consultata sia per la redazione di LD che per LL – e riprodotta in
maniera più dettagliata in quest’ultimo38
– di cui sarebbe oggi ultimo testimone. Il primo
ad accennare alla possibile esistenza di un tale testo fu Lindley Cintra, che in una nota alla
sua edizione della Crónica Geral de 134439
evidenzia per la prima volta come, all'interno
delle cronache regie che avevano preceduto quella del conte, non si ritrovino che
riferimenti sporadici ai membri di questa famiglia; d'altra parte, una tale quantità di dettagli
e riferimenti storicamente precisi è molto più probabile derivi da una fonte scritta che da
un racconto tramandato per via orale, ed è per questo che si suppone, per la prima volta,
che provengano da una fonte oggi perduta. A partire da queste considerazioni Mattoso40
approfondì la questione, aggiungendo all'ipotesi di Cintra una serie di argomenti volti a
dimostrare l'esattezza della sua tesi. Lo studioso portoghese annota in primo luogo una
serie di brevi riferimenti ai medesimi personaggi41
in LD e LL, che presentano a volte
coincidenze testuali apparentemente non casuali42
. Si potrebbe dire allora che, come
avviene in altri luoghi dell'opera, l'autore del Nobiliario può aver tratto questa sezione
dall'opera precedente, ma la comparazione dei due testi parrebbe invece suggerire, a prima
vista, che sia stato LD a riassumere LL, il che è di fatto impossibile. Si deve allora in
questo caso supporre che entrambi gli autori abbiano fatto riferimento a una medesima
fonte, copiata con maggior attenzione da don Pedro.
In secondo luogo, lo storico evidenzia come la maggior parte delle narrazioni
riguardanti i Lara si situino cronologicamente durante il regno di Alfonso VIII, ovvero
prima del 1295, e non possano dunque esser state conosciute direttamente dal Conte, che fu
esiliato in Castiglia dal 1317 al 1322. Per quanto dunque Pedro di Barcelos fosse un grande
amico di João Nunes del Lara « o da Barba», è probabile che tali storie non fossero parte di
una tradizione orale raccolta in quegli anni dal conte.
Infine, un ultimo argomento a favore dell'ipotesi già esposta da Cintra si ritrova, a
opinione di Mattoso, nel riassunto presente nel Livro de Linhagens del Cantar dos Infantes
38
Il fatto che don Pedro abbia utilizzato per la redazione della sua opera una fonte scritta e non orale lo si
deduce dal fatto che tutte le informazioni a noi giunte sulla famiglia Lara risalgono al tempo di Alfonso VIII
di Castiglia (1158-1214) , e non potevano dunque essere, a opinione di Mattoso, direttamente conosciute dal
conte in quanto questi fu esiliato in Castiglia dal 1317 al 1322. 39
Cintra 1951, Introduzione, I, p. 123, nota 101. 40
Mattoso 1981, pp. 60-75. 41
D. Nuno Peres, D. Gonçalo Nunes e D. João Nunes de Lara. 42
Trattandosi infatti non tanto di singole parole o formule, ma di segmenti di frase ben precisi che
difficilmente si sarebbero potuti generare identici autonomamente.
51
de Salas. La comparazione di questo riassunto con le versioni fornite dalla Primeira
Crónica Geral de Espanha, dalla Crónica Geral de 1344 e dalla Terceira Crónica Geral
suggerisce che la fonte di LL debba esser stata una versione situata tra quella della
Primeira Crónica Geral e la Crónica Geral de 1344. Oltre a ciò, la presenza di due
contraddizioni tra il Nobiliario e la Crónica Geral de 1344 – che, si ricordi, appartengono
allo stesso autore – possono essere spiegate, dice Mattoso, solo ammettendo che lo stesso
autore si sia servito nel primo caso di un riassunto già scritto (ovvero proprio la genealogia
dei Lara) e nel secondo del vero e proprio cantare trasmesso oralmente, sebbene si tratti di
due versioni molto simili. I criteri attraverso cui lo storico portoghese è giunto a queste
conclusioni sono brevemente spiegati in nota nel volume del 198143
, ma per quanto
riguarda la prima parte della sua teoria, ovvero il situarsi della fonte di LL tra la versione
della Primeira Crónica Geral (PCG) e quella della Crónica Geral de 1344 (CG), non si
può non notare come lo studioso porti solamente un esempio delle prove che lo hanno
condotto all'elaborazione delle sue ipotesi. Si tratta dell’analisi di una variante presente nei
diversi testi, e che consiste nella specificazione del grado di parentela di un personaggio
della narrazione, Almançor, con una mora, madre di Mudarra Gonçalves. La PCG non
indica alcun nome o grado di parentela; in LL si dice che Almançor è suo cugino; nella
CG si dice che la donna è sua sorella, ma non se ne dice il nome; infine, nella Terceira
Crónica Geral la mora viene identificata come la sorella di Almançor, e porta il nome di
Zenla. Si può vedere in questo caso dunque una tendenza a caratterizzare sempre di più la
mora, che aumenta col passare degli anni e all'interno della quale la versione di LL si situa
esattamente tra quella della PCG e della CG. Allo stesso modo, la differenza presente tra
le due opere del medesimo autore, ovvero il passaggio da “cugina” a “sorella” della mora,
può essere attribuibile all'utilizzazione di due diverse varianti del medesimo testo.
La seconda contraddizione tra i due testi, già annotata da Cintra44
, si troverebbe infine
nella narrazione della morte di D. Lambra, ove la versione di LL concorda con quella
fornita dalla PCG e non con quella della CG. Nel suo studio sulla Crónica Geral Lindley
Cintra afferma che tali varianti possano dipendere dalla Versione Ampliada da Primeira
Crónica Geral, ma, ribatte Mattoso, le sue argomentazioni non escludono che possano
derivare da una genealogia dei Lara. Non v'è dubbio che queste ultime prove portate dallo
studioso portoghese a favore della sua ipotesi appaiano quanto meno poco convincenti e
troppo generiche per poter dimostrare l'esistenza di un testo non conservato, e dovranno
43
Mattoso 1981, p. 68 nota 22. 44
Cintra 1951, p. 114.
52
essere oggetto di ulteriori studi. Nel complesso tuttavia le sue argomentazioni sono parse
abbastanza convincenti da permettere alla sua teoria di essere accettata in questa sede.
La struttura del capitolo seguente, dedicato alla famiglia Castros, è a sua volta molto
simile a quello dedicato ai Laras, con la differenza che qui appaiono un racconto di
carattere novellistico e sentimentale sull’assassinio di D. Estevanha da parte del marito e
altre narrazioni dai toni fortemente negativi, quali quella riguardante il figlio del suddetto
matrimonio e il rapimento di Maria Guterres de Castro da parte di Soeiro Telo de Meneses
– completamente differenti dunque da quelle di carattere epico del capitolo precedente. In
base a tali indizi Mattoso suppone quindi che la genealogia conservata nel cap. XI – o
quanto meno le sezioni narrative – fosse parte delle fonti contenenti la genealogia dei
Laras, o di un gruppo di opere centrato intorno a tale famiglia che avrebbero incluso le
leggende dell’epoca di Afonso VIII e dati riferiti ai Castros e agli Haros. Anche se il fatto
che le tre genealogie siano associate all’interno di LL parrebbe confermare parzialmente
quest’ultima ipotesi, le somiglianze che uniscono le narrazioni riguardanti personaggi
dell’epoca di Afonso VIII e quelli dell’epoca di Ferdinando III e Sancho IV portano
tuttavia a supporre che si tratti in realtà di una serie di fonti più tarde e più ampie.
Le genealogie che seguono (capitoli XIII e XVII-XX) sono dedicate a famiglie non
portoghesi e presentano un carattere abbastanza differente: la materia genealogica è più
densa e le narrazioni più corte e sporadiche – ritrovandosi solo all’interno di XII, XIV e
XV. Il fatto che siano capitoli molto corti e all’interno dei quali si ritrovano abbondanti
riferimenti ad altre pagine di LL conduce lo storico portoghese a ipotizzare che si tratti di
capitoli dal carattere «factício»45
, ovvero composti artificialmente attraverso l’associazione
di individui citati altrove nel Nobiliario.46
Per quanto riguarda invece le famiglie portoghesi i cui lignaggi non si trovano né in
LD né in LV, si può dire innanzi tutto che sono presenti una serie di genealogie dalle
caratteristiche comuni: quelle dei capitoli LV, LIX e LX. Di queste tuttavia non si può
sapere molto: se la prima – quella riguardante D. Guterre de Gasconha – può essere
ritenuta un’elevazione a mito dell’origine dei Cunhas, il cui lignaggio appare in LD anche
se con minor rilievo, le altre due – riguardanti D. Anião da Estrada das Astúrias e D. Mem
Gundar das Astúrias – devono provenire da fonti indipendenti da LD, ove non si
incontrano riferimenti ad alcun loro membro.
45
Mattoso 1981, p. 69 46
Parrebbe venir meno dunque in questo modo l’ipotesi che il Livro de Linhagens abbia attinto per questi
capitoli a una serie di fonti navarre o castigliane, in quanto al tempo non esisteva in Castiglia un’opera
genealogica che pretendesse di trattare la maggior parte o la totalità dell’aristocrazia del regno.
53
Le ultime due genealogie di famiglie portoghesi si incontrano all’interno dei capitoli
da LXVIII a LXXII, ma provengono nuovamente da fonti ancora oggi sconosciute.
I capitoli finali in conclusione, che presentano una forma storica abbastanza accentuata,
trattano i lignaggi di quattro famiglie galeghe legate al primo re di Portogallo e alla
conquista di Lisbona, e devono provenire dunque, a opinione di Mattoso, da una serie di
genealogie galeghe la cui materia « ter sido provavelmente conhecida já do autor de LD»47
.
Le fonti genealogiche di cui il Livro de Linhagens conserva traccia ma che sono oggi
perdute sono alquanto difficili da caratterizzare e si possono per lo più distinguere per
esclusione: non sono navarre, castigliane né galeghe, non sono artificiosamente costruite e
non sono parte di lignaggi associati ad Afonso Henrique o alla conquista di Lisbona. Si può
dunque supporre appartengano al gruppo, proposto dallo storico portoghese ma non meglio
specificato nel volume del 1981, dei lignaggi di cavalieri.
Due casi tuttavia fanno eccezione: i capitoli XLIV e LXIV, i cui protagonisti erano
molto probabilmente menzionati all’interno dei capitoli perduti di LD, in quanto nominati
all’interno del prologo.
Volendo dunque riassumere schematicamente le ipotesi di Mattoso fin ora esposte si
presenta la seguente lista capitoli-fonti:
I-VI, VIII: Libro de las Generaciones.
VII: Crónica galego-portuguesa de Espanha e Portugal.
IX: genealogia degli Haros proveniente da miti locali e una fonte annalistica
X, XI: genealogia dei Laras con ampliamenti di carattere annalistico e narrazioni riguardanti i
Castros.
XII, XIV, XV: genealogie castigliane probabilmente associate a fonti anteriori.
XIII, XVII-XX: capitoli creati artificialmente o di origine sconosciuta.
XVI, XXI, XXII 1-5; XXV 1- 4, 7; XXVI, XXX, XXXV, XXXVI 1; XLIII, LIII: versione
conservata di LV.
XXII 6 ss.; XXXIV, XXXVI-XLV, L-LII, LIV-LVIII, LXIII, LXV-LXVII: versione conservata
di LD.
XLIV, LXIV: parte perduta di LD.
XXIX, XXXV 2; XLVI-XLIX, L 1; LXXI, LXXII: genealogie disperse di cavalieri.
LIX-LXII: genealogie dei cavalieri di Beira e legati al conte D. Henrique.
LXVIII-LXX: genealogie dei nobili di Extremadura legati alla conquista di Lisbona.
LXXIII-LXXVI: genealogie galeghe «conhecidas pelo LD».
47
Per quanto Mattoso si riveli poco chiaro nelle sue parole e non fornisca alcun argomento a sostegno di
questa sua teoria si è comunque deciso di porre a testo tale ipotesi, innanzi tutto perché nel suo
"provavelmente" sembra ammettere lui stesso il carattere ipotetico dell'affermazione e in secondo luogo
perché si intende fornire in questa sede una panoramica sugli studi compiuti finora.
54
Redigere una tale lista non implica, ovviamente, che il conte si sia limitato a compilare
o riassumere le fonti che aveva a disposizione, in quanto non è da escludere che possa aver
redatto lui stesso, a partire da alcune informazioni raccolte presso le diverse famiglie,
alcune o tutte le genealogie le cui fonti sono ancora dubbie.
Se tali questioni rimangono ancora oggi fonte di incertezza, si è comunque
fortunatamente in grado di stabilire quali siano stati i metodi utilizzati da don Pedro per
redigere la sua opera.
Si può infatti affermare con notevole certezza che il conte si dedicò a un profondo
lavoro erudito, il cui scopo fu quello di accertare in maniera il più possibile completa le
parentele per affinità e consanguineità – non sempre indicate nelle fonti –, separare i rami
che nelle precedenti genealogie si presentavano uniti senza che vi fosse alcun criterio di
successione agnatica o cognatica e aggiungere i dati biografici di alcuni personaggi
menzionati.
Per quanto tuttavia Mattoso stesso ammetta di ignorare quali siano stati i criteri con cui
don Pedro applicò tali modifiche e se abbia commesso errori di interpretazione, lo storico
portoghese ammette che solo uno studio completo della documentazione storica possa
provarlo.
Ciò che tuttavia si può ritenere certo, a suo parere, è che il conte abbia posto una
grande attenzione nell’utilizzazione delle sue fonti, arrivando anche spesso a trasmettere
varianti più corrette rispetto a quelle oggi conservate nei due livros velhos – la cui
trasmissione testuale ha comportato l’apparizione di una nutrita serie di errori – ed
identificando spesso i suoi personaggi con un’attenzione maggiore rispetto a quella
mostrata dai suoi predecessori.
55
Capitolo III
Le narrazioni del Livro de Linhagens
Una delle caratteristiche che nel corso degli ultimi secoli del Novecento ha più di tutte
attratto l’attenzione di storici e uomini di lettere è sicuramente la presenza nel Nobiliario di
una lunga serie di narrazioni. Si tratta in totale di sessantaquattro racconti estremamente
eterogenei per genere e lunghezza, per la gran parte attribuibili al lavoro del conte di
Barcelos anche se, come si è già visto nei capitoli precedenti, alcuni di essi hanno subito
una serie di notevoli ampliamenti da parte dei rimaneggiatori che hanno operato nella
seconda metà del XIV secolo.
La presenza all’interno di un Libro dei Lignaggi di una tale quantità di eventi
drammatici, epici o magici, fa assurgere l’opera di Don Pedro a un livello completamente
differente rispetto a tutte le opere storiche – cronache, annali o lignaggi che fossero –
precedenti, rendendola profondamente innovativa rispetto alla produzione non solo iberica
ma anche europea e aprendo nuove possibilità di sviluppo per la prosa in ambito
portoghese. Come si vedrà in seguito, per quanto le motivazioni che hanno spinto il conte a
includere all’interno del suo Livro de Linhagens le singole narrazioni possano essere
differenti per ognuna di esse, tutti i racconti, nelle loro molteplici sfaccettature, si
inseriscono in un’ottica più vasta: quella di creare e rafforzare un ideologia di classe, scopo
ultimo per il quale il conte di Barcelos ha scritto il suo Nobiliario.
Si procederà dunque ora a esporre le caratteristiche principali delle diverse storie
presenti in LL suddividendole, per una più facile consultazione, in sei categorie in base
alle loro caratteristiche essenziali: narrazioni di carattere folklorico, novellistico, epico,
storico, tradizioni familiari e narrazioni legate al codice cavalleresco. L’argomento sarà
trattato seguendo le linee guida tracciate da José Mattoso nel suo volumi del 198148
,
introducendo in questa sede solamente i racconti che raggiungono la lunghezza base di
quattro linee all’interno dell’edizione del 1980, apportando però una serie di modifiche
qualora fossero ritenute necessarie. Si è deciso in questo caso di non abbandonare – quanto
meno non del tutto – la suddivisione proposta dallo storico portoghese, in quanto la si
ritrova comunemente accettata dagli studiosi successivi e si rivela assai utile per poter
48
Mattoso 1981, pp. 35-101.
56
mostrare al lettore qual è lo stadio attuale degli studi su tali argomenti. Non si può tuttavia
evitare di sottolineare come, per quanto utili, le etichette proposte da Mattoso si dimostrino
spesso poco convincenti. L’attribuzione di determinate narrazioni a una categoria piuttosto
che a un’altra si rivela in alcuni casi di difficile comprensione, tanto da parere aleatoria –
per non dire quasi di comodo – mancando a volte spiegazioni adeguate che motivino la
presenza di un determinato racconto in una sezione piuttosto che in un’altra. A loro volta,
anche determinate suddivisioni appaiono inconsistenti. Si fa riferimento in questo caso,
particolarmente, alle narrazioni di carattere novellistico – etichettate dallo storico come
«romances», un titolo già di per sé azzardato e poco convincente in base alle peculiarità
delle storie raccolte in questa sezione – e alle tradizioni familiari, che contengono racconti
non molto diversi da quelli riuniti sotto la designazioni di “narrazioni di carattere storico”.
Si ritiene dunque necessario consigliare che successivi studi possano partire dalla ricerca di
una nuova metodologia di suddivisione delle narrazioni di LL, che si ponga come punto di
partenza lo studio minuzioso, ad esempio, di un determinato lignaggio e si sviluppi in
seguito comprendendo tutte le narrazioni che vi ruotano attorno. Si eviterebbe, così
facendo, di incappare in errori dettati dalla volontà di racchiudere ogni storia all’interno di
precise categorie, errori che portano quasi sempre all’adattare le narrazioni all’etichette
create dallo studioso e non viceversa, come invece dovrebbe essere.
Infine, il capitolo si conclude con un breve paragrafo riguardante i rapporti tra alcune
storie del Nobiliario e una serie di cantigas, la cui vicinanza ad alcuni temi trattati
nell’opera in prosa si rivela di particolare interesse per riuscire a comprendere a fondo il
valore e gli scopi che i redattori di LL si erano prefissati di celebrare.
1. NARRAZIONI DI CARATTERE FOLKLORICO49
Il Libro dei Lignaggi include al suo interno cinque narrazioni di carattere folklorico,
unite dalla singolare caratteristica comune di non discendere, nessuna di esse, da tradizioni
di ambito portoghese:
1. D. Froom e l’indipendenza di Biscaia (cap. IX): 16 linee.
2. Diego López e la Dama dal Piede di Capra (cap. IX): 16 linee.
3. Eñeguez Guerra e il cavallo Pardalo (cap. IX): 23 linee.
49
Mattoso e Paredes designano queste narrazioni come “mitiche”. Si è deciso in questo caso di non seguire il
loro suggerimento in quanto una tale designazione è stata ritenuta poco consona al contenuto del capitolo,
che non presenta riferimenti a figure della mitologia come ci si sarebbe invece aspettati leggendo una tale
titolazione.
57
4. Origine dei Velosos: incesto del re Ramiro (cap. XII): 6 linee.
5. Origine dei Marinhos: d. Froião e d. Marinha (cap. LXXIII): 21 linee.
A partire dal XII secolo re, principi e famiglie nobili cominciarono a incoraggiare
l’elaborazione di genealogie che presentassero il proprio lignaggio quale erede di eroi e
figure mitiche la cui ascendenza non poteva essere rivendicata dai poteri con i quali
rivaleggiavano o dai quali pretendevano di liberarsi. Alla ricerca di un passato prestigioso,
si cominciò dunque a incorporare nelle proprie genealogie personaggi ed eroi del ciclo
carolingio, troiano e bretone, inserendoli all’interno di testi che facevano riferimento
all’epoca di fondazione di una famiglia.
Alcuni preferirono legare la propria origine, reale o fittizia, ad antiche casate reali
dell’Occidente; altri invece ricorsero a un percorso inverso, facendo assurgere personaggi
storici a figure mitologiche e storicizzando figure magiche raccolte da leggende e racconti
folklorici specificamente adattati per la loro nuova funzione. Quest’ultima opzione è ciò
che vediamo accadere all’interno di una serie di racconti genealogici che si è soliti
designare con il nome di “racconti melusiniani”50
– con ovvio riferimento alla figura di
Melusina, mitologica fondatrice del lignaggio del Lusignan. Tali racconti presentano
generalmente una struttura regolare: un essere sovrannaturale si unisce a un mortale e gli
concede il suo amore in cambio di una promessa, la cui rottura genera la separazione degli
amanti. Ampiamente diffuse nel folklore universale, questo genere di narrazioni appaiono
nella letteratura occidentale intorno alla fine del XII secolo e il principio del XIII. La loro
storia e il loro sviluppo sono stati ampliamente studiati nel 197151
da Jacques Le Goff, il
quale incontrò le sue versioni più antiche in due opere inglesi – una della fine del XII e
l’altra del principio del XIII – che vedono come protagonisti la prima un cavaliere inglese
e la seconda, nelle sue due versioni conosciute, due cavalieri provenienti da luoghi
differenti della Francia. In seguito, fu proprio qui che il mito ebbe più larga diffusione e
trovò la sua più compiuta espressione nel sopracitato «Roman de Melusine» della fine del
XIV secolo, dando inoltre forma ad altre versioni della leggenda intorno fine del XV
secolo e a numerosi racconti popolari.
Le prime tre narrazioni, tutte incentrate attorno agli Haro – titolari della signoria di
Biscaia fino alla metà del XIV secolo – possono essere ritenute una variante peninsulare
dei suddetti racconti melusiniani. Trattando solamente le prime cinque generazioni della
famiglia, identificabili come il periodo di fondazione del lignaggio, i tre racconti sembrano
50
Così conosciuti a partire dall’opera pioneristica di Dumézil del 1929. 51
Le Goff 1971, pp. 587 – 594.
58
costituire una sorta di prologo alla presentazione della famiglia, scritto con lo scopo di
dimostrare, attraverso gli eventi narrati, la superiorità di questa casata rispetto alla dinastia
regia castigliona-leonese cui era sottoposta nel XIV secolo.
È particolarmente interessante indagare perché, in un determinato momento storico, sia
sorta la necessità di narrare le origini degli Haro associandole alla leggenda di Melusina; in
questo campo si sono distinti in particolare gli studi di Luís Krus52
, che attraverso
un’approfondita analisi delle narrazioni incentrate su questa famiglia – della narrazione n.2
in particolare – è arrivato a costruire una serie di ipotesi riguardanti la loro data di
composizione e le occasioni che hanno portato alla loro redazione.
La prima di queste racconta la storia della liberazione di Biscaia, ed è incentrata
essenzialmente sulla battaglia tra D. Froom – espulso dall’Inghilterra dal re suo fratello – e
il conte delle Asturie, che in quel momento dominava il paese: la vittoria conseguita
dall’eroe libera i baschi dal dover pagare il tributo di una vacca bianca, un bue e un piccolo
cavallo bianco al proprio signore53
.
La narrazione della Dama dal Piede di Capra è invece una storia destinata a vincolare il
lignaggio a un’origine sovrannaturale, indipendente da qualsiasi potere umano, e a un
futuro prestigioso che assicurava protezione a tutti i membri della sua famiglia. Un giovane
cavaliere, Diego López de Haro, incontra durante una caccia nella foresta54
una donna
bellissima «salvando que havia ũu pee forcado como pee de cabra», della quale si
innamora. Come accade dunque tipicamente in questo genere di leggende, la dama accetta
di sposarlo, ma a una condizione: di non vederlo mai fare il segno della croce. Diego
López tuttavia rompe la sua promessa e la donna se ne va, scomparendo tra le montagne e
portando con sé la figlia femmina, lasciando invece al padre la cura del maschio.
Intimamente legata alla seconda è, infine, la terza narrazione, Eñeguez Guerra e il
cavallo Pardallo, in quanto vi appare nuovamente la Dama dal Piede di Capra nel luogo
che più le è proprio: la foresta. In tale circostanza tuttavia la donna non si presenta come
essere diabolico, ma piuttosto come fata buona che aiuta con i suoi poteri il figlio, Eñeguez
Guerra, a salvare Diego López, prigioniero a Toledo, donandogli il Cavallo Pardallo.
Si incontra in questo caso il tema del cavallo invincibile – elemento principale del
romanzo epico Renaud de Montauban e della Chanson de Maugis, nonché di vari racconti
popolari in Francia – caratterizzato dalla possibilità di portare sul dorso più persone,
52
Krus 1985, pp. 3-34. 53
La morte del conte riempie del suo sangue il campo di battaglia tingendone di rosso le pietre, da questo
evento il luogo prese il nome di Argutiera. 54
Il luogo per eccellenza, insieme al mare, in cui ha sede il meraviglioso delle narrazioni medievali.
59
proprio come nel caso di LL, grazie alla sua abilità di potersi addirittura allungare come
un drago. Si ritiene che l’origine del mito si possa localizzare in Guascogna, i cui
strettissimi legami culturali con la Navarra ne spiegherebbero la presenza principalmente
in questa regione, dato che la leggenda sembra non abbia preso piede nel resto della
penisola iberica. Ciò nonostante, esiste comunque un ulteriore testimone che proverebbe
una diffusione, seppur minima, del tema in ambito portoghese: si tratta del primo sepolcro
di Egas Moniz – probabilmente databile intorno al 1146 e situato nel monastero si Paço de
Sousa – ove si troverebbe la rappresentazione di un cavallo montato da quattro cavalieri,
insieme ad altre scene in cui gli stessi personaggi appaiono sdraiati in una camera insieme
a due uomini e a una donna in piedi. Sono tutte immagini che paiono tratte da una
narrazione di tipo epico o da un romanzo e che Mattoso55
suppone possano appartenere a
una versione primitiva del Renaud de Montauban – come suggerito dall’origine guascona
attribuita alla famiglia di Egas Moniz – di cui tuttavia oggi non si conosce nulla.
L’appropriazione della leggenda di Melusina e la sua inserzione all’interno di una
memoria genealogica rappresenta, nella versione che qui ritroviamo, un tentativo di
vincolare le proprie origini ai poteri benefici della fata, dando vita a una signoria
indipendente i cui prestigiosi avi non erano legati da alcun patto o da alcun dovere feudale
a una casata preesistente. È dunque opinione di Krus56
che la concezione del potere e della
società dimostrata in questi episodi, in cui gli Haro sono elevati alla categoria di principi e
detentori di un regno, può esser stata formulata in un momento di grande rivalità con i
“grandi assenti” della leggenda, i re di Castiglia-León, dei quali i signori di Biscaia erano
vassalli. Gli studi compiuti sulle relazioni che legavano tale famiglia alla monarchia
castigliana-leonese hanno portato dunque lo studioso a identificare l’eroe del primo
racconto con un omonimo del protagonista della storia seguente57
, don Diego López,
signore di Biscaia negli anni in cui questa signoria stava dando forma al suo profilo
geografico e giurisdizionale, ovvero tra il 1170 e il 1214: la sconfitta di don Moninho ad
Arguirega rappresenterebbe la traslazione su un piano mitologico della sconfitta di Afonso
VIII, che in quel momento era in conflitto con gli Haro per motivi economici e familiari58
.
Se si decide dunque di accettare l’ipotesi secondo cui tali racconti hanno avuto origine
durante questo periodo, la loro derivazione da narrazioni di tipo melusiniano diventa meno
55
Mattoso 1981, p. 79. 56
Krus 1985, pp. 3-34. 57
Diego López e la dama dal piede di capra. 58
La narrazione dell’indipendenza della signoria di Biscaia avrebbe dunque in tal caso lo scopo di proiettare
in un tempo mitico conflitti realmente avvenuti, attribuendo a un eroico fondatore le imprese compiute da
Diego López.
60
stupefacente. È noto infatti che Diego López de Haro fosse un famoso mecenate, vissuto in
un epoca particolarmente favorevole allo sviluppo di una letteratura di corte e
caratterizzata dalla generosità dei signori. Il costante peregrinare di trovatori e giullari
permetteva inoltre la circolazione di tematiche provenienti da regiorni estremamente
diverse d’Europa.
Non è certo possibile identificare l’autore di tali narrazioni59
, ma è in ogni caso lecito
supporre si trattasse di qualcuno che possedesse una relativa conoscenza dei racconti
fantastici e delle tradizioni folkloriche della signoria di Biscaia, nonché, cosa non meno
importante, delle questioni politiche degli Haro.
La ripresa di tali leggende all’interno del nostro LL nel XIV secolo dev’esser stata
dettata tuttavia da occasioni differenti da quelle della sua prima creazione, ovvero, a
opinione di Paredes60
, a causa di una crisi familiare ed obbediva a una necessità di
rinegoziazione del patto feudale. Al signore dei Lara veniva affidata la signoria in cambio
della difesa de privilegi della nobiltà di Biscaia di fronte al crescente potere della borghesia
appoggiata dai re castigliani. Da questo punto di vista, sempre a opinione di Paredes61
, ci
troveremmo di fronte a un chiaro manifesto politico a favore della famiglia Lara. Seguendo
tali considerazioni dunque, la versione della storia riguardante l’origine degli Haro raccolta
nel suo libro da don Pedro dev’essere stata composta tra il 1334 e il 1342 – momento in cui
governo vi era il signore dei Lara – sulla base di una serie di testi che dovevano risalire,
come abbiamo visto in precedenza, al 1201 e il 120462
.
La leggenda di dona Marinha può essere ritenuta a sua volta un’adattazione galega del
racconto melusiniano. Come avviene per gli Haro, anche i Marinhos arrivano a elaborare
un racconto che lega le origini di una nobile famiglia della penisola a un essere
sovrannaturale. Ma sebbene la donna provenga anche questa volta da un luogo che si trova
al di là dello spazio abitato dall’uomo e dalla cristianità, riesce, a differenza della dama dal
59
Paredes 1995 (p.68) e Krus 1985 (p. 28) avanzano in ogni caso delle ipotesi in tal senso, che, in quanto
non pienamente dimostrabili, non sono state inserite a testo. Un possibile autore potrebbe essere a opinione di
Paredes Rigaut de Berbezilh, del quale si sa che, in seguito alla morte della sua dama, si era trasferito presso
la corte di don Diego. È invece ipotizzato da Krus che l’autore della narrazione fosse un uomo di estrazione
nobile: Rodrigo Díaz, il Buono, genero di Diego López e signore di Cameros, che sappiamo essere stato,
dall’indice del codice Colocci-Brancuti, autore di tre cantigas d’amor che tuttavia non sono giunte fino a noi.
Le motivazioni addotte dai due studiosi non sono state tuttavia ritenute abbastanza convincenti da poter
permettere di scegliere tra l’una e l’altra in questa sede. Il fatto che i due uomini fossero trovatori, inoltre,
non implica che qeusti possano essere stati allo stesso tempo prosatori e autori delle narrazioni in questione. 60
Paredes 1995, pp. 51-86. 61
Paredes 1995, pp. 51-86. 62
Ovvero al momento in cui maggiori erano i conflitti tra Diego López e Afonso VIII.
61
piede di capra, ad assumere in questo caso una forma completamente umana grazie al rito
del battesimo che le concede l’uso della parola63
.
Sulla sostanziale irrealtà di questi racconti esistono pareri contrastanti. Per quanto
infatti l’elemento magico si ponga indubbiamente alla base delle narrazioni sopra citate, si
ritiene comunque opportuno in questo caso riportare le osservazioni di due antichi studiosi
a tal riguardo: il marchese di Montebelo Manuel Bernardes e Manuel de Faria y Sousa.
Entrambi, il primo nel suo volume del 170664
e il secondo nella sua traduzione di LL65
,
propongono infatti di guardare sotto una nuova prospettiva i due racconti affermando che,
per quanto alcuni fatti siano stati certamente alterati, l’esistenza di una donna venuta dal
mare o di una dal piede caprino possano essere, per quanto improbabili, comunque
possibili; il concetto può essere brillantemente riassunto utilizzando le parole dello stesso
Bernardes «la verdad es, que cuando la Magica se permitia en España, esto, y otras cousas
mayores se veyan, y sin Magica, podria mucha parte de los dos cuentos ser posible»66
.
Per quanto tuttavia non vi è dubbio che esistessero anche al tempo persone affette da
determinate deformità fisiche, tutto, all’interno delle storie della Dama dal Piede di Capra e
di donna Marinha, porta a pensare che si tratti di personaggi inventati, in tutto e per tutto.
Quella del piede caprino è infatti una deformità che si ritrova spesso all’interno del folklore
e nella mitologia, una marca fisica che indica chiaramente la provenienza di chi la porta da
63
Suppone Krus (Krus 1989 p. 279, n. 668) che l’autore di questa narrazione possa essere ritenuto il
trovatore Paio Gomes Charigno, ammiraglio di Castiglia tra il 1284 e il 1286. Galego e discendente da parte
di madre della famiglia Marinho, frequentò le corti di Alfonso X e Sancho IV, ove si distinse, oltre che come
cavaliere, come poeta. Avendo perso il favore del re Sancho nel 1286, anni che videro l’ascesa sociale di
Lopo Diaz de Haro, tornò in Galizia. Qui si sa che compose una cantiga d’amigo («Dissérom’oi, ay, amiga,
que nom») in cui la donna, ironicamente, dimostra la sua felicità per il ritorno dell’amato, in cui si fa
riferimento a come fosse stato proprio l’intervento del signore degli Haro – che non viene mai nominato
chiaramente – a spingere il sovrano castigliano a destituire Paio Gomes. Suppone dunque Krus che tra il 1286
e il 1288, anno della morte di Lopo Diaz de Haro, il trovatore abbia elaborato il mito di fondazione in
questione prendendo come modello proprio quello della Dama dal Piede di Capra e trasformando la
protagonista femminile in Donna Marinha. Per quanto infatti questa nuova narrazione si presenti meno
elaborata rispetto a quella riguardante la famiglia Haro, è da notare come l’autore si preoccupi di evidenziare
il fatto che il capostipite dei Marinho riuscì a ottenere una totale soggezione dell’essere sovrannaturale, cosa
che invece non avviene nella narrazione precedente e attribuendo dunque ai Marinho un potere di dominio
sulla natura e sul sovrannaturale superiore a quello rivendicato dagli Haro nel loro mito di fondazione.
Basandosi dunque su considerazioni e sul fatto che molte delle cantigas di Paio Gomes Charinho siano
incentrate sul tema il mare Luis Krus suppone che la narrazione di Donna Marinha sia quindi attribuibile
proprio a questo trovatore. La leggenda sarebbe stata poi ripresa in seguito dai Marinho di Portogallo, ed è
per questo che la ritroviamo dunque all’interno del nostro LL. C’è da dire tuttavia che, per quanto
affasciante, questa identificazione pare in fin dei conti piuttosto vaga, in quanto frutto di supposizioni che
difficilmente potranno essere dimostrate. 64
Bernardes 1706. 65
Faria y Sousa 1646. 66
Bernardes 1706, pp. 406.
62
un mondo che si pone al di là di quello umano67
. Allo stesso tempo anche la figura di
donna Marinha, venuta dal mare e muta, non è certo unica nel suo genere se confrontata
anche solo con la tradizione popolare di ambito iberico. Nel secondo volume del suo
Contos tradicionaes do Povo Portugues68
Teophilo Braga segnala infatti come la figura
della donna muta si ritrovi spesso nelle tradizioni popolari69
portoghesi, e allo stesso modo
anche Manuel Bernardez raccoglie nel suo Nova Floresta70
un racconto di origine
portoghese riguardante una donna proveniente dal mare, in qual caso relazionata con la
figura mitologica delle Nereidi71
. Anche in questo caso inoltre, se pure volessimo spostarci
al di fuori dei confini della penisola iberica, non mancano nella cultura popolare e nella
letteratura immagini di donne provenienti dal mare72
.
La narrazione n.4 infine, riguardante l’origine dei Velosos, è direttamente collegata alle
credenze popolari riguardanti l’incesto e le mostruosità da esso prodotte diffusi in tutte le
culture. In particolare, l’origine della famiglia è attribuita all’incesto del re Ramiro, che
ebbe con la sorella un figlio «negro e muy feo e muy velloso» che diventerà in seguito
capostipite del lignaggio in questione. Non sono conosciute né le fonti né le motivazioni
per cui una tale storia sia stata inserita per spiegare il nome di una famiglia nobile
portoghese.
I colori degli animali presentati nella storia di D. Froom così come la probabile origine
celtica dei due racconti melusiniani e del cavallo Pardallo non fanno che confermare come
67
Ne sono un chiaro esempio figure quali i fauni o il dio Pan della mitologia greca, nell’ambito dellla
cristianità Lucifero e le streghe, ma anche, nel folklore, le fate che accompagnavano, ad esempio, la Sibilla
Appenninica. Da questo punto di vista i poteri di cui è dotata la dama del nostro racconto la ricollegano
indubbiamente al mondo della cultura popolare, un mondo di fate da cui proviene anche la Melusina di cui si
è parlato in precedenza.
La diffusione di questa marca corporale all’interno di diverse culture non permette dunque di accettare
l’ipotesi proposta da Mattoso nel suo volume del 1981 (p. 77), che vede nel piede caprino il segno di una
contaminazione di racconti di origine celtica – i cosiddetti “racconti melusiniani” – con elementi di tipo
mediterraneo, adducendo come prova il fatto che in alcune versioni medievali della leggenda di Salomone –
la cui origine a opinione di Menéndez Pidal (Menéndez Pidal 1944) sarebbe da collocarsi a Bisanzio – la
regina Belquis di Saba appaia connotata da questa particolarità fisica. Si è ritenuto dunque in questo caso di
non inserire a testo la proposta, in quanto la regina di Saba non è la sola, all’interno del panorama mitologico
e folklorico europeo, a essere portatrice di questa marca corporale. 68
Braga 1915, p.5. 69
Come avviene ad esempio nel racconto “A muda mudela”, da lui stesso raccolto in Algarve-Portimão e
inserito nel vol.I della sua opera, pp. 44-45. 70
Bernardez 1706, pp. 403-406. 71
Definite in questo caso “demonios”, come testimoniato da Paredes in Las Narraciones de los Livros de
Linhagens, p. 76. 72
Si è deciso in questo caso, così come in quello precedente riguardante la Dama dal Piede di Capra, di non
approfondire ulteriormente le connessioni tra queste figure e altre tratte dal panorama folklorico e mitologico
europeo, in quanto non sono l’argomento di discussione del capitolo. Per quanto riguarda la narrazione n.2, si
rimanda tuttavia allo studio approfondito svolto da Luis Kruz: “A morte das fadas: a lenda genealogica da
Dama do Pé de Cabra”, in Ler História, 6 (1985), pp. 3-34. Un interessante lavoro su come si sia sviluppato
il tema nella penisola iberica è invece quello di Leonardo Romero Tovar: “Melusina aludida en textos
literarios españoles” in RDTP, XLIII (1988), pp. 513-524.
63
i punti di contatto tra la zona navarra e il nord del Portogallo – aree in cui è localizzata
l’origine di questo racconti – con la cultura nordica siano importanti e frequenti, molto più
di quelli con una cultura di tipo mediterraneo. Tali narrazioni mostrano dunque
chiaramente, a opinione di Mattoso73
, come la media aristocrazia portoghese del XIV
secolo esprimesse il proprio concetto di sacro attraverso simboli e immagini appartenenti
alla cultura celtica e non a quella mediterranea.
2. NARRAZIONI DI CARATTERE NOVELLISTICO74
Le origini del genere romanzesco in Portogallo sono state per lungo tempo argomento
di discussione da parte di numerosi storici della letteratura. Durante il primo decennio del
Novecento si sono viste infatti scontrarsi le teorie di Marcelino Menéndez y Pelayo75
, che
propone per il romanzo un’origine derivata dalla lunga elaborazione nei circoli letterari dei
cicli di carattere storico, e quella di Carolina Michaëlis de Vasconcelos76
, che si concentra
essenzialmente sul carattere indipendente e precoce dei romanzi, più prossimi alla
sensibilità e al “temperamento português”77
del genere epico – di origine, per altro,
tipicamente castigliana. L’ipotesi più accreditata attualmente è tuttavia quella esposta da
Menéndez Pidal nel suo volume del 195778
, che, superando apparentemente le teorie
precedenti, propone per il genere un origine tardiva e derivata dall’epica. Nessuno di questi
autori sembra tuttavia prendere in considerazione per i suoi studi, a opinione di Mattoso79
,
le narrazioni contenute all’interno del nostro Livro de Linhagens, le cui peculiarità
parrebbero supportare più le teorie di Carolina Michaëlis rispetto a quelle proposte da
Menéndez Pidal: in questi racconti infatti gli elementi dal carattere novellistico e
sentimentale si trovano completamente distaccati da quegli epici o, al massimo, vi si
accompagnano, ma sempre come caratteristiche centrali e mai accessorie.
73
Mattoso 1981, pp. 76-80. 74
In Mattoso 1981 (p.80) e Mattoso 1984 (p. 45) queste narrazioni vengono definite “romances”, a causa
della particolare attenzione posta ad elementi di tipo novellistico e sentimentale che sono associati dallo
storico portoghese al genere romanzo. Si è deciso in questo caso di mantenere la suddivisione proposta (non
accettata, ad esempio, da Paredes), ma apportando delle modifiche alla definizione sotto la quale sono
raggruppati questi racconti. Le parole “romanzesco” o “romanzo” infatti, che sarebbero traduzioni letterali,
sono parse poco consone se rapportate al contenuto delle storie, e avrebbero potuto trarre in inganno il
lettore, che probabilmente si sarebbe aspettato di trovare nel paragrafo narrazioni derivate da romanzi. Per
quanto non si accetti la definizione proposta da Mattoso dunque, è comunque riportato all’interno di questa
sezione il collegamento da lui proposto tra queste narrazioni e la nascita del genere romanzo in Portogallo. 75
Menéndez Pelayo 1905. 76
Vasconcelos 1909. 77
Così ci viene descritto in Mattoso 1984 p.45. 78
Menéndez Pidal 1957. 79
Mattoso 1984, pp. 45-49.
64
Tali narrazioni sono:
1. L’assassinio di d. Estevainha da parte del marito Fernão Rodrigues de Castro (cap.
XI): 29 linee.
2. La leggenda di Miragaia (cap. XXI): 128 linee.
3. Il rapimento di Maria Pais Ribeira da parte di Gomes Lourenço de Lumiares (cap.
XXXVI): 21 linee.
4. Il matrimonio di Urraca Mendes (cap. XLII): 10 linee.
Il primo di questi racconti è una delle narrazioni più lunghe presenti in LL e si
contraddistingue per il rilievo particolare che trovano al suo interno le componenti
drammatiche e sentimentali a scapito di un elemento epico completamente assente. Dato il
carattere prettamente spregiativo della narrazione è possibile che questa provenga da un
testo contenente riferimenti alle lotte tra la famiglia Castro e i Lara e che avesse la
funzione di denigrare la memoria dei primi – piuttosto che da una loro genealogia. È
probabile che appartenesse a tale testo anche l’episodio relativo all’avvelenamento di un
altro membro del lignaggio, Martim Fernandez, da parte della sorella, Sancha, dalla cui
passione per l’imperatore Afonso VIII nacque D. Estevainha (cap. XI). Le ricerche
effettuate per identificare la fonte sono risultate tuttavia infruttuose, anche se Mattoso80
suppone si trattasse di un opera di origine portoghese, data la provenienza della famiglia
Lara.
La storia del rapimento di Maria Pais Ribeira da parte di Gomes Lourenço de Lumiares
– e la condanna di questi per tale crimine – presenta anch’essa, dal punto di vista dello
storico portoghese, un carattere fortemente romanzesco e novellistico81
. È difficile fare
ipotesi sulla sua origine e in questa sede si discuterà solamente delle teorie esposte da
Mattoso nel suo volume del 198482
. Lo storico portoghese infatti ricorda nel suo studio
come la «Riberinha»83
pare abbia ispirato una celebre cantiga di Paio Soares de Taveirós,
«No mundo non me sei parelha»84
, e propone dunque che il testo presente in LL possa aver
avuto origine al di fuori del contesto genealogico in cui il conte Pedro, o coloro che
lavoravano per lui, l’hanno in seguito inserito85
. Oltre a non avere alcun motivo particolare
per cui supporre che questa narrazione sia nata a partire da testi precedenti il Nobiliario,
80
Mattoso 1984, pp. 45-49. 81
Riferendosi ancora una volta, nel dare conto delle sue affermazioni, ai toni drammatici e sentimentali con
cui gli eventi sono descritti. 82
Mattoso 1984, pp. 45-49. 83
Altro nome con la quale è conosciuta Maria Pais Ribeira. 84
Contenuta nel solo manoscritto di Ajuda (A), A 38. 85
Ipotizzando dunque, anche se non specificandolo chiaramente, che la storia di Maria Pais sia stata
inizialmente narrata da una cantiga.
65
questa ipotesi pare decisamente da scartare in quanto non è possibile affermare con
assoluta certezza che la donna a cui il testo è dedicato fosse Maria Pais Ribeira. Tale
identificazione fu proposta da Carolina Michaëlis de Vasconcelos nella sua edizione del
Canzoniere di Ajuda86
sulla base di quanto affermato ai vv. 11-12 della cantiga, che
recitano: « E vós, filha de don Paai / Moniz, e ben vos semelha». Tra i vari personaggi con
questo nome vissuti nell’epoca in cui la poesia è stata composta, la Vasconcelos ha dunque
supposto che tale “don Paai Moniz” fosse plausibilmente D. Paio Moniz de Rodeiro, citato
in numerosi documenti e padre di Maria Pais Ribeira, donna già di per sé famosa per esser
stata amante del re Sancho I. Tuttavia, è da notare che al tempo esistevano in Galizia87
numerosi “Paio Moniz”, per cui non è possibile affermare con sicurezza che si trattasse di
D. Paio Moniz de Rodeiro, per quanto l’ipotesi possa sembrare seducente. Per questa
ragione e per quella sopra citata si ritiene che la proposta di Mattoso sia in questo caso, se
non da scartare, quanto meno da ammettere tra le ipotesi plausibili, purtroppo non
dimostrabili.
Un’altra interessante narrazione dai tratti novellistici e sentimentali è quella riguardante
il secondo matrimonio di Urraca Mendes de Bragança dopo la morte del suo primo marito,
Diogo Gonçalves de Urrô, avvenuta nel corso della della battaglia di Ourique. Per quanto a
opinione di Mattoso88
tale racconto non si possa ritenere sicuro né il carattere romanzesco
né l’indipendenza da una narrazione epica, sono comunque degne di nota – tanto da far
ammettere il racconto in questo paragrafo – le espressioni con le quali sono delineati i
personaggi – la bellezza della donna e la cortesia di Soeiro Pais –, il passo in cui si
descrive la passione tra Soeiro Pais Mouro e Urraca Mendes, la morte di Diogo Gonçalves
in Ourique89
e, finalmente, il matrimonio dei due innamorati90
.
86
Vasconcelos 1904, p. 82. 87
Si prende in considerazione la sola Galizia in quanto si sa che è solo in questa regione che Paio Soeres de
Taveirós ha compiuto il suo percorso di trovatore. 88
Mattoso 1984, pp. 45-49. 89
Non è posta tuttavia dall’autore della narrazione di LL particolare attenzione per la morte del primo marito
di Urraca, la cui descrizione si rivela poco caratterizzata se posta a confronto con i dettagli che descrivono la
nascita dell’amore tra la donna e Soeiro Pais «Mouro». D’altro canto, è opinione di Mattoso (Mattoso 1984,
pp. 45-49) che la morte di Diogo Gonçalves impressionò notevolmente l’autore di LD, tanto da designarlo, in
due differenti luoghi dell’opera, come “colui che morì in Ourique”. Vi possono tuttavia essere altre
spiegazione per tale ripetizione, per cui si è deciso di inserire tale considerazione, affascinante ma non
dimostrabile, solamente in apparato. 90
Nel suo volume del 1984 José Mattoso (Mattoso 1894, pp. 45-49) afferma come l’autore di questa
narrazione possa essere ritenuto proprio il figlio del secondo matrimonio di Urraca, João Sõares de Paiva,
trovatore del quale si conoscono una delle più anitche cantigas d’escarnho conservate e altri cantari. Le
motivazioni attraverso cui arriva a tali conclusioni tuttavia non paiono abbastanza convincenti da porre a
testo l’ipotesi.
66
Si è deciso in questa sede di trattare per ultima la famosa storia di Miragaia a causa
della sua incredibile estensione, dell’alto livello letterario che dimostra e del profondo
interesse che nel tempo ha suscitato in numerosi studiosi.
Di tale narrazione esistono due diverse versioni all’interno dei Livros de Linhagens, la
prima conservata in LV e la seconda in LL. La storia del Nobiliario narra di come il re di
León Ramiro II decida di rapire attraverso l’uso delle arti magiche la sorella del re moro
Alboacer della quale si è innamorato ascoltando racconti sulla sua immensa bellezza.
Accecato dall’ira, il re saraceno cattura la moglie di Ramiro, la regina Aldora, e la porta al
suo castello di Gaia. Radunati l’infante Ordoño e i suoi migliori vassalli, il re leonese si
dirige dunque verso Gaia e, dopo aver lasciato i suoi uomini nascosti nel bosco, riesce
finalmente a introdursi nel castello sotto le spoglie di un mendicante. Qui incontra la serva
della regina e, dopo averle chiesto da bere, deposita nel calice la metà di un cameo che
tempo addietro aveva diviso con la moglie e attraverso il quale Aldora viene a conoscenza
della presenza del marito nel castello; la donna riceve dunque Ramiro e, astutamente, lo
chiude nella sua stanza per consegnarlo ad Alboacer. Vedendosi ingannato dalla moglie, il
re di León decide di ricorrere al suo ingegno per salvarsi: chiede infatti al moro di poter
tenere il suo corno con sé prima di morire e, una volta ottenutolo, lo suona provocando
l’arrivo del suo esercito. Dopo aver ucciso Alboacer ed aver distrutto il castello di Gaia,
Ramiro si imbarca dunque sulle sue galere insieme alla regina, la quale però durante il
viaggio di ritorno scoppia in un lungo pianto per la morte del re moro. Preso dall’ira, il re
cristiano ordina di legare Aldora all’ancora e di gettarla in mare: da quel momento quel
luogo assunse il nome di Foz-de-Âncora. Tornato in León , Ramiro sposa la sorella di
Alboacer che, una volta battezzata, assume il nome di Artiga.
La differenza maggiore che si trova tra le due versioni dei Libri dei Lignaggi sta nel
fatto che in LV non appare l’episodio del rapimento della sorella di Alboacer da parte di
Ramiro e la storia inizia direttamente con il rapimento della regina da parte del re
“Abencadão”: nella leggenda contenuta nel Livro Velho dunque il ruolo della mora viene
occupato da una serva della regina, Ortiga, che alla fine del racconto sposerà il re di León .
Oltre a ciò sempre all’interno di LV vediamo come non sia fatta alcuna menzione della
singolare penitenza che Ramiro racconta essergli stata dall’abate per aver rapito la sorella
del re moro91
e, infine, come vi fosse un’inziale intenzione da parte del re cristiano di
perdonare la moglie sulla via del ritorno92
.
91
Si può vedere infatti come nel testo presentato dal Livro Velho alla domanda di re Alboaçer «Perché sei
venuto qui?» Ramiro risponda semplicemente e con impertinenza «venni a vedere mia miglio che hai rapito
67
Sui rapporti che legano le due versioni dei livros de linhagens si sono succeduti col
tempo pareri discordanti: secondo alcuni la leggenda presente nel Livro Velho è da
considerarsi un riassunto di quella di LL, che sarebbe dunque migliore e più vicina
all’originale; è opinione di Rodriguez Lapa93
invece che la redazione presente nel
Nobiliario di don Pedro sia un rimaneggiamento di quella più breve conservata nel libro
più antico, e proprio su questa linea A. J. Saraiva94
propone che l’autore della leggenda del
Livro de Linhagens sia lo stesso di tutte le narrazioni che si incontrano nel capitolo XXI.
Differenziandosi dai suoi predecessori Ramon Menendéz Pidal, nel suo studio sul
romanzo Miragaia di Almeida Garret95
, ipotizza invece come le due versioni possano
corrispondere a stadi distinti nell’evoluzione della leggenda. Il racconto più breve sarebbe
dunque da ritenersi più antico e più vicino all’originale, che molto probabilmente era uno
dei numerosi exempla misogini riguardanti la perfidia delle donne. Si tratterebbe, in
particolare, di una variante derivata da una leggenda incentrata sulla figura di re
Salomone96
la quale racconta delle sue avventure negli stessi termini in cui ci viene narrata
la storia del re Ramiro97
: Salomone rapisce una donna pagana della quale si era innamorato
ma questa, segretamente innamorata a sua volta del re di Fore, si lascia da questi catturare.
Travestito da mendicante, Salomone parte allora alla ricerca della donna accompagnato dai
suoi più valorosi compagni, che rimangono nascosti nella foresta in attesa del suo segnale;
una volta entrato nel castello incontra inizialmente la sorella di Fore che aiuterà re
Salomone e sarà colei che lo sposerà alla fine del racconto. Da questo momento in poi tutto
si svolge esattamente com’è scritto nella leggenda del re Ramiro, con l’unica eccezione che
la regina muore in seguito tagliandosi le vene.
È opinione di Menéndez Pidal che questa leggenda abbia avuto origine a Bisanzio, in
una redazione poetica oggi perduta, e da lì si sia diffusa in Europa nel corso dell’XI secolo,
facendomi un torto». Molto più complessa invece è la risposta che si ritrova nel Nobiliaro, ove risalta ancora
di più la furbizia del re cristiano che, per guadagnare tempo e suscitare la compassione del suo nemico,
racconta al re moro di come si fosse presentato al suo castello per rimettersi nelle sue mani, dato che questa
era stata la punizione a lui imposta dal suo abate per i suoi peccati. 92
Intenzione che poi, ovviamente, viene meno anche in questo caso nel momento in cui, svegliato dalle
lacrime della moglie mentre le dormiva in grembo, questa gli confessa di essere affranta per la morte del re
moro da lui ucciso. 93
Lapa 1977, pp, 300-318. 94
Saraiva 1971, pp. 11-16. 95
Menendéz Pidal 1944, pp. 53-70. 96
Si tratta sempre di narrazioni nate partire dal passo biblico in cui Dio punisce il sapientissimo re per essersi
concesso all’amore delle donne cananee e aver sposato la figlia di un faraone, 1RE 11: 1,40. 97
Le versioni medievali della leggenda di cui parla Menéndez Pidal sono, come si vedrà anche in seguito, il
Salomon und Markolf, che ha come protagonista lo stesso Salomone, e altre che presentano la stessa trama
pur non avendo il re biblico come personaggio centrale, ovvero la chanson de geste Le Batârd de Bouillon e
una Historia de Ávila.
68
dapprima nei paesi slavi98
, poi in quelli germanici – di cui si conserva il poema Salomon
und Markolf – e infine presso i paesi di lingua romanza, nei quali si ritrovano come
testimoni il poema francese Le Batârd de Buillon e, nella letteratura peninsulare, la storia
del re Ramiro, una versione aragonese del XV secolo e una Historia de Ávila. Quest’ultima
in particolare, scritta intorno al 1260 e scoperta dallo stesso Pidal99
, racconta la storia di
Salomone, in questo caso con protagonista un cavaliere di nome Enalvillo, esattamente
come la ritroviamo anche all’interno di LV e presentando inoltre anch’essa un finale volto
a spiegare la toponimia di una determinata regione – in questo caso un luogo chiamato
Albacova, la cui etimologia si ricollega proprio alle circostanze della morte della donna
infedele100
.
Sempre in riferimento ai rapporti che legano le due narrazioni nei Libri dei Lignaggi è
importante segnalare anche il lavoro di Luciano Rossi, che in uno studio del 1979101
osserva come la versione contenuta in LL presenti una serie di elementi – come ad
esempio l’amore “per sentito dire”102
, la falsa proposta di pace ad Alboacer, il rapimento
della mora grazie alla magia, il nome allusivo che il re dà alla ragazza appena battezzata
ecc. – che, oltre a fornire un’analisi psicologica dei personaggi assolutamente inedita per
l’epoca, introducono il lettore in un ambiente tipicamente cortese. Tali elementi mancano
invece completamente nella versione del Livro Velho, che infatti non si sofferma a
specificare le motivazioni del rapimento della regina o a fornire all’antagonista di don
Ramiro la dignità e lo spirito cortese che senza dubbio appaiono nel Nobiliario. Rossi si
chiede dunque se quella conservata in LV possa essere ritenuta una forma primitiva del
racconto, arcaica e dalla struttura embrionale, o piuttosto una rifusione del medesimo
modello di cui si servì don Pedro, realizzato però in un ambiente popolare e per un
pubblico meno interessato, di conseguenza, allo spirito cortese. A favore di questa seconda
ipotesi si possono trovare indizi nei nomi dei protagonisti della storia: nella versione di LL
98
Come testimoniato da alcune bylina, canzoni popolari e racconti russi e serbi giunti fino a noi. 99
All’interno di un codice del XVI secolo conservato presso la Biblioteca Nazionale di Madrid. 100
Nota José Mattoso (Mattoso 1984, pp. 45-49) come sia particolarmente interessante che la scoperta di
questa narrazione di carattere prettamente romanzesco non abbia minimamente incrinato la teoria di
Menéndez Pidal riguardante l’origine del genere romanzo, in quanto la storia non deriverebbe, a quanto pare,
da un racconto epico. È tuttavia necessario sottolineare come la leggenda di Salomone abbia però allo stesso
tempo dato origine anche a una narrazione di carattere epico-eroico quale il sopracitato Le Batârd de
Bouillon, per cui si ritiene che l’osservazione di Mattoso, volta a incrinare le teorie di Menéndez Pidal, debba
essere sottoposta a maggiori studi prima di poter essere effettivamente ritenuta valida. 101
Rossi 1979 , p. 20-26. 102
Il celebre topos letterario dell’amor de lonh, che ha origine nella lirica provenzale a partire dalle canzoni
del trovatore Jaufré Rudel. Fu infatti questo poeta che per primo cantò il suo amore per una donna lontana e
della quale si innamorò ses vezer, ovvero solo per sentito dire, tramite i racconti che gli giungevano sulla sua
bellezza (esattamente come vediamo accadere nella storia del re Ramiro).
69
la mora, causa di tutte le disavventure del racconto, è battezzata come Artiga, termine
estremamente significativo in quanto di etimologia germanica e che possedeva al tempo il
significato di “castigata” o “istruita”; in LV invece questo personaggio scompare
completamente per essere sostituito dalla serva Ortiga, che possiede dunque un nome
molto più allusivo e comprensibile di Artiga, del quale Lapa103
ha supposto essere una
banalizzazionione. Il fatto che alla fine de racconto, quando realizza il ruolo della mora in
LL, l’ancella prenda inoltre proprio il nome di Aldora – che si è visto essere quello della
prima moglie di Ramiro nella versione del Nobiliario – pare essere un ulteriore indizio a
favore della teoria di Rossi.
Le tesi sopra citate sembrerebbero dunque contrastare con l’ipotesi proposta da
Mattoso all’interno del suo Narrativas dos Livros de Linhagens104
, nel quale afferma come,
per quanto non sia possibile chiarire fino in fondo quanto la versione di LL possa essere
frutto del rimaneggiamento del 1380105
, le differenze che si pongono tra le due storie
possano essere dovute a un ampliamento orale della narrazione, conosciuto o creatosi dopo
la redazione di LV e quindi raccolto da don Pedro nel secondo quarto del XIV secolo.
A partire dagli studi compiuti sui rapporti che legano le due versioni si cercò dunque di
individuare l’origine e la struttura del modello comune. Gaston Paris106
propone si possa
trattare di una fonte leonese, data la provenienza dell’eroe, mentre invece Rossi107
ipotizza
l’influenza di un modello francese, in quanto la trama del Salomon und Markolf si fuse a
quel tempo in Francia con una serie di episodi che narravano dello spirito cortese e del
successo presso molte donne cristiane di Saladino, non essendo difficile vedere dietro la
figura di Alboacer questo mitico personaggio. D’altro canto, Almeida Garret afferma di
essersi servito per il romanzo Miragaia di un racconto popolare sentito durante la sua
giovinezza. Per quanto tale affermazione non abbia convinto tutti gli studiosi108
è
comunque opinione di Menéndez Pidal che non vi sia motivo per dubitare della sua
veridicità, in quanto in giovane età il romanziere poteva esser entrato in contatto con uno
103
Lapa 1977, p. 316. 104
Mattoso 1984, pp. 45-49. 105
Anche se Mattoso auspica comunque di attuare un confronto sistematico tra le diverse narrazioni
attribuibili al rimaneggiatore per riuscire a compiere in passo avanti in tal senso. 106
Paris 1880, pp. 436- 443. 107
Rossi 1979, p. 26. 108
Si porta ad esempio l’opinione di Menéndez y Pelayo (citata in Menéndez Pidal 1944, p. 55) che afferma
come gran parte della narrazione garretiana segua puntualmente il racconto fornito da LL, tanto da poter
ipotizzare che il Nobiliario sia stato l’unica fonte del romanzo. In particolare, il racconto ottocentesco non si
distacca dalla versione del Livro de Linhagens fino al finale – ove si va a illuminare l’origine della
toponimia di una regione – non facendo più riferimento ad Âncora, a sud del Miño, ma a Gaia, a sud del
Douro, avvicinandosi dunque così Garret alle località ove era nato e aveva vissuto la sua giovinezza.
70
dei numerosi racconti che spiegano l’origine di nomi di popoli e luoghi diffusi lungo tutta
la penisola iberica, in questo caso riguardante il castello di Gaia – anche se in ogni caso
non vi sono dubbi che Garret conoscesse le narrazioni contenute nei Libri dei Lignaggi109
.
Quello cui però Menéndez Pidal non ha posto attenzione, a opinione di Paredes110
,
sono alcune attestazioni della leggenda diffuse nella letteratura colta e tradizionale, ovvero,
in particolare, il singolare poema di João Vaz111
e il racconto tratto dalla tradizione orale
trascritto per opera di Vilhena Barbosa all’interno del volume III di As Cidades e Vilas da
Monarchia Portugueza que teem Brasão d’Armas112
. È opinione dello studioso spagnolo
infatti che tutte le versioni analizzate del mito – ovvero quelle presenti in LV e LL, e
quella ascoltata da Almeida Garret – debbano risalire a una primitiva redazione originale, e
infatti prima di lui già Gaston Paris, Carolina Michaëlis e Menéndez Pelayo avevano
teorizzato che i testi in prosa dei due Libri portoghesi derivassero da un racconto in versi.
Tali ipotesi vennero in seguito confermate proprio da Menéndez Pidal, dal momento che
questi fonda le proprie congetture sul fatto che tali narrazioni si presentino, seguendo l’uso
dell’epica spagnola, come materia storica, e che paiono riassumere altri racconti più
ampi113
. Di contro, Juan Paredes afferma come, non essendo rimasta alcuna traccia di
versificazione all’interno delle narrazioni, è azzardato ipotizzare che la forma originale del
racconto dovesse essere versificata, e sia dunque più probabile che le versioni di cui siamo
attualmente a conoscenza siano derivate da un racconto orale. Non vi sono tuttavia al
momento abbastanza elementi certi da poter permettere di propendere maggiormente per
l’una o per l’altra ipotesi.
109
In quanto da lui stesso ammesso nell’Introduzione della sua opera. 110
Paredes 1995, pp. 107-124. 111
Breve Recopilação e tratado agora novamente tirado das antiguitades de Espanha. Que trata como el-
Rey Almançor morreo em Portugal junto à cidade do Porto, onde agora chamão Gaya, às maos del-Rey
Ramiro, e sua gente, donde também cobrou e matou sua molher chamada Gaya, que estava com este Mouro,
da qual ficou este lugar chamado do seu nome. 112
Vilhena Barbosa 1862. 113
Essendo la leggenda dei due Livros destinata a esaltare l’origine della famiglia Maia, Mattoso (Mattoso
1984, pp. 45-49) ipotizza che la narrazione possa esser stata parte di un ciclo riguardante le gesta di Soeiro
Mendes de Maia e quelle del «Lidador» - di cui si parlerà più precisamente nel paragrafo seguente –, e che
sia stata in seguito adattata da giullari e letterati che lavoravano per Martim Gil de Riba de Vizela – sposato
con una donna castigliana, Milia Andrés de Castro e che abbiamo visto essere il probabile committente di LV
– o dal figlio omonimo, che fu secondo conte di Barcelos. Erano loro infatti che, verso la fine del secolo XIII
e l’inizio del seguente, rivendicavano legami e tradizioni della famiglia Maia, dei quali erano discendenti per
linea femminile. È singolare tuttavia che Mattoso non includa nella sua discussione alcun accenno a quali
siano i presupposti sui quali si è basato per giungere a tali conclusioni. In base a queste considerazioni si è
dunque deciso di inserire queste teorie in apparato e non a testo, in quanto necessiterebbero di ulteriori
approfondimenti per poter essere ritenute convincenti.
71
Nonostante dunque i dubbi riguardanti l’origine e la tradizione di questi racconti non si
può non notare come l’autore di LL riveli una certa predilezione per le narrazioni di
carattere romanzesco. Se di decide infatti di tralasciare la battaglia di Salado, che come si è
per altro visto non è opera del conte di Barcelos, non sono presenti all’interno del
Nobiliario altre narrazioni lunghe come Miragaia o così ricche di dettagli descrittivi e
drammatici, rivelando dunque un profondo interesse per questo tipo di narrazioni che in un
opera come la Crónica de 1344 non poteva invece trasparire – anche se troviamo la
trascrizione in prosa di lunghi cantari di gesta. Solo un genere singolare come quello
genealogico poteva infatti ospitare una così fitta serie di storie di carattere diversificato,
racconti che dovevano invece essere scartate dai compilatori di cronache e che, per questo,
sarebbero altrimenti rimaste sconosciuti agli storici della letteratura di area iberica.
3. NARRAZIONI DI CARATTERE EPICO
All’interno di questo paragrafo si trovano riunite una serie di narrazioni legate dalla
comune caratteristica di discendere da testi epici. È tuttavia necessario in questa sede porre
una distinzione importante: non tutti i racconti di cui si tratterà in seguito provengono da
una fonte accertata e sicura, in quanto alcune di queste sono ritenute tutt’oggi perdute114
.
Al contrario di quanto accade con le cronache peninsulari derivate dalla Primeira
Crónica Geral de Espanha, i poemi epici riassunti all’interno del Nobiliario non sembrano
derivare direttamente dalle loro versioni orali, almeno, questo sicuramente, per quanto
riguarda le gesta degli eroi castigliani. Come si vedrà in seguito, per la redazione delle
narrazioni di carattere epico il lavoro del conte di Barcelos sembra essersi infatti limitato a
trarre brevi racconti in prosa da opere che già in precedenza avevano riassunto i poemi, per
riuscire poi a integrare così le storie all’interno di un contesto del tutto nuovo.
Le narrazioni epiche contenute all’interno di LL sono:
1. D. Afonso Henriques (cap. VII) : 113 linee.
2. Rui Dias de Bivar, il Cid (cap.VIII) : 21 linee.
3. Cantare degli Infanti di Lara (cap. X) : 19 linee.
114
Si è deciso di porre particolare enfasi su tale questione in quanto si ritiene che all’interno dei volumi di
José Mattoso (Mattoso 1981 e Mattoso 1984) e Juan Paredes (Paredes 1995) non vi sia stata posta adeguata
attenzione. Appare infatti singolare che solamente le narrazioni che hanno come protagonisti eroi castigliani
siano riconducibili a delle fonti certe, mentre invece quelle incentrate su personaggi portoghesi siano state
collegate a poemi epici la cui esistenza è stata solo ipotizzata o al massimo ricostruita (come nel caso delle
gesta del re Afonso Henriques, che si vedrà in seguito). Ciò nonostante, si è comunque deciso di mantenere
in questa sede, anche se con le dovute riserve, la proposta dei due studiosi di riunire queste narrazioni sotto
un’unica designazione, in quanto accomunate quanto meno da un deciso sapore eroico.
72
4. Soeiro Mendes de Maia (cap. XXI) : 14 linee.
5. La morte del «Lidador» (cap. XXI) : 53 linee.
6. Rodrigo Forjaz de Trastâmara e le lotte tra i re Garcia e Sancho II (cap. XXI) : 91
linee.
Intorno all’ultimo quarto del secolo scorso A. J. Saraiva115
e L. F. Lindley Cintra116
,
indipendentemente l’uno dall’altro, suggerirono l’esistenza di una tradizione epica
incentrata attorno alla figura del re Afonso Henríques. Tale tradizione costituirebbe
l’indizio più consistente della nascita e della diffusione di un epopea medievale portoghese
parallela alla lirica tradizionale, che avrebbe contenuto al suo interno anche le imprese di
Egas Moniz, presenti solo in LD, il racconto della presa di Santarem della Crónica de 1344
e l’episodio della battaglia di Salado.
L’unico testo epico conosciuto fino a oggi sono, tuttavia, solamente le Gesta de D.
Afonso Henriques, che Saraiva117
ricostruì attraverso la comparazione e la compilazione
delle diverse versioni oggi esistenti sull’argomento, ovvero la III e IV Crónica Breve de
Santa Cruz de Coimbra, la Crónica dos Vinte Reis e LL.
La narrazione presente nel Nobiliario in particolare presenta il futuro re come un
esiliato derubato della sua eredità paterna, delle terre che aveva conquistato in León e dei
suoi diritti sul Portogallo, mentre invece il suo rivale, re Alfonso VII di León, viene dipinto
come un usurpatore, il vero responsabile – attraverso la rottura dei rapporti vassallatici che
lo legavano ai conti portoghesi – della ribellione attorno alla quale si concentra la
narrazione. Sulle modalità attraverso cui il conte di Barcelos avrebbe raccolto le gesta nel
suo Libro esistono attualmente pareri discordanti: secondo Juan Paredes118
il conte di
sarebbe infatti impegnato nella prosificazione di un cantare orale, mentre invece a opinione
di José Mattoso119
don Pedro non avrebbe fatto altro che trascrivere, o anche riassumere,
la versione in prosa della Crónica Galego-Portuguesa de Espanha e de Portugal, dalla
quale paiono derivare, sempre secondo lo storico portoghese, tutte le versioni
conosciute120
.
115
Ipotesi espresse chiaramente in Saraiva 1979, p. 6 e Saraiva 1984, pp. 119-167, ma proposte già, per
stessa ammissione di Saraiva (Saraiva 1979, p. 6), negli anni cinquanta del secolo scorso, più o meno in
corrispondenza alla pubblicazione dell’edizione di Cintra della Crónica Geral de Espanha de 1344. 116
Cintra 1951. 117
Saraiva 1979 e Saraiva 1984. 118
Paredes 1995, pp. 87-105. 119
Mattoso 1984, pp. 27-32. 120
Mattoso riporta oltre a questa anche una serie di gesta incentrate sul personaggio di Egas Moniz delle
quali tuttavia non rimangono tracce nei Libri dei Lignaggi se non in una breve allusione presente in LD.
73
Come si è detto invece precedentemente, non vi è dubbio sul fatto che le narrazioni 2 e
6 discendano da prosificazioni già presenti in cronache e genealogie anteriori all’opera di
don Pedro121
.
In particolare, la storia del Cid proviene sicuramente, come dimostrato da Diego
Catalán122
, da un riassunto del cantare a lui dedicato presente nel Libro de las
Generaciones, ritoccato con elementi provenienti dalle Crónicas de Castela contenute nel
II volume della Versão galego-portuguesa da Primeira Crónica Geral. All’interno della
versione di LL è inoltre posto particolarmente in evidenza l’aspetto religioso delle azioni
compiute dai cavalieri cristiani, e troviamo dunque associata alla semplice narrazione dei
fatti una nuova dimensione provvidenziale, assente nei precedenti racconti epico-
leggendari e frutto, a opinione di Paredes123
, di un probabile intervento clericale sul testo.
Per quanto riguarda invece il Cantar dos Infantes de Lara o de Salas, che apre il
capitolo X di LL, il conte deve aver utilizzato una genealogia sulla famiglia Lara, oggi
perduta, che conteneva probabilmente una serie di digressioni storiche – alcune delle quali
sono state inserite nel Livro de Linhagens e di cui si parlerà al paragrafo “narrazioni
storiche” – e si apriva proprio con questo cantare124
.
Decisamente singolare è invece il modo in cui sono state utilizzate le fonti per redigere
la storia di Rodrigo Forjaz de Trastâmara. La sostanziale identità dei due racconti ha
portato a supporre che le gesta di questo eroe debbano essere infatti state tratte dal Cantar
do Rei Sancho II – altrimenti conosciuto come Cerco de Zamora –, un testo che tuttavia
non menziona in alcun luogo il signore galego125
. La storia del cantare viene infatti
fortemente modificata all’interno del Nobilario per fare di Rodrigo Forjaz l’eroe che
catturò Sancho II – liberato solamente grazie all’intervento del Cid, il « Campeador» – e
dunque per trasformare in tal modo i signori di Galizia in vere e proprie guide nelle lotte
121
Non è stata inserita in questo gruppo la narrazione n. 3 in quanto la sua fonte è attualmente perduta. 122
Catalán Menéndez Pidal 1962, pp 403-406. 123
Paredes 1995, p. 101. 124
Sull’esistenza di questa genealogia si è discusso a p. [da inserire in seguito all’unione dei capitoli]. Il
Nobiliario di don Pedro sembrerebbe fornire, in questo caso, solamente un breve sunto del cantare, le cui
prime tracce si ritrovano all’interno dellaPrimeira Crónica Geral de Espanha. La versione più dettagliata
presente all’interno della Crónica Geral de 1344 è invece stata utilizzata da Menéndez Pidal (Menéndez
Pidal 1951, pp. 199-236; Menéndez Pidal 1896), insieme ad altre fonti più tarde, per una ricostruzione del
testo del cantare. 125
È opinione di Paredes (Paredes 1995, p. 103), tuttavia, che debba essere esistita in Galizia o Portogallo
una tradizione riguardante la partecipazione di don Rodrigo Froiaz alle lotte tra il re don García e il fratello
Sancho, la quale rese possibile la “traslazione” di questo cantare attorno al Trastâmara. Da questo punto di
vista è interessante notare come all’interno del Livro do Deão si possano trovare una serie di riferimenti
riguardanti l’intervento di alcuni cavalieri portoghesi a queste lotte.
74
per l’autonomia del regno di Portogallo126
. Essendo parte del capitolo XXI e basandosi
sugli evidenti paralleli testuali con altre narrazioni del capitolo, è possibile supporre che il
racconto sia stato ritoccato dal rimaneggiatore che lavorò intorno alla fine del secolo XIV e
che aveva come specifico compito quello di esaltare il lignaggio dei Pereira, di cui Rodrigo
Forjaz de Trastâmara era ritenuto il capostipite. Ciò nonostante, la storia e alcuni passaggi,
in particolar modo quelli più vicini alla forma primitiva del cantare, devono aver
conservato la forma stabilita ai tempi di don Pedro.
Si intende infine concentrare la propria attenzione attorno alle narrazioni riguardanti
Soeiro Mendes de Maia e suo fratello Gonçalo Mendes, le quali presentano un carattere
epico piuttosto marcato. La presenza del personaggio di Soeiro Mendes in una serie di
racconti di stampo leggendario contenuti in altre cronache127
, unita alla menzione delle
imprese compiute da questo personaggio all’interno del nostro Livro de Linhagens, ha
portato José Mattoso a supporre l’esistenza in epoca medievale di un cantare epico
incentrato sulla sua figura128
. Di questo cantare dovevano far parte due racconti contenuti
in due sezioni differenti di LL: l’episodio dell’assedio di Guimarães (LL VII), in cui
Soeiro Mendes appare al fianco di re Afonso Henriques129
come co-protagonista
dell’impresa, e quello della liberazione della chiesa spagnola dalla soggezione alla chiesa
romana. Di particolare interesse si rivela questo secondo episodio, che Mattoso130
ipotizza
esser stato centrale all’interno della narrazione epica. Suppone lo storico portoghese che il
racconto deriverebbe dall’attribuzione alla figura del nobile portoghese della leggenda
riguardante il duello giudiziario avvenuto a Burgos nel 1077 tra un cavaliere di Toledo e
uno Franco per decidere, di fronte al re Alfonso VI, dell’abbandono del rito mozarabico in
Spagna a favore di quello romano. Ci troviamo di fronte in questo caso a in tema pare
abbia ispirato una lunga serie di narrazioni leggendarie in area iberica, tra le quali si
126
Esistono inoltre importanti paralleli testuali con la versione prosificata della Primeira Crónica Geral de
Espanha. 127
La IV Crónica Breve de Santa Cruz e la Crónica de Veinte Reyes, ove Soeiro Mendes appare accanto ad
Afonso Henriques in una serie di imprese che, a opinione di A. J. Saraiva (Saraiva 1984, pp. 125-126 e 159-
163), devono essere state parte del ciclo epico incentrato sulla figura del primo re di Portogallo. 128
Mattoso 1981, pp. 83-88 e Mattoso 1984, pp. 27-32. Si tratta dunque in questo caso di una serie di
narrazioni derivate da una fonte perduta, e sulla sui esistenza sono rimasti solamente alcuni indizi all’interno
di alcune cronache (vedi nota precedente). L’ipotesi di Mattoso è comunque attualmente comunemente
accettata dagli studiosi che si sono occupati della questione – si citano, ad esempio Paredes 1995 e Krus 1989
– e che hanno ritenuto convincenti le sue argomentazioni. Si ritiene comunque che l’argomento dovrebbe
essere oggetto in futuro di ulteriori approfondimenti. 129
Episodio narrato anche all’interno della IV Crónica Breve de Santa Cruz. 130
Mattoso 1984, pp. 27-32.
75
distinguono quella di Bernardo del Carpio nella Primeira Crónica Geral de Espanha131
e
un episodio relativo alle gesta di Afonso Henríques132
, che confermerebbero come in quei
luoghi, e soprattutto in Coimbra, fosse ancora percepibile un certo astio nei confronti di
Roma, lascito di una serie di tradizioni antiromane che perdurarono per lungo tempo.
A sua volta, anche la narrazione riguardante la morte di Gonçalo Mendes de Maia, «o
Lidador», presenta un sapore epico alquanto evidente. In questo caso appare però ancora
più difficile per Mattoso133
stabilire l’origine del testo: avendo infatti subito la narrazione
un’ampia serie di revisioni da parte del rimaneggiatore del 1380-83134
, risulta ormai
impossibile comprendere se il conte avesse, come nel caso del fratello, riassunto un cantare
di gesta dedicato a questo personaggio o se l’intera narrazione sia da ritenersi
un’invenzione del rimaneggiatore. È abbastanza certo, tuttavia, che l’autore della storia
abbia fatto riferimento a una serie di fonti precedenti, in quanto lo stesso episodio è
ricordato «de uma maneira especial»135
anche all’interno del Livro do Deão136
e appaiono
nel testo di LL una serie di riferimenti a personaggi vissuti al tempo di Afonso Henriques –
tutti compagni di Gonçalo Mendes – che permettono di supporre l’esistenza in quegli anni
un testo sufficientemente prossimo ai fatti narrati da permettere di evitare eccessivi
anacronismi. Oltre a ciò, è possibile – anche se non dimostrabile – che l’episodio relativo
a Gonçalo Mendes fosse presente all’interno del cantare epico dedicato al fratello137
.
Per quanto non sia dunque possibile sapere con certezza quale fosse la forma primitiva
del testo, si può comunque ammettere che esistesse al tempo una corta narrazione
riguardante la morte del «Lidador» tratta, forse, dalle gesta del fratello e in seguito rivista
131
Tale narrazione si distingue per la centralità che questo tema occupa tra le imprese del cavaliere, anche se
la mancanza di dettagli impedisce di identificare la fonte immediata delle gesta di Soeiro Mendes. 132
Il celebre episodio del vescovo nero raccolto da Herculano nel suo Lendas e Narrativas (Herculano 1970).
L’identificazione del Soeiro Mendes presente all’interno delle Gesta de D. Afonso Henriques con il suddetto
Soeiro Mendes de Maia è stata smentita da Mattoso nel suo volume del 1984 (Mattoso 1984, pp. 27-32) con
argomentazioni che sono parse abbastanza convincenti da decidere di non riportare a testo la discussione 133
Mattoso 1981, pp.83-88. 134
La revisione della storia di Gonçalo Mendes da parte del rimaneggiatore del 1380-1383 è stata dimostrata
da A. J. Saraiva (Saraiva 1971, pp 11-16) in base a una serie di determinati paralleli stilistici che ricollegano
questa narrazioni ad altre sicuramente attribuibili al medesimo autore. 135
Mattoso 1981, p. 86. 136
LD p. 81. 137
All’interno del suo volume del 1984, Mattoso (Mattoso 1984, pp. 27-32) propone addirittura che Gonçalo
Mendes de Maia possa essere stato a sua volta protagonista di un cantare di gesta o, al massimo, co-
protagonista all’interno di quello del fratello. La parentela che lega i due personaggi ha portato lo storico
portoghese a supporre che si trattasse di due cantari, per così dire, complementari, ma senza poter stabilire
ipotesi sicura in base agli elementi presenti in LL: la storia di Soeiro Mendes è infatti troppo breve e
schematica per permettere di comprendere il tenore della fonte, mentre invece quella del fratello ha subito
una così ampia serie di revisioni da parte del rimaneggiatore che, come si è visto, non è ormai possibile
ricostruire il testo originale. Purtroppo, a meno di nuove scoperte, tali supposizioni rimangono tutt’ora
indimostrabili.
76
dal rimaneggiatore che lavorò verso la fine del XIV secolo. Di questo racconto, è
particolarmente interessante notare come sia l’unico che mostra la partecipazione di
membri dell’alta nobiltà alla Riconquista, quando invece è risaputo che l’intervento dei
capi di diversi lignaggi nelle battaglie contro i mori fu piuttosto scarso. Questo elemento
permette di supporre, sempre secondo quanto suggerito da Mattoso nel suo volume del
1984138
, che queste gesta fossero un prodotto abbastanza tardo delle tradizioni dell’alta
nobiltà, non anteriori quanto meno alla metà del XIII secolo139
, o un tentativo di innalzare
la figura di un giovane che, escluso dall’eredità familiare per motivi di successione, decise
di consacrarsi alla professione d’armi servendo il suo re.
Poche sono le informazioni che abbiamo sui testi che raccoglievano le imprese dei due
fratelli, ma, almeno, si può dedurre approssimativamente la data della loro composizione.
È significativo infatti come all’interno di LV, redatto da un monaco di un monastero
particolarmente legato alla famiglia Maia, non appaia alcuna allusione ai due eroi e sia
necessario aspettare la redazione del Livro do Deão per incontrare i primi riferimenti a
questi personaggi. Il silenzio del Livro Velho appare in questo caso, dati i legami del suo
redattore con la famiglia in questione, abbastanza eloquente da permettere di supporre che i
due testi abbiano avuto origine più tardi, ovvero tra il 1280140
e il 1340141
.
In conclusione, l’utilizzazione esclusiva, o quasi, da parte del conte Pedro di riassunti
contenuti in fonti genealogiche preesistenti per redigere questa serie di narrazioni pare
suggerire come, nella sua versione originale, una delle caratteristiche maggiori di LL fosse
quella di prestare una minore attenzione ai cantari epici – quanto meno rispetto alle
cronache redatte a partire dall’opera di Alfonso X – a favore di racconti di tipo
novellistico, una preferenza singolare e sicuramente maggiore di quanto si incontri in
qualsiasi altra fonte scritta dell’epoca.
138
Mattoso 1984, pp. 27-32. 139
In quanto solo a partire da questo secolo si dimostrò sempre più incombente per la nobiltà dell’epoca –
come si è visto all’interno del capitolo precedente – la necessità di costruire una nuova solidarietà di classe.
Presentare i capostipiti delle diverse famiglie come figure essenziali all’interno dei processi che avevano
portato alla creazione del regno di Portogallo, ubbidiva dunque sicuramente a questa necessità: da un lato,
infatti, si ricordava l’importanza di questi lignaggi nella storia del regno, dall’altro rafforzava un ideale di
unione e solidarietà – nonché di superiorità rispetto ad altri lignaggi – tra i discendenti di coloro che avevano
partecipato alle guerre contro i mori. 140
Data entro la quale si colloca la redazione di LV. 141
Data entro la quale si colloca la redazione di LD.
77
4. TRADIZIONI FAMILIARI
Tra le narrazioni contenute nel Livro de Linhagens è stato isolato dagli studiosi142
un
gruppo comunemente riunito sotto il nome di “tradizioni familiari”. La decisione di
distinguere questi racconti da quelli inseriti nei precedenti paragrafi è stata presa in quanto
questi senza aver alcun marcato carattere folklorico, epico o novellistico143
, si pongono
come obiettivo di dimostrare come l’antenato di una determinata famiglia abbia ottenuto o
difeso il suo onore, identificando tale personaggio come modello da imitare da parte dei
propri discendenti. Sono generalmente di lunghezza assai breve e di carattere aneddotico,
presentando spesso toni assai diversi: le storie riguardanti una certa famiglia possono
infatti essere volte a farne risaltare il prestigio o a denigrarla, generalmente a seconda
dell’origine della narrazione. Nel secondo caso è alquanto improbabile infatti che gli
episodi in questione siano stati scritti dai discendenti di quel particolare lignaggio e siano
dunque nati presso famiglie nemiche; ne sono un esempio le narrazioni relative ai
Bragançoẽs, ai Castro e ai Corutelo, probabilmente originate in seno rispettivamente ai
Barbosa, ai Lara e, infine, ai Velho, tutte famiglie tra cui esistevano rivalità ampiamente
documentate all’interno degli archivi storici144
.
Le narrazioni familiari presenti all’interno di LL sono:
1. Diego Lopez de Fenar (cap. IX) : 7 linee.
2. Visione di Nuno Gonçalves de Avalos (cap. X) : 9 linee.
3. Pero Fernandes de Castro (cap. XI) : 11 linee.
4. Il soprannome di Munho Guterres de Castanheda (cap. XIV) : 10 linee.
5. Échega Guiçoi e Gonçalo de Sousa (cap. XXII) : 25 linee.
6. Origine dei Gascos (cap. XXXVI) : 8 linee.
7. Fernão Mendes de Bragança (cap. XXXVII) : 11 linee.
8. Storia di Rui Capão (cap. [XLII]) : 8 linee.
9. Pero Velho e Simao de Corutelo (cap. LI) : 18 linee.
10. La vendetta di Paio Godins de Avezedo (cap. LII) : 43 linee.
11. Storia di Pero Novais (cap. LXV) : 19 linee.
142
Mattoso 1981 p. 88, Mattoso 1984 p. 75, Paredes 1995 p. 125. 143
Sono dunque relativamente privi di personaggi tratti dal folklore, elementi di sapore epico o passaggi
connotati da un gusto particolare per la narrazione e la descrizione di particolari stati emotivi; tutti tratti che,
come si è visto, sembrerebbero caratterizzare le narrazioni inserite nei paragrafi precedenti. 144
E che rendono dunque probabile questa identificazione. È comunque necessario sottolineare che, come
sempre, si tratta di ipotesi per ora non dimostrabili, ma che sono parse comunque abbastanza convincenti se
relazionate alle caratteristiche delle narrazioni in questione.
78
12. Il soprannome di Rui Gonçalves Babilom (cap. LXXII) : 23 linee.
13. Il nome dei Turrichaos (cap. LXXIV) : 9 linee.
Alcune di queste narrazioni sembrano essere completamente isolate, in quanto uniche
rappresentanti delle rispettive famiglie: ne sono esempio le storie di Diogo Lopes de Fenar
e di Manho Guterres «Quatro Mãos». Altre, al contrario, sembrano far parte di un ciclo145
,
come quelle relative ai Sousa, ai Pereira, ai Lara e ai Castro. Altre ancora, infine, sono
destinate a raccontare l’origine di una famiglia146
, quali le storie di Rui Capão, Pero
Novais, Rui Babilom o Pero Arteiro Churrichão.
Tra quelle sopra menzionate, meritano particolare attenzione le due narrazioni
incentrate sulla famiglia Sousa, ovvero quelle relative a Échega Guiçoi e Gonçalo de
Sousa. La prima narrazione racconta di come il conte Mem Soares de Novelas accecò
Échega Guiçoi e sei altri vassalli che erano con lui; la seconda narra di come Gonçalo de
Sousa rispose sgarbatamente al re don Afonso Henriques dopo che questi aveva tentato di
sedurne la moglie e si lega strettamente alla storia di Échega Guiçoi in quanto questi viene
menzionato all’interno del discorso di don Gonçalo. Il fatto che il nobile portoghese possa
permettersi di rispondere bruscamente al proprio sovrano porta a supporre che il periodo
di redazione delle due narrazioni – evidentemente legate – debba situarsi in un momento
storico in cui il prestigio della famiglia Sousa poteva rivaleggiare con quello re, ovvero
probabilmente tra la fine del regno di Sancho I e l’inizio di quello di Afonso II. La
comparazione delle versioni presenti in LV e LL mostra inoltre come la fonte debba essere
stata la stessa per entrambi i libri, e che la lezione del Nobiliario non discende direttamente
da quella presente nel Livro Velho; in base a tali considerazioni si può ammettere che i due
racconti siano derivati da una medesima genealogia relativa alla famiglia Sousa, la cui
origine si deve porre necessariamente prima della nascita di LV.
Particolarmente interessante è inoltre osservare all’interno di un altro episodio
riguardante l’inimicizia tra il re e il membro di una nobile famiglia interessanti paralleli
con il personaggio di Gonçalo de Sousa. Fernão Mendes de Bragança, protagonista della
narrazione n. 7, è infatti descritto e presentato in maniera sostanzialmente identica a don
Gonçalo nel momento in cui, mentre si trovava in Coimbra con a tavola con il re Afonso,
145
Un insieme di narrazioni che ruota attorno ai membri di un unico lignaggio. 146
Senza però far risalire queste origini a un mitico passato, e distinguendo dunque queste narrazioni da
quelle presenti nel paragrafo 1.
79
Sancho Nuniz e lo stesso Gonçalo de Sousa, si trovò a ridere insieme agli altri vassalli di
un po’ di crema caduta sulla barba del sovrano147
.
Sempre relative alla nascita di una famiglia o di una discendenza sono le storie di Rui
Capon e Pero Novais il Vecchio, tra le quali però la seconda si presenta decisamente di
maggiore interesse. La narrazione – che tratta sostanzialmente della cattura del cavaliere
galego da parte dei mori e della sua liberazione grazie all’aiuto del re Afonso di León – si
contraddistingue per il fatto di trattare un tema alquanto diffuso in poesia, quello della
povertà della piccola nobiltà, ma da un punto di vista completamente diverso da quello
generalmente burlesco tipico delle cantigas d’escarnho e maldizer. In questo caso infatti
l’argomento appare elaborato in funzione dell’esaltazione di una solidarietà di classe,
insistendo particolarmente sull’aiuto che lo “scudiero povero” ha ricevuto dai nobili della
penisola e dunque ponendosi in sostanziale consonanza con quella dottrina di amore e
amicizia sostenuta dal conte di Barcelos. È particolarmente interessante notare inoltre,
come sostenuto da Luis Kruz148
, che la regione di Galizia appare in questo racconto
associata alla protezione e al dominio del regno di Portogallo, in quanto la narrazione, oltre
a suggerire che i «boos fidalgos» galeghi derivino dal lignaggio dei Maia, si preoccupa allo
stesso tempo di attribuire alla nobiltà galega uno status inferiore rispetto a quello dei grandi
signori portoghesi.
Estremamente curiose a opinione di Mattoso149
sono le due versioni del duello tra Pero
Velho e Simão de Corutelo presenti in LL e in LD150
, che paiono aver avuto origine da una
fonte comune senza però derivare l’una dall’altra. Le storie presentate dal Livro do Deão e
dal Livro de Linhagens si distinguono infatti l’una dall’altra poiché si concentrano su
dettagli diversi: la prima sulla codardia del Corutelo, la seconda sull’inverosimile
nervosismo del padre di Pero Velho, il quale in uno scatto d’ira arriva a strapparsi un
occhio151
. Il conte Pedro deve aver dunque deciso di attenuare nel suo Nobiliario i dettagli
maggiormente offensivi – poiché al tempo del regno di D. Dinis alcuni Corutelos erano
147
D’altra parte, è necessario notare come la prepotenza e il carattere di Fernão Mendes qui trattati trovino
ulteriore riflesso negli aneddoti che evidenziano la sua collera e i suoi eccessi che si trovano presso il capitolo
XXII di LD, ovvero nelle narrazioni riguardanti l’origine della famiglia Bragançao. 148
Kruz 1989, p.438. 149
Mattoso 1984, pp. 75-78. 150
LD 14Y5. 151
L’aneddoto presenta comunque in entrambi i casi note abbastanza burlesche, le quali hanno portato
Mattoso (Mattoso 1941, pp. 75-78 , ripreso poi in Paredes 1995, pp. 125-145 ) a ipotizzare che derivi da una
cantiga d’escarnho composta con l’intento di caricaturare gli aspetti ridicoli della situazione. Per quanto sia
vero che questa narrazione si distingua da tutte le altre proprio per questi particolari, non vi sono tuttavia
prove certe che permettano di accettare a pieno l’ipotesi dello storico portoghese. Tale teoria, per quanto
affascinante, necessita infatti di maggiori investigazioni.
80
riusciti a raggiungere posizioni importanti all’interno della corte – preferendo rimarcare i
gli elementi che mettevano l’avversario di Simão in una situazione dai tratti fortemente
ridicoli – senza tuttavia arrivare a negare la sconfitta del Corutelo. L’attribuzione
dell’episodio al tempo di Afonso VI, infine, è da ritenersi un’interpolazione tardiva in
quanto Simão de Corutelo visse tra la fine del secolo XII e l’inizio del seguente.
La storia n.10 è una delle tipiche narrazioni che raccontano le lotte tra due famiglie
nobili con le successive vendette. È probabile che l’origine del racconto sia da legarsi a
un’occasione di particolare attrito tra i lignaggi Silva e Avezedo, certamente tarda rispetto
all’epoca in cui vissero i protagonisti – ovvero verso la fine dell’XI secolo.
L’episodio legato alla figura di Rui Babilon presenta un carattere differente da tutti i
precedenti: sebbene infatti si tratti di una delle tante narrazioni nate per spiegare l’origine
di un nome, la sua particolare struttura la avvicina ai romanzi di cavalleria e, in particolare,
all’episodio de A Demanda do Graal in cui il cavaliere Boorz aiuta una povera dama
contro la sorella che le aveva sottratto l’eredità. La narrazione si svolge in questo caso
interamente in Babilonia, ove Rui si guadagna il suo soprannome combattendo come
campione per una vedova. In base al parallelo con il famoso romanzo cavalleresco è
possibile concludere che la storia sia abbastanza tarda, ma è ancora ignoto se debba
attribuirsi alla famiglia del protagonista – che visse nella regione di Maia intorno alla metà
del XIII secolo – o se, nella forma a noi giunta, sia da attribuire al conte Pedro o al
rimaneggiatore del 1380.
Molto simile a questo è, infine, il racconto su Pero Arteiro “Churrichão”, del quale si
riferisce come intervenne in duello in favore del vescovo di Ourense e fu così chiamato a
causa delle sue dimensioni, a quanto pare, eccezionali. In questo caso è molto probabile
che la narrazione sia stata composta per rivendicare una serie di diritti della famiglia
Turrichao sul vescovato di Ourense, con lo scopo di favorire un ramo portoghese del
lignaggio.
5. NARRAZIONI DI CARATTERE STORICO
Nonostante siano stati scritti per occasioni diverse e in vari contesti, si possono
raggruppare in un’ulteriore categoria i testi che più di altri si avvicinano al genere storico,
cronachistico e biografico. La dimensione di tali narrazioni è molto spesso più personale
che familiare e i protagonisti sono frequentemente inseriti all’interno di contesti più vasti,
81
descritti con precisione e oggettività, e posti in un tempo prettamente storico, né mitico né
indeterminato.
Molto spesso questi racconti dimostrano la coscienza acquisita da parte di alcuni
membri della classe nobile di essere riusciti col tempo ad assumere una determinata
preminenza sociale nell’ambito dell’intero regno, e non solo nello spazio limitato della
propria signoria. Da questo punto di vista vediamo dunque come perpetuare la memoria
delle gesta compiute dai propri antenati si riveli una delle modalità attraverso cui i grandi
signori portoghesi rivendicano e mantengono la posizione gradualmente acquisita
all’interno della corte.
Le narrazioni in questione sono le seguenti:
1. D. Dinis di Portogallo (cap. VII) : 66 linee.
2. Origine della signoria dei Molina (cap. X) : 12 linee.
3. Storia di Nuno Gonçalves de Lara (cap. X) : 16 linee.
4. Prodezze di João Nunes de Lara (cap. X) : 28 linee.
5. Prodezze di João Nunes de Lara II (cap. X) : 47 linee.
6. Storia di Guterre Fernandes de Castro (cap. X) : 8 linee.
7. Pero Fernandes de Castro o «Castelão» (cap. XI) : 21 linee.
8. Prodezze di Álvaro Pires de Castro (cap. XI) : 15 linee.
9. Telo Afonso di Albuquerque e i figli d’Escolha (cap. XV) : 9 linee.
10. Storia di Pedro I di Castiglia (cap. XXI) : 46 linee.
11. Storia di Pedro I di Portogallo (cap. XXI) : 7 linee.
12. Lista dei nobili portoghesi dell’epoca di D. Afonso Henriques (cap. XXI) : 19 linee.
13. Prodezze di Rodrigo Forjaz de Trastâmara II (cap. XXI) : 81 linee.
14. Lista dei nobili portoghesi che parteciparono alla conquista di Siviglia (cap. XXI) :
20 linee.
15. Prodezze di Gonçalo Rodrigues de Palmeira (cap. XXI) : 14 linee.
16. Prodezze di Rodrigo Gonçalves de Pereira (cap. XXI) : 7 linee.
17. Prodezze di Gonçalo Peres Pereira (cap. XXI) : 5 linee.
18. Storia dell’arcivescovo D. Gonçalo Pereira (cap. XXI) : 14 linee.
19. Storia del priore Álvaro Gonçalves Pereira e di João Afonso de Albuquerque (cap.
XXI) : 47 linee.
20. Battaglia di Salado (cap. XXI) : 5 pagine.
21. D. Pedro de Barcelos nelle lotte con la Galizia (cap. XXII) : 23 linee.
22. Prodezze di Martim Sanches (cap. XXV) : 64 linee.
82
23. Prodezze di Martim Anes de Riba de Vizela (cap. XXVI) : 29 linee.
24. Storia di Vasco Pimentel (cap. XXXV) : 50 linee.
25. La lite di Trasconho (cap. XL) : 4 linee.
26. Storia di Fernando Afonso (cap. XLIII) : 5 linee.
27. Simão de Urrô e João Simão (cap. XLIV) : 7 linee.
28. Storia del maestro Gualdim Pais (cap. LVI) : 5 linee.
29. Storia di Rodrigo Afonso de Leão (cap. LVIII) : 11 linee.
I racconti da 2 a 4 sono tratti dalla genealogia dedicata ai Lara di cui si è più volte
parlato in precedenza152
, in quanto è stata utilizzata dal conte Pedro come fonte per
numerose narrazioni. Sancho García in particolare è presentato come il fondatore del regno
navarro-aragonese, la cui biografia è permeata di dettagli di carattere quasi mitologico:
nato attraverso la ferita inferta alla madre durante un combattimento contro l’esercito dei
mori, dopo un’adolescenza iniziatica vissuta nei boschi venne riconosciuto dai nobili della
sua terra che lo elessero re.
Per quanto riguarda le narrazioni incentrate attorno alla famiglia Lara invece troviamo
nel Nobiliario allusioni alla ribellione di alcuni nobili castigliani, guidati dal principe don
Felipe, Nuno Gonçalves de Lara e Felipe Díaz de Haro, contro il re Alfonso X. Una volta
abbandonata la Castiglia, il gruppo di ribelli si diresse a Granada, ove si rimise
all’ospitalità del sovrano musulmano dopo aver commesso durante il cammino una lunga
serie di rapine e incursioni in diverse città. Non si creda tuttavia che si intenda in questo
caso criticare il comportamento dei signori ribellatisi a re Alfonso: le imprese João Nunes
de Lara II sembrano infatti essere quasi esaltate, in quanto conseguenze negative ed
esemplari di una pratica della regalità troppo centralizzata e anti-signorile, unica vera
responsabile dei fatti narrati.
La gran quantità di dettagli presenti nelle ultime due storie, in particolare, mostra infine
come la fonte debba esser stata redatta durante la vita del suddetto João Nunes de Lara II,
cui dev’essere stata aggiunta la notizia della sua morte, avvenuta nel 1350153
.
In confronto alle precedenti, le tre narrazioni riguardanti la famiglia Castro sono più
corte e presentano un carattere disparato. Sono sicuramente state parte di una serie di
racconti riguardanti il lignaggio in questione, ma non si può essere sicuri si tratti
propriamente di una genealogia e si pensa piuttosto a una raccolta di storie diverse e di
differenti origini, inclusi aneddoti creati presso le famiglie avversarie, tra tutte sicuramente
152
Sull’esistenza di questa genealogia si è infatti discusso all’interno del capitolo II alle pp. 50-52 153
Mattoso 1984, pp. 97-102.
83
i Lara, con lo scopo di screditarli – com’è probabile sia accaduto per l’episodio di Pero
Fernandes de Castro154
.
Per quanto riguarda la narrazione incentrata su Telo Afonso de Albuquerque,
particolarmente sorprendente è il fatto che questa appaia all’interno della genealogia dei
Girõe, legati agli Albuquerque per linea femminile, e non all’interno di quella degli
Albuquerque stessi. Di questo racconto non possono non colpire i numerosi dettagli con i
quali vengono descritte le armi e diverse parti di armature, tanto da poter riscontrare
paralleli evidenti tra questo episodio e quello della battaglia di Salado. Tali considerazioni
portano dunque a supporre che la forma attuale del testo sia attribuibile al rimaneggiatore
del 1380-83, interessato alle gesta di questo lignaggio in quanto legato a quello dei Pereira
da una profonda amicizia.
Le narrazioni 1 e 10 hanno un carattere evidentemente cronachistico. Non per questo si
può però affermare che l’autore sia lo stesso: la prima è da attribuire infatti, quasi
sicuramente, allo stesso don Pedro mentre la seconda si deve, senza dubbio, al
rimaneggiatore che lavorò verso la fine del XIV secolo155
. Nell’episodio a lui dedicato è
interessante notare come Don Dinis appaia come pacificatore dei regni di Castiglia e
Aragona e la conquista dei castelli di Riba Coa sia presentata come un’azione difensiva –
piuttosto che come un aggressione – contro una monarchia il cui comportamento aveva
messo a rischio la solidarietà e la pace tra i sovrani della penisola.
Il racconto n. 21 si distingue invece per avere come protagonista proprio il conte di
Barcelos. Ben distante dall’essere una biografia, la narrazione contiene solamente un
episodio della vita di don Pedro, dimenticando completamente eventi importanti per la sua
formazione quali l’esilio in Castiglia e l’intervento nelle lotte tra D. Dinis e l’infante D.
Afonso. L’aneddoto narra di come il conte Pedro, che teneva accampati i suoi eserciti sulla
frontiera galega, provocò la ribellione delle truppe nemiche, capitanate dall’arrogante
arcivescovo di Compostela che venne infine obbligato alla fuga.
Le storie di Martim Sanches, Martim Anes de Riba de Vizela e del maestro Gualdim
Pais sono tutte ambientate nell’epoca di Afonso II e sono probabilmente state redatte
154
Se si vuole comunque ammettere che sia esistita una fonte unitaria, deve averne fatto parte anche il
racconto inserito all’interno del paragrafo “narrazioni di carattere novellistico”. 155
La proposta avanzata da A. de Magalhães Basto nel 1959, che identificava Fernão Lopes come autore
possibile, è stata infatti scartata da A. J. Saraiva nel 1971 (Saraiva 1971, pp 11-16), il quale afferma come le
prove non siano sufficienti per dimostrarlo e che l’unico intervento sicuro fosse quello del rimaneggiatore.
All’interno di questo suo articolo infatti Saraiva ha compiuto uno studio approfondito sullo stile singolare che
caratterizza gli interventi del rimaneggiatore del 1380-1383, arrivando dunque a identificare i passi che gli
possono essere attribuiti con sicurezza.
84
proprio intorno a quell’epoca156
. Tra queste, la descrizione delle incursioni di Martim
Sanches a Ázere, Braga e Guimarães è una delle più lunghe e dettagliate di tutta l’opera e il
suo contenuto, destinato a esaltare la memoria del bastardo di Sancho I, ha un carattere ben
marcato e molto vicino al genere biografico157
. Il fatto inoltre che la narrazione 23 appaia
solamente all’interno di A1 ha portato lo storico portoghese a ipotizzare la perdita di una
serie di narrazioni tagliate prima del rimaneggiamento del 1380, e dunque anche, di
conseguenza, della redazione di tutti gli altri manoscritti esistenti.
La storia di Vasco Pimentel è invece di particolare interesse in quanto è una delle
poche narrazioni appartenenti, almeno per la maggior parte, al rimaneggiatore del 1360-65.
Il grande impegno dimostrato in questa occasione dall'autore158
nel tentativo di riabilitare
la figura del nobile portoghese risulta di facile interpretazione in quanto il protagonista
risulta legato al lignaggio di Álvaro Gonçalves Pereira per linea femminile. Anche in
questo caso appare dunque evidente l'importanza della figura del priore come committente
dei due rimaneggiamenti che hanno portato l'opera alla forma in cui oggi è più
comunemente conosciuta.
Le due liste di nobili menzionate presso i n. 12 e 14 meritano una menzione speciale in
quanto sono gli unici due passi del Livro de Linhagens provenienti da documenti
d'archivio.
La narrazione relativa a Rodrigo Forjaz de Trastâmara II, si rivela a sua volta
sorprendente per l’estensione e per la presenza di numerosi dettagli a volte di difficile
interpretazione. Innanzi tutto, è quanto meno singolare che il racconto si presenti nel
capitolo XXI e non all'interno del XIII, dato che il protagonista appartiene al lignaggio dei
Trastâmara; in secondo luogo, sorge spontaneo chiedersi come mai, apparendo la storia
dell'assedio di Siviglia anche all'interno della Primeira Crónica Geral, non si incontri
all'interno di quest'ultima alcun riferimento a Rodrigo Forjaz II; infine, l'inserimento di una
figura dai tratti decisamente fantastici come quella del moro Acaçaf, che pare quasi tratta
da un romanzo cavalleresco, stona all'interno di un episodio che si rivela per lo più
156
L’ipotesi elaborata da Mattoso nel 1981 (Mattoso 1981, pp. 88-97 ) sul fatto che probabilmente il conte
avesse riassunto racconti a lui riportati oralmente da alcuni contemporanei è stata infatti smentita dallo stesso
storico portoghese nel suo volume del 1984 (Mattoso 1984, pp 97-102). 157
È opinione di Mattoso (Mattoso 1984, pp. 97-102) che un’analisi di questi racconti dia modo di
dimostrare l’esistenza di una letteratura cronachistica di origine portoghese e non clericale abbastanza
anteriore all’opera del conte Pedro e alla Crónica Galego-Portuguesa de Espanha e Portugal. Lo storico
portoghese tuttavia non spiega le motivazioni che lo hanno portato a trarre queste conclusioni, per cui si è
preferito non inserire a testo queste considerazioni. 158
Che, come si è visto, si limitò il più delle volte a un aggiornamento delle genealogie fino all'età a lui
contemporanea.
85
storicamente accurato159
. La presenza di quest’ultimo personaggio è spiegabile attraverso
l'intervento del rimaneggiatore del 1380-1383, che si è visto aver apportato numerose
modifiche al capitolo in questione e che in più punti si rivela assiduo lettore di romanzi di
cavalleria160
. La descrizione fisica di Acaçaf ricorda infatti molto da vicino quella del
gigante Endriago dell'Amadis de Gaula, figlio dell'incesto del re con la propria figlia, ma
anche quella del fratello del re Marsilio nella Chanson de Roland, ucciso da Oliviero a
Roncisvalle. Non deve dunque passare inosservato in questo caso come proprio Rodrigo
Forjaz e i suoi compagni siano espressamente paragonati, nel dell'incursione musulmana
all’interno dell’accampamento cristiano, a Carlo Magno e i dodici Pari161
.
Nonostante gli elementi sopra riportati, non crede comunque Mattoso162
che il racconto
sia da ritenere completamente un'invenzione letteraria del rimaneggiatore e questo perché,
innanzi tutto, non vi sarebbe stato in tal caso alcuna ragione per attribuire le gesta riportate
a un Trastâmara, dato che il suo scopo era quello di esaltare il lignaggio dei Pereira163
. È
comunque opinione di Mattoso164
che, nella creazione della figura di questo nobile, il
rimaneggiatore si ispirò a quella di Rodrigo Gomez de Trastâmara. Don Rodrigo Gomez
era infatti conosciuto come un famoso mecenate, che riunì presso la sua corte giullari e
trovatori affinché componessero una serie di storie riguardanti la sua tradizione familiare.
È dunque probabile che, prima del 1340, un chierico al servizio della famiglia Pereira
abbia raccolto tutte le tradizioni riguardanti il lignaggio dei Trastâmara – di cui i Pereira
erano un ramo –, create da uno o da vari trovatori del conte Rodrigo Gomez e riguardanti i
suoi antenati – così come le sue stesse imprese nell'assedio di Siviglia – arricchendole e
attribuendole al nuovo e più recente lignaggio. D'altronde, per un tale lavoro non doveva
159
Tale narrazione si trova comunque all’interno di questo paragrafo in quanto, nonostante questi dettagli, il
racconto si presenta comunque principalmente storico. 160
La storia di Rodrigo Forjaz II presenta infatti una serie di paralleli stilistici importanti – come ad esempio
l’alternanza continua tra combattimento e dialoghi – con l’episodio della battaglia di Salado, sicuramente
opera di questo rimaneggiatore. 161
Intendendo con questo termine coloro che facevano parte della cosiddetta parìa di Francia, gruppo di
grandi feudatari vassalli del re francese e che, in origine, erano dodici e che godevano del diritto di poter
essere giudicati solamente da persone del proprio grado. In questo caso, si fa riferimento ai dodici paladini
che compaiono nella chanson de Roland accanto a il re Franco. 162
Mattoso 1984, pp. 97-102. 163
Il fatto che inoltre Rodrigo Forjaz II appaia protagonista di una serie di accadimenti che in una fonte
anteriore si vedono attribuiti ad altri personaggi, ricorda ciò che è stato detto anche a proposito di Rodrigo
Forjaz I, reso in LL l'eroe delle gesta riportate all'interno del Cerco de Zamora. La presenza dunque di
processi di redazione simili e lo stretto legame tra i due personaggi porta lo storico portoghese a chiedersi se
non si tratti in questo caso di un estratto proveniente dalla Crónica Galego-Portugguesa de Espanha e
Portugal. L’ ipotesi tuttavia, per quanto seducente, si rivela attualmente impossibile da dimostrare con
certezza, in quanto questa cronaca risulta oggi perduta e non ne rimane che qualche frammento – in cui però
non vediamo mai comparire la storia di Rodrigo Forjaz II. 164 Mattoso 1991.
86
fare altro che modificare le genealogie o proporre erronee identificazioni tra antenati
omonimi. Infine, l'inclusione della narrazione all'interno del capitolo XXI è attribuibile al
fatto che il matrimonio tra Rodrigo Forjaz II e la figlia di Gonçalo Mendez de Maia ha dato
origine al lignaggio dei Pereira.
Le storie da 15 a 19 sono tutte incentrate proprio attorno a questa famiglia. La numero
15 in particolare si distingue per il suo evidente contrastare con il racconto relativo ad
Álvaro Pires de Castro per quanto riguarda il combattimento avvenuto presso Jerez nel
1231 contro gli eserciti di Ibn Hud. Si afferma infatti all'interno della narrazione 8 come fu
proprio grazie agli sforzi di don Álvaro che gli eserciti cristiani, decisamente inferiori di
numero, riuscirono a sconfiggere i mori, contributo che viene invece sminuito nella n. 15,
in cui Gonçalo Rodriguez de Palmeira è presentato quale vero vincitore della battaglia
commettendo, per altro, un evidente anacronismo165
. Tali evidenze portano dunque
Paredes166
a supporre che l'autore del passo sia il rimaneggiatore del 1380-1383, superando
l’ipotesi proposta da José Mattoso il quale, nel suo volume del 1984167
, si dimostra
convinto che il racconto sia attribuibile allo stesso don Pedro. Questi infatti, avendo tra i
suoi vassalli Rui Gonçalves Pereira poteva da lui aver udito la storia in questione e altre
riguardanti i suoi antenati.
Sicuramente attribuibili al rimaneggiatore dell'ultimo quarto del XIV secolo sono
invece le altre narrazioni del gruppo, essendo infatti chiaro lo scopo con il quale furono
scritte: il filo conduttore che lega i racconti non è infatti tanto la genealogia dei Pereira
quanto piuttosto la volontà di esaltare gli antenati e le persone più vicine – anche
affettivamente – al priore degli Ospitalieri, come conferma l'inclusione nel capitolo della
storia di Pedro I di Castiglia, detto "il Crudele". Per quanto infatti sia vero che Pedro I
appartenesse alla casata dei Maia e non a quella dei Pereira (essendo discendente per linea
femminile da Soeiro Mendes de Maia) le ragioni della sua inclusione nel capitolo sono da
ricercare nel fatto che il suo favorito, Juan Afonso de Albuquerque – incluso nella
narrazione n. 10 –, fosse un grande amico di don Álvaro. Il priore aveva inoltre vissuto per
un certo periodo di tempo presso la corte castigliana168
avendo la possibilità di ammirare
l'operato del re, la cui biografia in LL è dunque così lunga proprio per il fatto di aver
incrociato la vita di Álvaro Gonçalves Pereira. È comunque particolarmente interessante
165
La figura di Gonçalo Rodriguez de Palmeira è infatti storicamente documentata tra il 1110 e il 1154, come
dimostrato da Krus 1989, pp. 350-351. 166 Paredes 1995, pp. 167
Mattoso 1994, pp. 97-102. 168
Krus 1989 pp. 289-313.
87
notare come non si incontri alcun riferimento nella documentazione regia di Castiglia e
León alle imprese del priore descritte nel Nobiliario; risulta dunque alquanto probabile che
il rimaneggiatore del 1380-1383 attribuì allo stesso don Álvaro la carriera politica
appartenuta in realtà al sopracitato Juan Afonso de Albuquerque169
.
Nell'ultima parte della biografia del priore Álvaro Gonçalves Pereira si inserisce infine
la descrizione della battaglia di Salado, una narrazione che, tanto dal punto di vista
stilistico quanto strutturale, non trova alcun parallelo nella prosa portoghese anteriore o
contemporanea. La battaglia in particolare costituisce l'episodio centrale della vita di don
Álvaro, presentato come il guardiano della Vera Croce, personificazione della dimensione
cristiana della battaglia e del forte legame che vi era tra la cavalleria iberica e quella più
genericamente cristiana. La figura dell'antagonista, Alcaraz "o Turco", sembra per altro
rafforzare ulteriormente quest'immagine: il lamento che pronuncia in seguito alla
sconfitta170
contrasta infatti fortemente con le espressioni di trionfo del sovrano
portoghese, Alfonso IV, presentato come difensore di una concezione tutta iberica di
nobiltà ispiratrice del testo. Tale episodio è stato al centro di un importante studio di A. J.
Saraiva171
.
6. NARRAZIONI LEGATE AL CODICE CAVALLERESCO172
Tra le narrazioni del Livro de Linhagens può infine essere isolato un ultimo gruppo che
contiene una serie di episodi in cui i vassalli si dimostrano esempi positivi o negativi di
fedeltà al compimento dei propri doveri feudali e militari. I racconti sono i seguenti:
1. Storia di João Pires de Vasconcelos ( cap. XXXVI) : 23 linee.
2. I castelli di Gonçalo Pires Ribeiro (cap. [XLII]) : 7 linee.
3. Raimondo Viegas de Portocarreiro e D. Micia (cap. XLIII) : 8 linee.
4. Estêvão de Freitas e il castello di Zagala (cap. XLIV) : 5 linee.
5. Mem Cravo e il castello di Lanhoso (cap. XLIV) : 6 linee.
6. Martim Vasques da Cunha e il castello di Celorico (cap. LV) : 34 linee.
7. Il tradimento dei Bezerras (cap. LXVI) : 5 linee.
169
Juan Afonso de Albuquerque occupò infatti presso la corte castigliana gli incarichi di maestro e
maggiordomo nonché, dopo l’ascesa al trono di Pedro I nel 1350, di cancelliere maggiore. 170
In linea con quelli di altri cantari di gesta. 171
Saraiva 1971, pp. 11-16. 172
I racconti di cui si tratterà in seguito sono etichettati in Mattoso 1984 (Mattoso 1984, p. 89) sotto il nome
“Os deveres dos vasallos e dos cavalleros”. Si è deciso in questo caso di modificare la designazione del
paragrafo per renderne manifesto il contenuto già a una prima lettura, in quanto quella proposta dallo storico
portoghese non è stata ritenuta abbastanza chiara e convincente.
88
Si può facilmente ipotizzare che nessuna delle narrazioni sia attribuibile alla famiglia
dei protagonisti, in quanto si tratta per lo più di tradimenti ed eventi che i discendenti dei
rispettivi lignaggi si sarebbero preoccupati di occultare piuttosto che pubblicizzare.
L'unico caso tra questi in cui viene narrato un episodio di esemplare fedeltà ai principi
del codice feudale è quello relativo al signore di Celorico de Basto. La narrazione presenta
una singolare mescolanza di dati reali, come i riferimenti a personaggi storici, ed elementi
fantastici, tra i quali spicca sicuramente il viaggio compiuto dal nobile in tutta Europa per
informarsi presso i sovrani più istruiti su come rompere un legame di vassallaggio senza
peccare di tradimento173
.
Se si esclude dunque quella appena menzionata, tutte le altre narrazioni trattano casi di
tradimento e sono accomunate, tranne la n. 1 di cui si parlerà in seguito, dal ruotare attorno
a un personaggio ben definito: il re Sancho II, abbandonato dai suoi vassalli e deposto a
favore del fratello Afonso nel 1245.
Sicuramente singolare tra queste è la storia relativa a Raimundo Viegas de
Portocarreiro, che racconta una delle vicende più emblematiche della guerra del 1245.
Raimundo, vassallo di re Sancho, arrivò una notte in Coimbra e, con l’aiuto del compagno
Martim Gil de Soverosa, rapì la regina donna Micia portandola con sé in Ourém; i vari
tentativi del re di liberare la moglie si conclusero in una sonora sconfitta, non riuscendo
infatti Sancho a vincere la resistenza opposta dalla città. Le importanti conseguenze sociali
che un tale atto può aver comportato hanno spinto diversi studiosi a considerare la
narrazione inverosimile o autentica. Tali questioni tuttavia, insieme alle motivazioni che
hanno spinto l’autore a includere questa storia nel Nobiliario, saranno affrontate nei
capitoli successivi.
Che la guerra civile tra i due fratelli sia stata un episodio destabilizzante per tutto il
regno di Portogallo è confermato dal particolare interesse dimostrato per questo argomento
da numerosi trovatori e autori dell’epoca: esistono infatti una serie di cantigas d’escarnho
che ruotano attorno a questo tema, cui si aggiungono, oltre alle sopracitate narrazioni di
LL, altre conservate dalla Crónica de 1419.
Infine, sebbene non si tratti propriamente di una narrazione riguardante i doveri di
vassallaggio, è comunemente associata ai racconti precedenti, per le sue caratteristiche
negativamente esemplari, la storia di João Pires de Vasconcelos «o Tenreiro». Si tratta
173
In base alle caratteristiche peculiari del racconto Mattoso (Mattoso 1984, pp. 89-92) ha supposto si tratti
dell’estratto di un manuale di cavalleria su cui in seguito è stata costruita la storia di Martim Vasques da
Cunha. Non esistono tuttavia prove concrete che possano supportare questa tesi, che pare, per altro, piuttosto
aleatoria. Si è deciso per questo di non inserirla a testo, ma di citarla semplicemente in apparato.
89
questa volta di un caso di codardia, dal momento che il protagonista rifiuta pubblicamente
di accettare una sfida commettendo un’infrazione particolarmente grave del codice
cavalleresco. Tale narrazione sarà comunque analizzata in maniera approfondita in seguito,
all’interno del capitolo specificamente dedicato alle narrazioni di LL incentrate attorno alla
figura di Sancho II.
7. TRA PROSA E POESIA
Una delle caratteristiche più interessanti delle narrazioni trattate nel precedente
paragrafo è quella di poter essere tutte ricollegate, in un modo o nell’altro, a una serie di
cantigas d’escharno.
Si è visto in precedenza come la guerra civile tra il re Sancho II e il fratello Afonso
conte di Boulogne-sur-Mere174
– il futuro re Afonso III – avesse colpito profondamente
l’immaginario di molti poeti e nobili dei secoli XIII e XIV, e di ciò ne è indiscutibilmente
prova il ciclo di poesie composte da alcuni autori al seguito degli alcaides esiliati insieme
al re sconfitto. Fanno sicuramente parte di questo gruppo le cantigas Lapa 61, 78, 98, che
trattano direttamente il tema in questione; la poesia Lapa 79 e la cantiga de Santa Maria
n.235, sono invece collegabili a questo ciclo, ma in maniera più indiretta rispetto alle
precedenti, essendo la prima indirizzata a uno dei nobili traditori – ma configurandosi più
come un’invettiva personale – e facendo la seconda semplicemente un breve riferimento al
re Sancho II. Le numero 61, 78 e 98 si distinguono inoltre per trattare tutte la tematica del
tradimento a re Sancho concentrandosi su un episodio specifico della guerra civile: la
consegna da parte dei vassalli di tutti propri possedimenti, conferitigli inizialmente dal re
legittimo, all’usurpatore Afonso di Boulogne.
La cantiga «Já lhi nunca pediram»175
è opera del trovatore Afonso Mendes de
Besteiros176
, non prende in causa un signore particolare, trattando dunque il tema in
questione in maniera generica e citando come protagonista un anonimo «Don Foan»,
colpevole di aver concesso il proprio castello all’infante Afonso con il pretesto di non
avere abbastanza viveri e uomini per difenderlo. Più specifica nelle accuse si rivela invece
la seconda di queste poesie, Lapa 78, com’è possibile vedere già dalla rubrica: «Esta outra
174
Che compare nelle fonti di origine portoghese come Afonso de Bolonha 175
Lapa 61. 176
Identificato in Fernandes 2006 come un poeta al servizio della famiglia Riba de Vizela, che seguì don
Sancho nel suo esilio a Toledo. La questione sarà comunque approfondita all’interno dell’Appendice 1.
90
cantiga é de mal dizer dos que deron os castelos como non devian al rei Don Afonso»177
,
che indica chiaramente fin dal principio quale sarà il tema dell’invettiva poetica. Opera del
poeta galego Airas Peres Vuituron, la cantiga tratta del tradimento di Sueiro Bezerra e
degli alcaides di Marialia, Leira, Faria Santarém, Covilhãa, Trancoso e Sintra – nominati
questa volta direttamente – ai danni di re Sancho, in quanto avevano donato i propri
possedimenti al conte di Boulogne supportati dalle gerarchie ecclesiastiche; l’unico
esempio positivo citato è quello dell’alcalde di Celorico. L’ultima di questo piccolo
raggruppamento invece,«Meu senhor arcebispo, and’eu escomungado»178
è incentrata
attorno al pentimento del signore di Sousa per esser stato fedele al sovrano sconfitto e aver
di conseguenza perso il proprio castello e la propria signoria.
Oltre a queste, vediamo come nella sua cantiga «Don Estêvão diz que desamor»179
Airas Peres Vuitoron faccia riferimento ancora una volta alla guerra civile mettendo in
dubbio la fedeltà ad Afonso di uno dei vassalli traditori di re Sancho, D. Estêvão Eanes180
.
Scritta probabilmente in un momento in cui le sorti della guerra non erano ancora state
decise181
, la poesia mostra un interessante quadro in cui la fedeltà degli alcaides al proprio
sovrano è sempre in bilico, in attesa di scoprire come si sarebbe evoluta la situazione,
sottolineando allo stesso tempo la profonda falsità del protagonista e di tutti i nobili che
come lui avevano deciso di seguire l’infante nella sua guerra per il trono.
Infine, la cantiga de Santa Maria del sovrano Castigliano si rivela di particolare
interesse in quanto propone un parallelo tra la vicenda vissuta da Alfonso X, vittima di una
cospirazione architettata da ricchi uomini e membri della sua stessa famiglia, e quella di re
Sancho Capelo, menzionato chiaramente al v. 58 «nunca assi foi vendudo Rey Don
Sanch’en Portugal». Una tale riferimento denota dunque come le vicende del re tradito
siano rimaste fortemente impresse nella memoria di tutta la penisola per lungo tempo e non
solo in ambito portoghese.
Qualunque sia stata l’origine dei testi poetici e narrativi incentrati su questo argomento,
è comunque essenziale notare come si propongano lo scopo di lodare i nobili che furono
fedeli a Sancho II da una parte, e condannare con veemenza le azioni dei vassalli traditori
dall’altra, per quanto questi fossero probabilmente gli antenati di coloro che elaborarono le
177
Rubrica presente in entrambi i testimoni della poesia, di cui si parlerà in seguito più approfonditamente. È
l’unico caso questo, tra le tre cantigas citate, in cui appare una rubrica che indichi chiaramente le motivazioni
per cui l’invettiva poetica è stata scritta. 178
Lapa 98. 179
Lapa 79. 180
Protagonista di molte poesie satiriche di Airas Peres Vuitoron, rivelandosi uno dei suoi. In seguito alla
vittoria dell’infante Afonso, ricoprì la carica di alto cancelliere presso la corte per lungo tempo. 181
Lapa 1971, p. 133.
91
narrazioni presenti in LL. Una simile presa di posizione, sicuramente singolare e non
scontata, dimostra, a opinione di Mattoso182
, come l’oggetto di discussione in quei
determinati casi – ovvero, specificamente, le tre cantigas e le narrazioni dedicate ai
Bezerra e a Mem Cravo – non fosse tanto la figura del signore in sé, quanto piuttosto la
decisione di rispettare o tradire i principi del codice feudale183
. I nuovi signori di
Portogallo, d’altronde, erano interessati a proporre ed esaltare la necessità di essere fedeli
ai principi del codice vassallatico esattamente quanto lo erano i nobili, attenti, come si è
visto, a proporre attraverso il Nobiliario la logica di una nuova solidarietà di classe che
proprio su tali principi si basava. Su tali basi, ipotizza dunque lo storico portoghese che la
volontà di fortificare i vincoli sociali, dovuta alle diverse incombenze che in quel momento
minacciavano di dissolvere lo status e i privilegi di una nobiltà, e di un regno, in bilico,
abbia portato a conservare questi racconti come strumenti e modelli esemplari per
assicurare il mantenimento di una nuova solidarietà che poggiava su una serie valori che in
quel momento si sentiva il bisogno di pubblicizzare e fortificare.
In conclusione, è interessante notare come anche il protagonista della narrazione 6.1
abbia ispirato almeno una celebre cantiga d’escarnho, Lapa 60184
e forse una seconda,
Lapa 16, la cui attribuzione appare però ancora dubbia. Per quanto infatti Michaëlis de
Vasconcelos185
proponga di identificare il «Don Foão» della seconda poesia sempre con il
medesimo João Pires de Vasconcelos, è comunque opinione di Lapa186
che le basi su cui
tale attribuzione è proposta siano alquanto aleatorie, poiché fondate su una serie di
ricostruzioni personali di scarsa consistenza. La prima di queste si situa all’interno del v.
14, giuntoci incompleto, ove la studiosa inserisce la parola «Portugal» per localizzare
geograficamente il destinatario della cantiga. Come sottolinea Lapa, tuttavia, questa
ricostruzione è purtroppo frutto di un ipotesi non dimostrabile, e per quanto suggestiva non
può essere accettata senza riserve. La seconda prova a sostegno dell’identificazione
proposta dalla Michaëlis sta nell’interpretazione della parola «Talveira» del v. 21: la
filologa propone infatti di vedere in questo termine un’allusione agli abitanti di Talvera de
182
Mattoso 1984, pp. 89-92. 183
È inoltre opinione di José Mattoso (Mattoso 1984, pp. 89-92) che sia avvenuto in questo caso un
“recupero” di questi temi e di queste poesie – composte probabilmente presso la corte di Ferdinando III di
Castiglia, che ospitò Sancho II dopo l’esilio – all’interno dei racconti di LL, scritti due o tre generazioni dopo
gli eventi narrati proprio dai successori del re che diede inizio alla guerra civile e ne beneficiò. Per quanto si
sia deciso di non confrontare in maniera approfondita narrazioni e cantigas, è tuttavia necessario notare che
molto spesso non si ritrova, anche solo a un primo sguardo, alcun parallelo di tipo linguistico-lessicale che
permetta di ipotizzare realmente questo supposto “recupero”. 184
Lapa 1971. 185
Vasconcelos 1904. 186
Lapa 1971.
92
Real, vicino a Badajoz e dunque alle terre della famiglia del protagonista della cantiga
anche in questo caso ci si trova di fronte a un interpretazione oppugnabile e non
dimostrabile.
Attualmente, per quanto la proposta di Carolina Michaëlis venga segnalata da tutti gli
studiosi che si sono occupati della questione, si è concordi nell’accettare le obiezioni poste
a tal proposito da Rodriguez Lapa187
.
Come si è già accennato all’inizio del capitolo, in seguito a questa breve analisi delle
narrazioni contenute in LL si può cogliere come ognuna di esse, pur nella loro diversità,
sia stata inserita all’interno del Nobiliario con uno scopo ben preciso: creare, sviluppare e
celebrare un’ideologia di classe che riuscisse a dare nuova vita a una nobiltà, e a un regno,
in profonda crisi.
Si può capire allora in questo momento come siano proprio questi obiettivi a rendere il
Libro dei Lignaggi un opera così profondamente innovativa all’interno del panorama non
solamente iberico, ma anche europeo. Rispetto alle opere cronachistiche e genealogiche
precedenti il Nobiliario si pone infatti su un piano completamente nuovo da un punto di
vista letterario, un piano che però deriva, in fin dei conti, da nuove necessità dettate proprio
dalle contingenze storiche, senza la cui comprensione sarebbe impossibile cogliere appieno
la profonda rivoluzione operata da Don Pedro.
Prologo e narrazioni da questo punto di vista si completano e si innalzano a vicenda,
permettendo di apprezzare la vera importanza dell’opera tanto dal punto di vista storico
quanto letterario. Senza comprendere il loro rapporto di profonda complementarietà si
perderebbe infatti parte del grande progetto per cui questo libro è nato ed è diventato tale e,
di fatto, parte della sua bellezza.
187
Lapa 1971.
93
Con la sezione relativa alle narrazioni contenute nel Nobiliario si è conclusa dunque la
prima parte di questo elaborato. Dopo aver analizzato quali siano stati i principali punti di
forza e le mancanze degli studi compiuti fin ora sui Libri dei Lignaggi, la seconda parte di
questo elaborato sarà dedicata allo studio di un caso particolare: la storia di re Sancho II.
L’approfondimento dedicato a questo argomento si dividerà in due momenti principali.
Innanzi tutto, si intende fornire una breve introduzione storica alla questione, presentando
la travagliata vicenda del re Capelo così com’è stata ricostruita a opera degli storici
contemporanei; in secondo luogo, si procederà con una più approfondita analisi dei
racconti contenuti in LL incentrati attorno a questo tema.
Lo studio di tali narrazioni permetterà di confermare quanto fin ora affermato
sull’importanza della comprensione della struttura dell’opera del conte di Barcelos. Si
tratta infatti di una serie di racconti situati in diverse sezioni del libro, che solamente se
letti nel loro insieme possono fornire un’ idea della vera complessità della vicenda di
questo re, la cui storia e le sue conseguenze sono state narrate in numerose opere e in
diverse forme, dalla lirica alla prosa. In questo caso, ci si limiterà ad analizzare le modalità
attraverso cui è riportata questa vicenda all’interno del Livro de Linhagens, dei punti di
vista che vi si trovano espressi e delle ideologie che questi portano con sé, preoccupandosi
però di fornire comunque in separata sede la possibilità di confrontare le narrazioni con
altri testi che ruotano attorno al medesimo tema.
L’appendice 1, infatti, riporta una serie di cantigas d’escarnho e maldizer scritte da tre
diversi trovatori per condannare il tradimento da parte di alcuni vassalli a re Sancho, in
quanto, anziché schierarsi a difesa del proprio signore, cedettero i loro castelli al conte
Afonso de Bolonha, diventando in questo modo traditori.
L’appendice 2, infine, contiene il testo integrale della bolla Grandi non immerito, con
la quale papa Innocenzo IV depose nel luglio del 1245 Sancho II, eleggendo al suo posto il
fratello Afonso de Bolonha e decretando così l’inizio della guerra civile che coinvolse il
regno di Portogallo dal 1245 al 1247
94
.
95
CAPITOLO IV.
LA STORIA DI SANCHO II: CENNI STORICI
Prima di trattare le fonti letterarie che raccontano la storia del re Sancho II, si è deciso in
questa sede di introdurre una breve sezione che riassuma gli aspetti principali della vita di
questo sovrano. Ci si trova di fronte in questo caso a una questione alquanto complicata: si
tratta infatti di un re deposto, allontanato dal suo regno, di cui le cronache, soprattutto di
origine clericale e nate per lo più solamente in seguito alla sua sconfitta, ci danno
un’immagine molto negativa, che parrebbe invece non coincidere appieno con alcune
descrizioni che di lui ci forniscono gli storici contemporanei e, a volte, con gli stessi dati
storici giunti fino ai nostri giorni.
A partire dal XIX secolo alcuni studiosi si sono dunque dedicati allo studio della figura
di questo re. Tra questi, si è deciso di confrontare le opere di Fr. Antonio Brandão188
e di
José Varandas189
, che sono parse particolarmente complete ed esaustive sull’argomento pur
presentando punti di vista a volte completamente differenti. Entrambe le monografie si
presentano di particolare interesse in quanto pongono per la prima volta una domanda
essenziale, sconosciuta agli storici precedenti: Sancho II era davvero il rex inutilis che per
molto tempo si è creduto che fosse?
1. IL REGNO DI AFONSO II (1211-1222)
Per poter comprendere appieno gli avvenimenti che hanno portato alla deposizione di
Sancho II è necessario innanzi tutto analizzare la situazione in cui il regno di Portogallo
versava negli anni della sua ascesa al trono.
Tutta la prima metà del XIII secolo fu caratterizzata infatti da una serie di violenti
conflitti basati su antagonismi di classe, all'interno dei quali una monarchia emergente
tentava di rafforzare il proprio potere a danno dei privilegi - e spesso degli abusi - delle
classi nobili e del clero.
Ne fu esempio perfetto il regno di Afonso II (1211-1222) che fu, dall'inizio alla fine,
un'incessante lotta contro le classi privilegiate, battaglia i cui principali aspetti furono: la
188
Brandão, 1946 , pp. 7-124. 189
Varandas 2009, pp. 5-94.
96
guerra civile del 1211-1216, i conflitti con l'alto clero e l'emanazione di un'ampia e severa
legislazione volta a limitare, se non eliminare, gli abusi della nobiltà.
La guerra civile ebbe origine a partire dall'interpretazione del testamento del defunto re
Sancho I. Questi lasciò infatti alle infanti alcuni beni che comprendevano, tra l'altro, gli
abitati dei castelli di Alenquer e Montemor-o-Velho, sui quali le infanti credevano di aver
ereditato l'intera autorità, compreso l'esercizio di prerogative sovrane. Sostenute da gran
parte della nobiltà e dal re di León, le sorelle di Afonso II sbaragliarono l'esercito regio, in
un momento in cui questo di vedeva particolarmente in difficoltà a causa della
contemporanea spedizione portoghese a Las Navas de Tolosa190
, che aveva privato il re
delle milizie municipali - che si sa parteciparono in gran numero alla battaglia contro i
mori. Fu solamente grazie all'intervento del papa Innocenzo III che la situazione si risolse a
favore di Afonso II, che arrivò dunque a ottenere una vittoria a metà, dovendo pagare una
serie di indennizzi alle sorelle che ottennero anche l'usufrutto delle rendite di quelle terre.
La vittoria politica ottenuta dal re fu comunque importante: trionfò infatti in
quell'occasione il principio che in quelle terre spettava al re esercitare le funzioni sovrane.
A seguito della guerra civile la lotta del re allo strapotere di nobiltà e clero prese corpo
in un insieme di provvedimenti legislativi. Subito all'inizio del regno Afonso II riunì nella
città di Coimbra un'assemblea di prelati, grandi feudatari e altri nobili, dando origine alle
prime Cortes portoghesi di cui ci è giunta notizia scritta191
. Gli storici contemporanei
mettono dunque in relazione la riunione delle Cortes con la promulgazione di
un’importante serie di leggi il cui obiettivo era la protezione dei beni della Corona, la
limitazione delle possibilità di commettere abusi da parte di funzionari regi e la garanzia
del rispetto delle libertà individuali192
. Di particolare importanza per il rafforzamento del
potere regio furono in particolare la promulgazione della legge della desamortização e la
creazione di inquirições e confirmações. La legge della desamortização in particolare
proibì l'acquisto di beni immobili da parte degli ordini religiosi; le inquirições erano
190
Battaglia che nel 1212 oppose l'esercito cristiano - formato da castigliani, aragonesi, catalani, ordini
militari e milizie comunali - alle truppe dei piccoli emirati del sud della Spagna unite a quelle marocchine
degli almohadi. 191
Si intende in questa sede porre particolare attenzione al fatto che siano le prime di cui ci giunge notizia
scritta in quanto si sa che la riunione di Cortes era una tradizione che apparteneva alla monarchia visigota e
il cui perdurare, quanto meno per la monarchia del León, può essere documentato già dal X secolo. Tali
Cortes erano riunioni della curia regia, ovvero dei baroni con cariche regie, dei grandi nobili, dei governatori
di terre, dei prelati e dei membri della famiglia reale. In base a una serie di diplomi emanati dalla cancelleria
del re Afonso Henriques, ove tutte queste figure firmarono come testimoni, si può supporre che riunioni di
tal genere si svolgessero anche durante il regno del primo re di Portogallo. 192
Tant'è che in alcune di esse si manifesta chiaramente l'intenzione di proteggere le classi popolari dalle
prepotenze della classe nobile, come per esempio di può vedere nella proibizione di acquistare generi a un
valore inferiore a quello effettivo.
97
inchieste effettuate da commissioni di funzionari regi che si spostavano di terra in terra per
indagare sulla situazione giuridica delle proprietà e sulle immunità e privilegi che i
rispettivi proprietari si arrogavano; le confirmações, infine, erano atti di convalida di
donazioni e di privilegi concessi in regni precedenti: tale convalida era concessa solo per
volontà regale o dopo aver esaminato i documento che provavano l'atto di convalida stesso.
Tali provvedimenti amministrativi, usati per la prima volta da Afonso II, si sarebbero
in seguito rivelati - soprattutto sotto i suoi successori - strumenti efficaci di difesa dei diritti
della Corona contro le costanti usurpazioni delle classi privilegiate.
Infine, anche i conflitti con il clero furono molto violenti. La politica del re infatti,
come si è accennato in precedenza, tendeva a limitare progressivamente le immunità di cui
godeva questa classe; ai provvedimenti di cui si è già trattato, si deve per altro aggiungere
la sottomissione degli ecclesiastici alla giustizia regia, imposizioni, agli abitanti delle terre
che appartenevano a monasteri e chiese, di corvées per le opere regie e, infine,
annullamento di donazioni e di altre acquisizioni di beni. Fu però solamente la questione
della colheita (raccolta) a far scoppiare il conflitto. La colheita era una prestazione in
generi alimentari, dovuta dalla popolazione del luogo in cui il re si trovava, destinata al
sostentamento del sovrano e della sua corte. Questa prerogativa aveva sicuramente
un'importanza pratica - in quanto il re e la corte giravano costantemente di terra in terra -
ma ancora più significativo era il suo valore politico, in quanto presupponeva che il re
fosse tale in qualsiasi parte del territorio, anche in quelle città e regioni che godevano di
immunità tributarie per il fatto di appartenere alla Chiesa o ai nobili. L'arcivescovo di
Braga tuttavia, convinto che le terre dell'arcivescovato non dovessero pagare la colheita,
iniziò una serie di contrasti con Afonso II che sfociarono nella scomunica del sovrano. Il re
inviò allora le sue truppe a invadere le terre dell'arcivescovo, mentre milizie clericali
provenienti dal nord devastarono le terre regie. Più di una volta la risoluzione della
questione fu sottoposta al papa, ma la contesa si protrasse fino alla morte del sovrano nel
1222.
2. SANCHO II (1222-1248)
Come si è appena visto, il regno di Afonso II è attraversato da una serie di importanti
cambiamenti imposti dal re, che avevano come principale obiettivo quello di rafforzare il
potere della corona rendendo il sovrano non più un primus inter pares – come era per lo
più stato fino a quel momento – ma un uomo dotato di un potere e di un’autorità superiore
98
a quella di tutti gli altri membri della nobiltà. Questo suo progetto si articolò, in particolare,
in una serie di provvedimenti rivolti a ridurre le immunità e i privilegi dei signori e dei
membri del clero: recupero e mantenimento per la corona del potere giudiziario;
imposizione della giustizia regia su meccanismi giudiziari tipicamente signorili ed
ecclesiastici; controllo dell’accesso nobiliare alle terre conquistate ai mori, e quindi, di
conseguenza, al prestigio che queste potevano concedere a coloro che le possedevano.
In questi nuovi processi di costruzione del potere regio i consiglieri di corte si
rivelarono un elemento chiave: è a partire da questi personaggi che nasce un nuovo
entourage reale formato in gran parte da giuristi, che si occupano della gestione dei più
importanti aspetti amministrativi e diplomatici del regno. Lo scopo principale di questo
nuovo gruppo sociale era essenzialmente quello di utilizzare l’arma del diritto per
difendere l’indipendenza del Portogallo e per dare forma all’immagine del monarca come
unico, forte e indiscutibile sovrano, nonché come guida del suo regno.
A partire dall’epoca di Afonso II dunque, il re non si afferma più solamente per la sua
forza in battaglia ma anche per la sua capacità di intervento politico e applicazione della
legge, in un contesto in cui sovranità e rispetto della giustizia assumono un valore quasi
complementare.
Non ci si poteva però aspettare che un così ambizioso progetto non avrebbe portato con
sé delle conseguenze. Né la nobiltà né il clero erano infatti pronti a rassegnarsi a una
progressiva perdita dei propri benefici e delle proprie prerogative a favore di un
rafforzamento del potere regale, e ciò era più che evidente già sotto Afonso II. I medesimi
problemi si presentarono dunque anche durante il regno del figlio, che, asceso al trono per
altro in giovane età, si ritrovò ad affrontare un periodo di profonda crisi e cambiamento,
caratterizzato dal progressivo sviluppo di una serie di dinamiche – sorte durante il regno
del suo predecessore – che si opponevano alla monarchia.
Ciò nonostante, i primi anni di regno di Sancho II sono ricordati dalle cronache come
generalmente tranquilli e caratterizzati da un buon governo del re e dei suoi consiglieri –
che per la gran parte rimasero gli stessi del regno del padre. Durante i suoi primi due anni
come sovrano in effetti il Capelo riuscì a dirimere una serie di questioni che per lungo
tempo avevano travagliato Afonso II, ovvero la contesa con le infante sue zie e quella con
l’arcivescovo di Braga. In particolare, nel 1223 la lotta intrapresa dalle infante per ottenere
i propri antichi benefici era stata appoggiata da gran parte della nobiltà, che aveva assunto
questa causa come bandiera per portare innanzi al re le proprie rivendicazioni. La continua
presenza di truppe leonesi mandate da re Alfonso IX nel nord del Portogallo – spedite negli
99
anni della contesa con il padre di Sancho e mai ritirate – convinse il giovane re e i suoi
consiglieri ad accettare in toto le richieste delle zie, concedendo loro tutto ciò che era stato
negato dal padre nella speranza di convincere Alfonso IX – ex marito di d. Teresa – a
ritirare i suoi contingenti. La firma dell’accordo con d. Sancha, d. Teresa e d. Mafalda
comportò dunque la cessione completa delle rendite sul territorio di Terras Vedras, in
cambio di un giuramento di fedeltà al re da parte delle tre donne; quest’azione però,
sfortunatamente, non ebbe gli effetti che il sovrano aveva sperato di ottenere: le truppe
leonesi infatti si stabilirono definitivamente in territorio portoghese, questa volta come
garanti del rispetto degli accordi presi tra le due fazioni.
Tale risoluzione comprese risvolti sia positivi che negativi: se anche infatti Sancho II e
i membri della sua corte – consci dei rischi che una presa di posizione da parte del sovrano
poteva causare – avevano evitato in questo modo lo scoppio di una guerra civile tra il re e
alcune famiglie nobili, avevano anche dato allo stesso tempo ai signori un significativo
segno di debolezza, in quanto la corona non era stata in grado di mantenere la sua
posizione e il suo potere nei confronti delle richieste dell’aristocrazia.
Altro forte colpo all’autorità regia – e allo stesso tempo altro passo compiuto con lo
scopo evitare lo scoppio di un conflitto interno – fu certamente l’accordo raggiunto dal re
con l’arcivescovo di Braga.
Come sei è visto nel paragrafo precedente, non solo molti membri del clero erano in
rotta col sovrano per il fatto che le nuove leggi potessero compromettere i loro antichi
privilegi, ma alcuni di loro rimanevano per altro profondamente legati alle proprie
famiglie, lignaggi che spesso si trovavano in rotta con la politica del sovrano. Certo, è
necessario precisare che questa non era una situazione in cui si riconoscevano gli
appartenenti agli ordini clericali in Portogallo: molti chierici, abati e vescovi, infatti,
seppero mantenersi neutrali nelle questioni politiche che coinvolgevano il sovrano e alcuni
loro fratelli, mentre altri invece addirittura appoggiavano la politica del re – come si può
vedere da alcune donazioni fatte già da Afonso II o dalle numerosissime concessioni
dispensate da Sancho agli ordini militari. Tuttavia, i problemi che una parte del clero
creava, soprattutto se otteneva l’appoggio del papa, sarebbero stati in grado di avere forti
ripercussioni sulla stabilità del regno.
Per ovviare a questo ennesimo rischio dunque, nel maggio del 1223, il re convocò
un’assemblea di nobili e alti prelati con lo scopo di mettere fine alla contesa che aveva
portato alla sepoltura del padre in terra non consacrata. Nel corso di questa riunione
Sancho II firmò un accordo suddiviso in dieci punti, all’interno del quale si impegnava a
100
rispettare le immunità e i privilegi del clero, in particolar modo fissando definitivamente
quelle che dovevano essere le relazioni tra i tribunali canonici e la corona: a partire da quel
momento infatti, in territori ecclesiastici la giustizia del re non avrebbe più avuto alcun
valore. A questo, si aggiunse inoltre il risarcimento da parte della tesoreria reale dei danni
fatti da Afonso II ai territori dell’arcivescovo di Braga.
Ancora una volta dunque il re aveva dovuto compiere un passo indietro rispetto alle
conquiste del padre, riconoscendo al clero una serie di libertà che gli erano state tolte negli
anni precedenti con lo scopo di aumentare il potere della corona. Allo stesso tempo però,
per quanto la sua autorità avesse subito indubbiamente un forte colpo, il giovane sovrano
era riuscito ancora una volta a evitare la nascita di nuovi conflitti che avrebbero
ulteriormente destabilizzato un regno in profonda crisi.
Ma se le cronache ricordano dunque questi avvenimenti come eventi unicamente
positivi, che hanno portato, seppur per un breve periodo, la pace nel regno, non si può non
sottolineare come questi abbiano avuto anche degli innegabili risvolti negativi almeno dal
punto di vista del sovrano; d’altronde però, i primi anni di regno non potevano non essere
pregiudicati dai problemi politici creatisi sotto Alfonso II, che avevano aumentano la
distanza e la frattura tra l’istituzione monarchica e le élites nobiliari ed ecclesiastiche.
Alcuni documenti conservati presso l’archivio della Torre do Tombo e analizzati
nell’opera di Fr. António Brandão193
raccontano come già nei primi tempi – dal 1223 – il
nuovo monarca attraversò buona parte del suo regno per assicurarsi personalmente che si
mantenessero in tutti i suoi territori la pace e la giustizia.
Fu invece solamente a partire dal 1225 che il sovrano si dedicò alla campagna contro i
mori. Già nello stesso 1225, Sancho II invase infatti l’intera contea di Elvas conquistandola
interamente, senza però arrivare a prendere la roccaforte, che cadrà dopo un lungo assedio
solamente nel 1226.
Alle fortuna in politica estera non se ne accompagnano tuttavia altre in politica interna:
gli anni che vanno dal 1224 al 1227 sono ricordati infatti dalle cronache come che vedono
il regno in balia delle lotte inter-nobiliari per ottenere maggior potere. Si tratta di un
periodo tumultuoso, di estrema confusione, che ruota soprattutto attorno alle lotte tra i
diversi signori e in cui merita particolare attenzione il continuo processo di sostituzione
che vediamo avvenire tra i membri della corte regia: elementi del lignaggi più importanti
lottavano per accedere a più alti incarichi politico-governativi presso la corte. Se infatti i
193
Brandão 1946, pp. 12-15.
101
primi anni di regno erano stati connotati da una sostanziale continuità – in quanto, come si
è visto, molti magnati e ufficiali regi in carica sotto Afonso II passarono direttamente al
servizio del figlio – in mano alla famiglia Sousa, a partire dal 1224 si registrano una serie
di continui cambiamenti negli incarichi di corte, sintomo di un periodo particolarmente
turbolento all’insegna di dispute tra famiglie nobili, che alimentavano all’interno delle loro
terre, ormai senza alcun controllo, la nascita di numerosi gruppi di banditi dediti alla rapina
e al saccheggio194
, in un clima costante di guerra interna.
Una serie di diplomi e carte relative alle riunioni dei concelhos dimostrano come a
tenere le redini del governo del paese siano in quegli anni i baroni che circondano e
consigliano Sancho II.
Nel 1226, la disfatta militare avvenuta presso la città di Elvas – che ne provoca la
definitiva perdita fino a che non sarà riconquistata nel 1230 – aggravò ulteriormente la
situazione: se fino ad allora questo re era stato infatti apprezzato soprattutto per le sue
imprese militari, questa sconfitta condusse molti nobili e prelati ad abbandonarlo,
cominciando segretamente ad appoggiare una possibile candidatura del fratello minore di
Sancho, Afonso, a re di Portogallo. La nascita presso molti lignaggi del germe della rivolta
è testimoniata da una prima sollevazione armata, che avvenne proprio nel 1226,
fortunatamente sedata da Martim Sanchez – zio del re – che entrò in Portogallo con un
distaccamento di truppe leonesi: d. Afonso, sconfitto con i suoi seguaci presso Trás-os-
Montes, fu costretto ad abbandonare il regno e a trasferirsi in Francia, ove, qualche anno
dopo, diverrà conte di Boulogne195
.
La progressiva incapacità del sovrano di controllare le azioni individuali dei suoi
signori – in quanto la vendetta privata sembrava di nuovo in grado di sovrapporsi alla
giustizia regia – non fece che aumentare la frattura tra il re e altre importanti fazioni della
nobiltà e del clero196
. Ciò nonostante, la vittoria ottenuta nel 1226 riuscì per breve tempo a
riportare la pace.
Degli anni successivi si sa che Sancho continuò la sua guerra contro il regno Andaluso:
nel 1229 conquistò la contea di Alentejo e nel 1230 prese possesso delle città di Jorumenha
e Serpa.
194
Evenienza questa confermata dal fatto che in questi anni si registra presso molte parrocchie la costruzione
di numerosi edifici fortificati nati con lo scopo di difendere i fedeli dagli attacchi dei banditi. 195
Afonso aveva infatti ottenuto la contea di Boulogne-sur-Mere per diritto di matrimonio nel 1230 c.a. 196
È infatti noto che molti prelati continuavano a lamentarsi presso la sede papale di come il re non riuscisse
a mantenere la pace nel regno, lasciando che i baroni usurpassero le loro terre.
102
Nel 1231, tuttavia, l’ennesimo grande errore politico mise nuovamente in crisi la
posizione già poco solida del sovrano. La morte del re di León Alfonso IX aveva posto
infatti quell’anno una serie di importanti problemi riguardanti la successione al trono, in
quanto questi, per evitare che il figlio del suo secondo matrimonio, Fernando III re di
Castiglia, acquisisse eccessivo potere, aveva indicato come sue eredi le due figlie della
prima moglie, zia di Sancho II. In seguito alla dipartita del sovrano tuttavia le due vedove
si accordarono privatamente, decidendo che le due sorelle, d. Sancha e d. Dulce, avrebbero
rinunciato ai propri diritti e che Fernando sarebbe diventato re di Castiglia e León, titolo
che venne da lui assunto nello stesso anno.
In tutto questo, la mancata presa di posizione da parte del sovrano portoghese fu per
molti davvero sconcertante. Sancho infatti non solo non difese i diritti delle due cugine –
che finirono la propria vita la prima in monastero e la seconda nubile presso la corte
portoghese – ma accettò anche di buon grado che un altro re iberico acquisisse un nuovo
regno e, di conseguenza, aumentasse a dismisura il proprio potere. Per quanto questa
decisione fu probabilmente presa in quanto il Capelo era convinto che non sarebbe stato
mai in grado di appoggiare eventuali rivendicazioni delle sue consanguinee a causa delle
problematiche interne che vessavano il suo regno, questo non valse ad evitargli altre
critiche, in quanto la firma nello stesso anno di un accordo con Ferdinando III fu
aspramente criticata da molti signori portoghesi che videro in questa azione nient’altro che
una nuova prova della debolezza del sovrano.
Degli anni successivi non si possiedono molte notizie, ma si sa per certo che d. Sancho
continuò la guerra contro il regno arabo di Andalusia. In quest’ambito, risulta di particolare
interesse una bolla papale spedita Gregorio IX – succeduto a Onorio III nel 1227 – nel
1232, all’interno della quale intimava i vescovi portoghesi a non vessare il sovrano,
impegnato nella guerra santa, con ulteriori problemi quali lamentele ed eventuali richieste
di scomunica. Questo documento fornisce due informazioni essenziali per comprendere lo
sviluppo del regno in quel periodo: innanzi tutto, che il re era impegnato in quegli anni
nella conquista dell’Andalusia e, in secondo luogo, che nonostante gli accordi presi nel
1223 vi erano ancora problemi con molti membri del clero, i quali si lamentavano di come
il re lasciasse impunemente che i nobili depredassero le loro terre e di come i giudici regi
interferissero, ancora, all’interno delle questioni nate in territori posti sotto la loro
giurisdizione.
In seguito, numerose donazioni di terre distribuite lungo il periodo che va dal 1232 e il
1234 confermano come le guerre contro gli arabi continuassero senza interruzioni,
103
portando nel 1235 alla conquista delle roccaforti di Aljustrel, Mértola e Justiel, tutte
donate dal monarca all’ordine militare di S. Tiago. Nel 1236 Sancho II conquistò la città di
Arronches e alcune terre nella regione di Riba de Coa, come testimoniato da una serie di
documenti che, oltre a narrare delle sue conquiste, dipingono il sovrano come un uomo che
sapeva come ben ricompensare coloro che gli erano fedeli, così come, allo stesso tempo,
punire coloro che non lo erano.
Negli anni successivi si registrano altri successi dell’esercito portoghese guidato dal
suo re: nel 1239 cade la città di Alfajar-de-Pena, mentre nel 1240 Cacela e Aiamonte sono
donate all’ordine di S. Tiago e a Paio de Correira, comandante dell’ordine militare e
cavaliere che guidò in seguito i portoghesi alla conquista di Correira e altri territori fino ad
arrivare a Silves nel 1242.
Ancora una volta però la conquista di nuovi territori non fu in grado di attirare sul
sovrano le simpatie di tutti i suoi sudditi. Già nel 1238 infatti le continue lamentele
dell’arcivescovo di Braga riguardanti lo stato in cui versava il regno, le continue
usurpazioni dei baroni e l’intromissione della giustizia regia in territori ecclesiastici,
spinsero papa Gregorio IX – che, come si è già visto, aveva tempo addietro appoggiato la
politica espansionista di Sancho proteggendolo – a inviare al re una bolla nella quale lo
intimava a rimettere al più presto ordine nel suo territorio, nonché a svolgere
adeguatamente il suo ruolo di regnante amministrando saggiamente la giustizia – ovvero
riportando ordine – e difendendo la Chiesa.
Il re Capelo tuttavia non si dimostrò in grado di controllare i suoi signori come gli era
stato richiesto, e, di conseguenza, di evitare che si scatenassero nel regno numerose guerre
intestine, con il risultato di vedere sempre più ridotta la sua base d’appoggio.
Cominciarono a schierarsi contro il re diverse tra le più influenti famiglie del regno, le
quali nonostante la loro fedeltà non si sentivano abbastanza ricompensate in terre, rendite o
altri benefici: tra questi lignaggi si annoverano i Sousa, i Baião, i Ribeira, i Valadares e
altre famiglie di cavalieri come i Porto Carreiro e i Briteiros.
Le cronache tendono ad attribuire le colpe di tutte le disgrazie che subì il regno in
questi anni a una totale incapacità del re e a una sua completa mancanza di iniziativa dal
punto di vista politico e ideologico, un vuoto che aprì il cammino alla rivolta dei grandi
signori e alla nascita di focolai di resistenza. Tali fonti, per lo più di origine clericale, si
caratterizzano infatti per presentare l’immagine di un re, fiacco, fisicamente fragile e
mentalmente facile da influenzare, un’idea rafforzata anche nel presentare il ruolo avuto
dalla moglie e dai suoi consiglieri nella sua vita.
104
Anche le circostanze del suo matrimonio vengono infatti spesso riportate nelle
cronache come ulteriore prova della sostanziale inanità del re, in quanto frutto di cattivi
consigli seguiti, per di più, senza che questi fossero in linea con il suo volere, dimostrando
dunque ancora una volta una certa debolezza di spirito197
.
Allo stesso modo, già a partire dalla quarta Crónica Breve198
il sovrano è descritto
come un uomo circondato da cattivi consiglieri che approfittavano dell’ingenuità del re per
fare tutto ciò che volevano e sui quali ricadeva dunque la vera colpa per il caos in cui
versava il regno.
All’interno del quadro disegnato da queste fonti tuttavia, manca il ruolo svolto da
quella che in realtà fu la più importante forza di opposizione politica: la Chiesa. I più gravi
problemi del regno furono infatti causati dai cattivi rapporti che il re intratteneva con
numerosi membri dell’altro clero i quali, nel 1245, preoccupati di perdere le proprie
immunità a causa della continua interferenza regia, si adoperano in tutti i modi per ottenere
un intervento decisivo da parte del papa.
Se si adotta un punto di vista più ampio, si può vedere dunque come Sancho II finisca
col soccombere dinanzi a un poderoso gioco di influenze nobiliari ed ecclesiastiche,
sviluppatosi lungo tutto il regno e alimentato dai numerosi conflitti inter-nobiliari e con i
membri del clero, che si rivelano infine i veri responsabili delle turbolenze utilizzate dalla
storiografia per giustificare la deposizione di questo re considerato inutile.
Da molto tempo il paese si trovava sull’orlo di una guerra civile, e la bolla papale del
1238 non fece altro che far precipitare la situazione. Fu così che nel 1245 alcuni membri
dell’alto clero199
accompagnati da alcuni nobili e membri dei concelhos si recarono da
papa Innocenzo IV – eletto nel 1243 dopo la morte di Gregorio IX nel 1241 – a Lione, per
presentare al vescovo di Roma la situazione del regno, chiedere la deposizione del sovrano
e proporre al suo posto il fratello Afonso, ora conte di Boulogne-sur-Mere. Le preghiere
dei delegati furono ascoltate, e il 24 luglio del 1245 la bolla Grandi non immerito depose
ufficialmente Sancho II dal suo incarico, affidando il regno, come richiesto, al fratello
Afonso, cui tutto il popolo di Portogallo doveva ora obbedienza.
Coloro che parteggiavano per il giovane conte presero subito le armi e si rivoltarono
contro il re.
197
D. Micia, per altro, non era ritenuta da tutti una donna all’altezza della carica che sarebbe venuta a
occupare. 198
La prima cronaca che fornisce un’immagine di questo re, la edizione è stata pubblicata a cura di Fernando
Venâncio nel 2000 (Venâncio 2000). 199
L’arcivescovo di Braga e i vescovi di Coimbra e Porto.
105
Il primo scontro avvenne nel nord del regno nell’agosto del 1245, presso la città di
Gaia, tra le milizie del re e i rivoltosi capitanati da Rodrigo Sanches. Lo scontro finì a
favore di Martim Gil de Soverosa, vassallo fedele a re Sancho.
Nel settembre dello stesso anno Afonso accettò ufficialmente il nuovo incarico
firmando a Parigi un documento in cui si impegnava a riportare e mantenere la pace,
rispettando e difendendo i diritti della Chiesa e i buoni costumi dei tempi dei suoi avi dopo
la crisi portata dal padre e dal fratello. Dopo aver lasciato alla moglie la gestione della
contea di Boulogne, il conte sbarcò a Lisbona gli ultimi giorni del 1245, ottenendo subito
l’appoggio del popolo, che venne in seguito ricompensato attraverso la concessione di
numerosi privilegi; solamente il vescovo della città provò a opporre resistenza – a
dimostrazione di come, ancora una volta, non tutti gli appartenenti al clero concordassero
con le decisioni del papa e dell’arcivescovo di Braga – ottenendo però scarsi risultati. Le
città di Santarém, Alemquer, Torres Novas e Tomar si schierarono subito con il nuovo re,
la cui avanzata si rivelò estremamente veloce fino a Óbido, che necessitò di un lungo
assedio prima di cadere nelle sue mani. Da quel momento in poi le truppe del conte si
stabilirono a Leiria in attesa di fronteggiare l’esercito del re deposto, riunitosi con quello
dei suoi sostenitori, radunato presso la roccaforte di Coimbra. Il confronto tra le due
fazioni, asserragliate nelle rispettive città, fu lungo, violento e sanguinario.
La situazione era giunta a un empasse, ma quando cominciò a correre voce che un
esercito castigliano fosse pronto a supportare Sancho II con un’invasione dal nord Afonso
si rese conto che il suo esercito non era abbastanza organizzato da poter combattere più di
un nemico alla volta.
La priorità del conte divenne in quel momento quella di bloccare ogni iniziativa del
fratello: decise dunque di rapire la regina d. Micia, che, a seguito di un’incursione
nell’accampamento nemico, venne portata nella città di Ourém. In questo modo Sancho fu
costretto a spostare presso questa città parte delle sue truppe provocando un forte squilibrio
nei suoi schieramenti, esattamente come aveva pianificato il conte. A seguito di
quest’azione, il re perse onore e iniziativa e il morale delle truppe che lottavano per la
resistenza calò drasticamente; da questo momento in poi il Capelo non fu più in grado di
opporsi all’avanzata del fratello e fu costretto a ritirarsi presso le frontiere.
106
A Sancho II non rimaneva ormai altra alternativa che chiedere aiuto al re di Castiglia,
Fernando III200
, il quale gli concesse aiuto inviando un contingente del suo esercito
comandato dal figlio Alfonso (futuro Alfonso X).
Preoccupato da questa svolta, il conte di Boulogne inviò emissari all’infante Alfonso
con lo scopo di presentare la sua situazione, sostenendo dunque che non era un usurpatore,
che stava agendo seguendo quanto gli era stato ordinato Papa e che la sua autorità era stata
riconosciuta dal re di Francia, nonché da molti portoghesi. Allo stesso tempo, il conte spedì
una serie di missive al papa pregandolo di intercedere per lui presso il sovrano castigliano,
azione grazie alla quale riuscì a ottenere il risultato desiderato: Innocenzo IV minacciò
l’esercito e Fernando III di scomunica.
Il sovrano di Castiglia ordinò dunque, a seguito di queste minacce, di ritirare le sue
truppe portando con sé Sancho II per evitare che venisse catturato. L’esilio forzato del re
Capelo non comportò tuttavia la fine della guerra civile: molti nobili, tra cui estremamente
famosi divennero i signori di Celorico e Coimbra, rimasero fedeli al re legittimo fino alla
sua morte e nel nord del Portogallo, nella regione di Beira, gli eserciti riuniti da Martim Gil
de Soverosa continuarono a resistere. Questa situazione perdurò fino al gennaio del 1248,
quando, forse di lebbra come il padre, Sancho II morì a Toledo.
L’immagine che molte cronache ci lasciano di questo re, come si è visto, è
essenzialmente quella di una persona molto fragile, tanto fisicamente quanto mentalmente,
immagine che però non sembra per nulla coincidere con quella del vigoroso guerriero
presentata dagli storici a lui contemporanei. Quello che spesso si dimentica tuttavia è che
queste cronache sono nate per lo più in seno alla forza politica che, più di tutte, aveva
creato problemi durante il regno di Sancho, portando infine alla sua detronizzazione: la
Chiesa. I membri del clero sono i maggiori responsabili di una sostanziale alterazione della
memoria storica volta a creare un’immagine distorta di questo re – la cui politica, insieme
a quella del padre, aveva per lungo tempo minacciato le immunità di questo gruppo sociale
– attraverso tre iniziative importanti: la creazione di prove documentarie destinate a
presentare il Capelo come un re inutile, la realizzazione di opere volte a esibire il contrasto
tra il buon governo di Afonso III e il caos generato dal fratello e, infine, l’elaborazione di
un modello ideologico destinato a supportare la politica del conte di Boulogne, dipinto
come un buon sovrano, legittimando in questo modo il recupero di vecchio modello di
200
Re con il quale, si ricordi, aveva siglato una serie di accordi di pace qualche anno prima, in occasione
della sua ascesa a re di León.
107
gestione dello stato soprattutto, ovviamente, per quanto riguardava il rapporto tra questo e
la chiesa.
In seguito alla morte di Sancho II il regno visse un momento di pace, in quanto,
finalmente, Afonso III fu riconosciuto come re legittimo da tutti i portoghesi – non avendo
avuto il fratello maggiore alcun erede che potesse aspirare al trono. Quello che si trovava
di fronte il nuovo re era sicuramente un regno da ricostruire, ma dalla sua parte aveva un
elemento fondamentale che gli avrebbe permesso di promuovere una serie di riforme
senza, questa volta, incontrare troppa resistenza: la guerra civile che aveva devastato il
Portogallo nei tre anni precedenti aveva infatti reso evidente la necessità di un potere
centrale, e dunque di un re, forte, che fosse accettato da tutte le élites e in grado di tenere le
redini del regno.
Infine, si ritiene necessario specificare che i problemi affrontati da Sancho II in
Portogallo non erano estranei al resto d’Europa, che stava, anzi, affrontando le medesime
battaglie. Tutti i regni cristiani stavano infatti vivendo in quel momento un periodo di
profonda tensione con la Chiesa, nel tentativo di limitare lo strapotere del clero nonché le
relative immunità di cui esso godeva all’interno dei loro territori – ne è esempio lampante
la storia dell’imperatore Federico II, due volte scomunicato. Erano anni quelli in cui si
stava decidendo quale potenza tra lo stato laico e la Chiesa dovesse avere il compito
guidare le sorti e lo sviluppo dei vari regni cristiani, ed è più che evidente che, nel caso di
Sancho II, vinse la Chiesa.
Questo tuttavia non implica che non esistessero pareri discordi: se infatti molti nobili si
rivolsero al papa per deporre il Capelo, o comunque accettarono le sue direttive senza
opporvisi, il fatto che alcuni signori decisero di difendere il proprio re implica che alcuni di
essi pensassero che la Chiesa non dovesse intromettersi nei rapporti di tipo vassallatico che
legavano i capi dei lignaggi al proprio sovrano. Secondo tale prospettiva, il legame di
fedeltà che univa un vassallo al proprio re era da considerarsi sacro, e in quanto tale
doveva essere sempre rispettato; un monarca sarebbe rimasto tale fino a quando non fosse
stato deposto dai suoi vassalli, e il papa non aveva il diritto di decidere per loro se un
sovrano fosse o meno adatto a governare.
È difficile dunque fornire un’immagine univoca di questo re, in quanto diverse fonti
presentano un personaggio sfaccettato vissuto in un periodo troppo turbolento, vessato da
problemi che risalivano ai regni precedenti e in cui si opponevano diverse ideologie,
diversi punti di vista di fronte a cui il sovrano non ha potuto che soccombere.
108
Per una più semplice e immediata consultazione dei dati forniti all’interno di questo
paragrafo si è deciso di inserire un breve riassunto delle tappe essenziali della vita di
Sancho II:
1222: morte di Afonso II e ascesa al trono del figlio tredicenne Sancho II
1223: il giovane re firma due accordi, il primo con le infante sue zie – in cui
assicura loro le rendite sul territorio di Terras Vedras – il secondo con
l’arcivescovo di Braga – in cui promette di rispettare le immunità del clero
all’interno del regno.
1225: d. Sancho da inizio alla guerra contro i mori e conquista la contea di Elvas.
1226: conquista e perdita della città di Elvas. La sconfitta del re provoca una prima
rivolta armata, che venne però presto sedata da Martim Sanchez, zio del sovrano.
1227: morte di papa Onorio III, gli succede Gregorio IX.
1229: continua la guerra contro il regno andaluso, la provincia di Alentejo è invasa
da truppe portoghesi.
1230: conquista di di Jorumenha, Serpa e riconquista di Elvas.
1231: la morte del re Alfonso IX di León crea una contesa per questioni ereditarie
tra le figlie del suo primo matrimonio – cugine di Sancho – e Fernando III di
Castiglia, figlio della seconda moglie del sovrano leonese. Un accordo tra le due
vedove porta il sovrano castigliano ad assumere la corona di León senza che il re
portoghese opponesse alcuna resistenza.
1232-1234: continua la guerra contro i mori.
1235: Sancho II dona le città di Aljustrel, Mértola e Justiel appena conquistate
all’ordine militare di S. Tiago.
1236: il sovrano portoghese prende la città di Arronches e alcune terre nella regione
di Riba de Coa.
1238: a seguito di numerose lamentele sulla situazione caotica in cui versava il
regno di Portogallo, Gregorio IX invia una bolla a Sancho II intimandogli di
riportare l’ordine all’interno dei suoi territori.
1239: il sovrano dona Alfajar-de-Pena all’ordine di S. Tiago.
1240: cadono in mani portoghesi le città di Cacela e Aiamonte.
1242: guidato da Paio de Correa – comandante dell’ordine di S. Tiago – l’esercito
portoghese conquista Tavira e numerosi altri territori fino a Silves.
109
1241: morte di Gregorio IX, papa che simpatizzava per Sancho II. Al suo posto è
eletto Innocenzo IV nel 1243.
1245: i continui sconti interni tra membri della nobiltà e del clero aumentano il caos
in cui già da molto tempo versava il regno. L’incapacità di Sancho di gestire la
situazione convince una delegazione di nobili, membri dei concelhos e alti prelati a
rivolgersi al papa per chiedere la deposizione del sovrano. Innocenzo IV decide di
accettare le loro richieste: il 24 luglio del 1245 il Capelo è detronizzato dalla bolla
Grandi non Immerito; al suo posto è eletto re il fratello minore di Sancho, Afonso
conte di Boulogne-sur-Mere. Negli ultimi giorni dell’anno il conte sbarca a
Lisbona, città che lo accoglie immediatamente come nuovo re di Portogallo
1246-1247: gli eserciti di Afonso e Sancho II si affrontano in una sanguinosa e
lunga guerra civile. Messo alle strette, il re deposto è costretto a chiedere l’aiuto di
Fernando III di Castiglia, che invia in suo soccorso un contingente capitanato
dall’infante Alfonso. La minaccia di scomunica inviatagli da papa Innocenzo IV
convince però il sovrano castigliano a ritirare le sue truppe, che tornano a Toledo
portando con sé il Capelo.
1248: il 4 gennaio il re Sancho II muore in esilio a Toledo, mettendo fine alla
guerra civile e dando modo al fratello Afonso (ormai Afonso III) di succedergli al
trono e di essere riconosciuto all’unanimità come nuovo sovrano di Portogallo.
110
3. LA DINASTIA ALFONSINA
D.Teresa Condessa Portucalense
C
D. Henrique de Borgonha Conde Portucalense
D. Afonso Henriques (1109-1185)
D. Matilde
de Mouriana
D. Sancho I (1154-1211)
D. Dulce
di Barcellona
D. Afonso II (1186-1222)
D. Teresa
Lourenço
D. Sancho II (1209(?)-1248)
D. Dinis (1261-1325)
D. Afonso IV (1291-1357)
D. Afonso III (1214(?)-1279)
D. Pedro I (1320-1367)
D. Fernando (1345-1383)
D. Urraca
di Castiglia
D. Leonor
Teles
D. Beatriz
di Castiglia
D. Costança
Manuel
D. Beatriz
di Castiglia
D. Isabel
d’Aragona
D. Micia
Lopes
D. Beatriz D. João I II Dinastia
111
CAPITOLO V
LA VICENDA DI SANCHO II NEL LIVRO DE
LINHAGENS
Dopo aver studiato la vicenda storica di re Sancho si passerà ora ad analizzare le
narrazioni di LL che ruotano attorno alla storia di questo personaggio.
Posto in conclusione di questo elaborato, tale lavoro permetterà di dimostrare
attraverso un’esempio concreto come la struttura del Livro de Linhagens possa essere
estremamente complessa, in grado di accogliere pareri differenti e opposti pur mantenendo
la sua sostanziale unità. Si mostrerà dunque infine, attraverso questa storia, quella che si
ritiene essere la vera bellezzadi quest’opera, che consiste nel suo essere costantemente
attraversata da nuove e inaspettate sfaccettature nella sua omogeneità.
1. SANCHO II, O CAPELO
La sezione di testo relativa alla vita di Sancho II si trova ovviamente inclusa nel
capitolo VII di LL, dal titolo «DO CONDE DOM MONIDO, DONDE DECENDEM OS
REIS DE PORTUGAL DE ŨA PARTE, PROCEDENDO AO DIANTE, E DOS OUTROS
QUE DELE DESCENDEROM»201
. All'interno di questa sezione dell'opera troviamo
dunque elencati tutti i re di Portogallo, la cui origine si fa risalire al conte d. Monido della
stirpe dei Goti, che da Roma si portò in Galizia «cuidando a ser rei»202
in un non precisato
passato.
Da questo punto di vista è particolarmente interessante notare come tale d. Monido non
sia però un antenato del primo re di Portogallo, Afonso Henriques, quanto piuttosto di sua
moglie. Le prime pagine del capitolo – da 7A1 a 7A18 – sono infatti occupate dal
lignaggio della famiglia di d. Mafalda Manrique, che si rivela particolarmente antica ed
importante per i legami intessuti con le grandi famiglie e le casate reali di tutta la penisola
iberica, dai Lara, ai Casto, ai Maia. È solamente all’altezza di 7A19203
che vediamo
201
LL 7A1, p. 119. 202
LL 7A1, p. 119. 203
Che inizia con un’interessante rubrica: «COMEÇA PORTUGAL: E FALA D’EL REI DOM AFONSO
ANRIQUEZ, O PRIMEIRO REI DE PORTUGAL, E DO QUE SE FEZ NO TEMPO DE SEU REINADO, E
112
comparire per la prima volta una menzione alla famiglia di re Afonso, senza però vi siano
ulteriori approfondimenti sulla sua genealogia: «Esta dona Mafalda Manriquez foi casada
com dom Afonso Anriquez, que foi filho do conde dom Anrique e da rainha dona Tereija,
filha d’el rei dom Afonso, o que filhou Toledo a Mouros»204
; tolte queste poche righe non
si hanno ulteriori specificazioni al riguardo, e a partire dal paragrafo successivo – 7B1, in
cui è possibile anche notare un, ovvio, cambio nella lettera che designa la famiglia di
discendenza205
– si comincia a delineare l’intera genealogia dei re di Portogallo,
discendenti di Afonso Henriques206
.
Come si è visto in precedenza207
, per quanto riguarda la fonte di tale capitolo si è oggi
comunemente concordi nell'accettare l'ipotesi suggerita da Catalán Menéndez Pidal nel suo
lavoro del 1962208
, ovvero che tale opera fosse la Crónica galego-portuguesa de Espanha e
Portugal, attualmente perduta e databile intorno alla fine del XIII secolo.
Si presenta dunque ora la parte riguardante Sancho II, introdotta e da quella del padre e
seguita da quella del fratello di modo da poter confrontare questa sezione con il contesto
all’interno del quale è inserita209
:
210D'EL REI DOM AFONSO, TERCEIRO DE POR-
D’EL REI DOM SANCHO, SEU FILHO, SEGUNDO REI DE PORTUGAL, E DOS FILHOS QUE
HOUVE» LL 7A19, p. 123. 204
LL 7A19, p. 123. 205
Secondo il metodo di suddivisione del contenuto di LL elaborato da Mattoso e spiegato a p. 17 206
La decisione di principiare il capitolo riguardante la genealogia dei re di Portogallo introducendo innanzi
tutto la famiglia della moglie del primo re, e non quella del re stesso, è alquanto singolare e densa di
significato. All’interno dei primi paragrafi di questo capitolo si scopre infatti come la famiglia di d. Mafalda
sia appartenente a un’antica nobiltà, risalente addirittura all’epoca del regno goto; in seguito, questo
lignaggio si arricchisce sempre di più intessendo legami con le famiglie più nobili dell’intera penisola,
rapporti e unioni che accrescono dunque il prestigio della casata. All’interno di un capitolo dedicato alle
genealogie dei re di Portogallo la rilevanza assolutamente unica data alla famiglia della moglie di Afonso,
unita a un’attenzione per questo lignaggio che supera addirittura quello del re stesso è un fatto decisamente
degno di nota, soprattutto all’interno di quest’opera. Come si è visto nei capitoli precedenti, il XIII è un
secolo all’interno del quale una nobiltà in crisi cerca di rinnovarsi apportando cambiamenti essenziali alla sua
struttura. Tra questi, vi è anche quello importantissimo che riguarda la successione e il computo della
parentela, che avvengono, a partire da questo momento, non più per via cognatica – dando dunque pari
rilievo ai parenti sia dell’uomo che della donna – ma per via esclusivamente agnatica – dando rilievo solo ai
parenti della parte maschile della coppia –, un cambiamento che si rispecchia anche nella stesura di opere di
tipo lignagistico come questa, in cui vediamo, generalmente, una maggior attenzione per le successioni in
linea maschile. Ci troviamo dunque in questo caso di fronte a una delle ormai rare occasioni in cui si mettono
in evidenza legami di parentela di tipo cognatico e, cosa ancora più importante, in cui la famiglia della donna
è “utilizzata” come fonte di prestigio e legittimazione per il nuovo lignaggio in formazione, ancor più di
quella dell’uomo, come avveniva nei secoli precedenti a partire dall’epoca tardo-antica. Rimane dunque
traccia in questo capitolo di forme di parentela e di computo della stessa che si andavano ormai superando già
a partire dal XIII secolo e che lentamente scompariranno in tutta Europa. 207
vedi p.48 208
Catalán Menéndez Pidal 1962, pp. 207-288. 209
Solamente la porzione di testo relativa al Capelo sarà però tradotta in questa sede, in quanto unico
argomento approfonditamente analizzato nel capitolo.
113
TUGAL, E DESTE NOME O SEGUNDO, E D'EL
REI DOM SANCHO, SEU FILHO, QUE SE DISSE
CAPELO. Reinou seu filho despos el dom Afonso,
que foi mui boo cristão no começo, mais n'acima
foi peor. Este gaanhou Alcacer e outros castelos.
E casou com a rainha dona Orraca, filha d'el rei
dom Afonso, o que venceo a batalha de Muradal, e
ouve dela o ifante dom Sancho e o ifante dom Afonso,
que foi conde de Bolonha, e o ifante dom Fernando
de Serpa, e a ifante dona Leanor que casarom com
o filho d'el rei de Marces.
211E reinou este rei dom Afonso doze annoi, e morreo
este rei e sotterrarom-no em Albobaça.
212Reinou seu filho dom Sancho, e começou mui bem
de seer mui boo rei e de justiça, mais houve maos
conselheiros e des ali adiante nom fez justiça213
. E saio
de mandado da rainha dona Biringuela, sa tia, e
casou-se con Micia Lopez, e des ali foi pera mal.
E os bispos e os arcebispos e os abades beentos e
os outros prelados todos da Sancta Egreja, quando
esto virom, houverom seu acordo de o enviarem mos-
trar ao Papa. E foi la o arcebispo de Bragaa e o bispo
de Coimbra, meestre Teburça, e disserom-no
ao apostoligo que nom aviam rei, porque el nom
façia justiça. E disse o papa: « Qual rei quiserdes,
tal filhade, que seja natural do reino e saiba fazer
justiça?214
». E disserom: «Padre Santo, pidimos-te o
conde de Bolonha dom Afonso». E o papa outor-
gou-lho.
215E veo o conde e tolheo o reino a seu irmão, e quan-
tas // boas vilas i havia [todalas tomou], que nom
ficou senom Coimbra. E esta nom ficou senom por-
que nom foi i o conde, ca se i veera, assi a filhara
como as outras. E des i enviou el rei dom Sancho
ao ifante dom Afonso, folho d'el rei dom Fernando
Regnò suo figlio don Sancho, e cominciò molto
bene a essere un re molto buono e giusto, ma ebbe
cattivi consiglieri e da lì in poi non amministrò più
bene la giustizia. E disobbedì alla regina donna
Biringuela, sua zia, e si sposò con Micia Lopez, e
da quel momento agì male.
E i vescovi e gli arcivescovi e gli abati benedetti e
tutti gli altri prelati della Santa Chiesa, quando
videro ciò, si accordarono di dimostrarlo al Papa. E
andò lì l’arcivescovo di Braga e il vescovo di
Coimbra, maestro Teburça, e lo dissero al Papa che
non avevano re, perché non amministrava la
giustizia. E disse il Papa: «Quale re vorreste,
accettato ciò, che sia originario del regno e sappia
amministrare la giustizia?». E dissero: «Padre
Santo, ti chiediamo il conte di Bolonha don
Afonso». E il Papa glielo concesse.
E venne il conte e tolse il regno al fratello, e quante
buone città aveva lì [le prese tutte], che non rimase
se non Coimbra. E questa non rimase se non perché
non fu lì il conte, che se fosse andato lì, così
l’avrebbe presa come le altre. E da lì inviò
210
7C5 211
7C6 212
7C7 213
Si è deciso in questo caso di tradurre il sintagma «fazer justiça» in due modi diversi per evitare ripetizioni. 214
Trattandosi evidentemente di una domanda si è deciso in questo caso di inserire nel testo copiato
dall’edizione di Mattoso il simbolo grafico pertinente. 215
7C8
114
de Castela e de Leom, que mandasse por ele, e foi
alá com grande cavalaria e levou-o consigo pera
Castela,e morreo e sotterrarom-no em Toledo.
216D'EL REI DOM AFONSO DE PORTUGAL, QUE
FOI CONDE DE BELONHA, FILHO D'EL REI
DOM
AFONSO E IRÃO D'EL REI DOM SANCHO. El
rei dom Afonso foi mui boo rei e justiçoso, e manteve
sempre seu reino em paz e sem contenda nem ūa.
E casou com dona Beatriz, filha d'el rei dom Afonso
de Castela e de Leom; e houve dela filhos, o ifante
dom Dinis e o ifante dom Afonso e a ifante dona
Branca, que morreo nas Olgas de Burgos, onde foi
sempre senhora, e i jaz, ca nunca quis seer casada.
E morreo el rei dom Afonso na era de mil CCCXVII
annos e sotterrarom-no em Alcobaça.217
[messaggieri] il re don Sancho all’infante don
Alfonso, figlio del re don Fernando di Castiglia e
León, che comandasse per lui218
, e fu lì con molta
cavalleria e lo portò con sé in Castiglia, e morì e lo
seppellirono a Toledo.
Già a un primo sguardo salta subito all’occhio come la narrazione riguardante re
Sancho sia ben più estesa rispetto a quella del padre e del fratello. Se dunque storicamente
sia indubbio che il regno di Afonso II non è stato meno denso di eventi militari e politici di
quello del figlio – né meno travagliato nei rapporti con i membri del clero – è logico
concludere che una tale estensione sia dovuta al fatto che le vicende che hanno portato alla
detronizzazione e all’esilio di Sancho II abbiano colpito in maniera particolare
l’immaginario di molti nobili e letterati del XIII e XIV secolo. La volontà di dare maggior
rilievo alla sezione dedicata a questo re è per altro evidente nella decisione di inserire nel
testo un discorso diretto, modalità di conduzione del discorso che di rado si ritrova nei libri
dei lignaggi e ne contraddistingue per lo più le sezioni narrative – di cui questa, data la
relativa estensione e l’interesse particolare dimostrato dall’autore, potrebbe, in caso,
entrare a far parte219
.
Per quanto tuttavia si tratti di una sezione maggiormente estesa rispetto a quella che la
precede e a quella che segue, la storia di Sancho è in ogni caso raccontata con estrema
brevità, sorvolando su molti dettagli che hanno contraddistinto la sua vita e, soprattutto, il
216
7C9 217
LL, Vol I, pp. 128-129. 218
Si è scelto di porre a testo questa traduzione sebbene a livello sintattico il testo si presenti decisamente
poco chiaro. Un’alternativa potrebbe anche essere “E quindi inviò Don Sancho [ambasciata] all’infante Don
Afonso […] che lo sollecitasse”. 219
Non si trova infatti inserita all’interno dell’elenco di narrazioni stilato da Mattoso nei suoi volumi dedicati
all’argomento (Mattoso 1981 e Mattoso 1984).
115
periodo successivo alla sua deposizione. Sebbene questo non debba stupire all’interno di
un’opera genealogica – il cui obiettivo non è certamente quello di dedicare a ogni re una
biografia particolareggiata – appare comunque singolare il mancato riferimento a
determinati fatti che furono essenziali nell’arco della vita del sovrano, e in particolar modo
al ruolo giocato dalla classe nobiliare nelle faccende del regno, semplicemente accennato
all’inizio della narrazione. Poche righe infatti sono dedicate ai primi anni del regno di
Sancho II, pochissime parole in cui vediamo concludersi ogni riferimento al ruolo giocato
dai signori nelle vicende che hanno portato alla deposizione del re legittimo: «e começou
mui bem de seer mui boo rei e de justiça, mas houve maos conselheros, e des ali adeante
nom fez justiça»; questo breve accenno certo non rende giustizia all’importanza rivestita da
molti nobili nelle questioni politiche che hanno determinato l’andamento del regno di
Sancho, per quanto sia lasciato comunque intendere quanto il loro contributo sia stato
determinante nella svolta che portò, in seguito, alla detronizzazione del sovrano220
.
Se dunque i membri della classe signorile portoghese appaiono in questa narrazione
solo in quanto consiglieri – buoni o cattivi che siano – un ruolo ben più determinante
sembra essere svolto dal clero, che appare significativamente come unico promotore della
deposizione di Sancho II. Una parte della narrazione infatti è incentrata esclusivamente
sulle azioni svolte dai membri della Chiesa nella vicenda, arrivando a occupare dunque
quasi la metà dell’intera sezione: ben 11 righe su 25 totali. Da questo punto di vista, è
particolarmente interessante notare come i fatti storici siano alterati per fare di abati,
vescovi, arcivescovi e prelati gli unici protagonisti degli eventi che hanno portato
all’ascesa di Afonso III a quinto re di Portogallo. Se le fonti storiche rivelano infatti che
numerosi membri della nobiltà e dei consigli comunali parteciparono all’ambasceria presso
la Santa Sede – volta a presentare al Papa la caotica situazione del regno – la narrazione
contenuta in LL non fa alcuna menzione a questi personaggi: sono solamente «os bispos e
os arcebispos e os abades beentos e outros prelados todos da Sancta Egreja» che si
trovarono di comune accordo nel presentare la questione al vescovo di Roma, e allo stesso
modo sono nominati soltanto due membri dell’alto clero – l’arcivescovo di Braga e il
vescovo di Coimbra221
– come nunzi inviati presso la sede papale.
220
Sull’importanza rivestita dai membri della classe nobile nel loro ruolo di consiglieri del re si discuterà
tuttavia in maniera più approfondita in seguito, dopo aver analizzato il racconto relativo a João Pires de
Vasconcelos. 221
Che compaiono all’interno della bolla Grandi non immerito come coloro che avranno il compito di
riportare il decreto papale in Portogallo: «Alioquin venerabilibus fratris nostris Brachaen archiespiscopo et
episcopo Colimbriem damus nostris litteris in praeceptis» (Innocenzo IV 1245).
116
Infine, vediamo ancora una volta sminuito, se non addirittura annullato, il ruolo nella
classe nobiliare nella mancata menzione alla crisi politica che seguì la deposizione di
Sancho II, nonché alla guerra civile che coinvolse numerose casate nobili di tutto il regno,
con importanti conseguenze sull’ascesa sociale di determinati lignaggi a scapito di altri.
Nelle poche righe dedicate alla descrizione degli eventi a seguito dell’arrivo del conte di
Boulogne a Lisbona si fa infatti solo una breve menzione alla fedeltà dimostrata della città
di Coimbra – che comunque, si sottolinea, fu una fedeltà dettata dal solo fatto che Afonso
(futuro Afonso III) non riuscì a giungere fino a quella città, e non per particolari meriti dei
suoi abitanti o del re sconfitto – e all’intervento dell’infante Alfonso (futuro Alfonso X) di
Castiglia a favore di Sancho II. Senza far alcun accenno esplicito all’esito dell’impresa
castigliana, il riferimento all’esilio e alla morte a Toledo del Capelo indicano chiaramente
come il tentativo di Alfonso di aiutare il sovrano deposto sia stato fallimentare.
Oltre a ciò tuttavia non viene riportata alcuna notizia sugli scontri o sulle battaglie che
contraddistinsero ben due anni di storia portoghese, che appaiono dunque in questo caso
completamente obliterati.
È possibile supporre che queste omissioni siano frutto di una precisa volontà
dell’autore del libro o, quanto meno, dell’autore delle fonti da lui utilizzate222
. Sancho II è
infatti presentato lungo tutta la narrazione come un re incapace e indegno del suo ruolo223
,
e non v’è dubbio che l’autore del testo parteggi nettamente – com’è ovvio che sia, essendo
i re a lui contemporanei discendenti di Afonso III – per il fratello, dipinto al contrario come
un sovrano «mui boo […] e justiçoso»224
. Basandosi su tali considerazioni, non stupisce
dunque il fatto che l’autore del passo presenti l’arrivo del conte di Boulogne in Portogallo
come un evento accolto dall’intero regno senza aver dato luogo ad alcun contrasto, in
quanto menzionare le tensioni che avevano contraddistinto i primi anni di regno di un re –
a quanto pare – tanto amato, certo avrebbero posto questi sotto una cattiva luce; fare
riferimento alla ribellione di alcuni vassalli di fronte all’accettazione del nuovo re e di
conseguenza alla guerra civile che ne è in seguito scaturita, avrebbe potuto insinuare nel
222
Non essendo infatti in possesso della fonte di tale capitolo del Livro non è possibile sapere quanto, da
questo punto di vista, sia da ritere opera del Conte di Barcelos e quanto invece tali omissioni siano imputabili
all’autore della fonte consultata da Don Pedro. L’“autore” cui dunque si farà riferimento in questo passo di
elaborato potrà dunque essere tanto il conte quanto il redattore della Crónica galego-portuguesa de Espanha
e Portugal. 223
Sono, in questo caso, giudizi mai chiaramente espressi all’interno del testo, ma che comunque traspaiono
dalla narrazione: il fatto stesso che i prelati affermino di “non avere un re”, ne è un chiarissimo esempio. 224
Giudizio, per altro, condiviso anche dalla storiografia, che presenta quello di Afonso III come un regno
particolarmente prospero, che diede inizio a un’epoca d’oro per il Portogallo. A tal proposito si veda
ilvolume di Antonio Henrique R. de Oliveira Marques, Historia de Portugal, vol. I, pp.85-90.
117
potenziale lettore qualche dubbio sull’effettiva legittimità e, dunque, sull’accettazione
universale del nuovo sovrano. Da questo punto di vista, l’interno discorso nella sua
costruzione sembra essere volto a condannare e a delegittimare la figura di Sancho II a
favore di quella del fratello minore, il cui confronto con il predecessore ne enfatizza ancora
di più la grandezza – un confronto riscontrabile, seppur minimamente, anche dal punto di
vista lessicale, nel fatto che re Afonso venga subito definito, come si è già visto, un re
«justiçoso».
L’utilizzo che viene fatto nel testo del termine «justiça» merita a sua volta
un’attenzione particolare. Ripreso ben quattro volte nell’arco di 25 righe – diventando la
parola ripetuta con più frequenza nel racconto – , è un vocabolo sicuramente essenziale
all’interno della narrazione, in quanto la capacità di sapere o meno amministrare la
giustizia è presentata come principale motivazione per cui Sancho II è stato ritenuto
inadatto alla carica regia.
Generalmente il vocabolo appare all’interno del testo con una disposizione “a coppie”,
ovvero in due sedi ravvicinate che presentano la parola-chiave in due accezioni
contrapposte. Si prendano i passi del testo in cui si ritrova il termine in questione:
[…] e començou mui bem
de seer mui boo rei e de justiça, mas houve
maos conselheros, e des ali adeante nom fez
justiça. […]
[…] e disserom-no
ao apostoligo que nom haviam rei, porque
el nom fazia justiça. E disse o papa: «Qual
rei quiseredes, tal filhade, que seja natural
do reino e saiba fazer justiça?» […]
[…] e cominciò molto bene a essere un re
molto buono e che amministrava la
giustizia, ma ebbe cattivi consiglieri e da lì
in poi non amministrò più bene la giustizia.
[…]
[…] e lo dissero al Papa che non avevano re,
perché non amministrava la giustizia. E
disse il Papa: «Quale re vorreste, accettato
ciò, che sia originario del regno e sappia
amministrare la giustizia?» […]
Com’è possibile vedere in entrambi i casi la contrapposizione che si crea tra due
costruzioni sintattiche che presentano il termine in maniera positiva da una parte, e
negativa dall’altra, non sembra essere casuale, ma, anzi, frutto di una precisa scelta
stilistica nata con lo scopo di enfatizzare il contrasto.
118
Allo stesso modo, è di particolare rilevanza che ogni qual volta il vocabolo appare con
un significato positivo si rimandi sempre a un tempo passato o futuro del regno. In
particolare, nel primo caso si fa infatti riferimento ai primi anni di governo di Sancho II,
mentre nel secondo si accenna a un suo possibile – e dunque futuro – successore,
collegando per altro il termine a una figura diversa da quella del re Capelo.
I casi invece in cui la parola appare all’interno di una costruzione sintattica di senso
negativo sono sempre – oltre che in sede ravvicinata al proprio opposto – riferiti a un
presente narrativo, ovvero al tempo in cui re Sancho si trova in carica. Si crea dunque in
questo modo un interessante chiasmo tra le volte in cui il termine appare preposizioni dal
valore contrastante e il tempo del racconto: passato/buona giustizia – presente/cattiva
giustizia […] presente/cattiva giustizia – futuro con un nuovo re/buona giustizia. Sebbene
dunque il chiasmo creatosi possa essere non voluto, ma, piuttosto, scaturito naturalmente
da necessità scrittorie, è comunque particolarmente interessante notare che invece
l’associazione di una cattivo esercizio della giustizia regia al tempo, per così dire
“presente”, di governo del re Capelo pare non essere casuale. Una tale ricercatezza
stilistica sembra avere infatti nel testo lo scopo di sottolineare la situazione caotica in cui
versava il regno negli anni della reggenza di Sancho II, attraverso la contrapposizione a
breve distanza delle due costruzioni parallele ma di senso opposto, in cui al presente
storico del re Capelo viene sempre associata un’immagine negativa e turbolenta.
Allo stesso modo, sempre in riferimento a questa parola-chiave, si ritiene che meriti
particolare attenzione fra le altre la frase: «e disserom-no ao apostoligo que non haviam
rei, porque el nom fazia justiça», in quanto contiene un concetto estremamente
interessante. Ci troviamo di fronte in questo caso a un’affermazione di grande peso. Per
quanto sia infatti certo che uno dei compiti primari di un sovrano – se non il compito
primario in sé – sia quello di amministrare la giustizia in modo corretto, questa breve
affermazione implica che, avendo il re con il suo cattivo comportamento abdicato al suo
dovere principale questi venga di conseguenza disconosciuto dal suo popolo in maniera del
tutto naturale e legittima.
Oltre alle conseguenze ideologiche di tale affermazione sono da notare però anche le
sue ripercussioni sulla narrazione: apparendo infatti la frase prima della “sentenza” papale
che depone definitivamente il re, il lettore è indotto fin dall’inizio a pensare che questa
decisione del vescovo di Roma non sia altro che un’ovvia conseguenza della situazione
attuale.
119
Tanto in questo caso quanto in quello analizzato in precedenza, ci troviamo di fronte a
una serie di raffinati espedienti attraverso cui l’autore riesce a fornire al racconto
un’uniformità ideologica, la quale sembra sorgere non solo da un sapiente uso delle
strutture argomentative – come avviene nelle righe analizzate poco sopra – ma anche da un
utilizzo studiato di retorica e sintassi. In particolare, quest’ultima si presenta di una tale,
voluta, semplicità da rendere la lettura del testo estremamente scorrevole. Tale effetto è
ottenuto essenzialmente attraverso un uso quasi esclusivo di strutture di tipo paratattico
coordinate attraverso polisindeto225, in cui le poche subordinate – che molto spesso si
ritrovano a loro volta coordinate attraverso l’uso di “e” – superano il primo grado
solamente in un’occasione: «[…] e disserom-no ao apostoligo que nom aviam rei, porque
el nom façia justiça».
Il forte senso di immediatezza e uniformità che scaturire da una tale struttura sintattica
si può ritrovare anche all’interno degli artifici retorici presenti nel testo. Innanzi tutto, è
interessante notare come l’utilizzo del discorso diretto – il quale, come si è visto, è da
considerarsi una scelta stilistica ben ponderata, frutto di una volontà da parte dell’autore di
“narrare” gli eventi e dando a tale porzione di testo una dignità letteraria diversa dall’arida
elencazione di eventi storici e successioni familiari che dominano altrove nel libro226 –
svolga un ruolo essenziale dal punto di vista sintattico, in quanto permette che la
narrazione continui a scorrere in modo fluido, in una voluta semplicità che caratterizza
l’intera sezione e che non si sarebbe potuta ottenere altrimenti. È possibile supporre che
tale struttura porti anche con sé una valenza ideologica: lo scorrere fluido del discorso,
senza esitazioni, crea nella mente del lettore l’immagine di una storia in cui gli eventi si
susseguono con una tale naturalezza da sembrare frutto di una necessaria consequenzialità,
e in cui dunque la deposizione di Sancho fosse assolutamente inevitabile e indiscutibile.
Allo stesso modo, sembra voler supportare tale visione anche l’ultimo artificio retorico
presente nel testo, l’enumerazione « E os bispos e os arcebispos e os abades beentos e os
outros prelados todos da Sancta Egreja» inserita all’interno della sezione 7C7. Tale elenco
– nel quale vediamo apparire collegati attraverso polisindeto rappresentanti di ogni livello
della gerarchia ecclesiastica – sembrerebbe infatti voler suggerire al lettore che nel
momento in cui si decise di chiedere al papa la deposizione del sovrano tutti i partecipanti
225
È possibile infatti notare come all’interno di questa narrazione vi sia un utilizzo massivo della
congiunzione “e”, la quale si ritrova anche in apertura di periodo, con ben otto occorrenze su nove totali. Di
contro, si ritrova una sola volta all’interno del testo la congiunzione di tipo avversativo “mais”. 226
Si tratta, inoltre, dell’unico discorso diretto riscontrabile all’interno delle narrazioni analizzate in questa
sede.
120
a tale riunione fossero presenti e concordi nella soluzione da adottare. È particolarmente
interessante dunque notare come, in questo modo, l’autore dia forma all’idea che la
decisione di spodestare Sancho II e di innalzare al suo posto il fratello Afonso sia stata
presa e accettata all’unanimità, e che dunque non siano mai esistiti, quanto meno
all’interno del clero, pareri contrastanti227. È estremamente interessante notare come chi
scrive utilizzi tale artificio per creare all’interno di questa narrazione l’immagine di un re
profondamente solo, il cui popolo decide all’unanimità di accogliere il nuovo sovrano –
immagine che infatti non sembra essere per nulla intaccata dall’allusione alla resistenza
opposta dalla città di Coimbra, che anzi viene assolutamente sminuita all’interno della
narrazione.
È possibile dunque vedere come, all’interno di questa narrazione, strutture
argomenative, retorica e sintassi siano sapientemente utilizzate dall’autore per promuovere
una determinata versione dei fatti, la quale, non casualmente, coincide perfettamente con
quella fornita dalle fonti di origine clericale sull’argomento.
D’altronde, la possibile familiarità di chi scrive con certi tipi di fonti o ambienti è
riscontrabile anche sul piano lessicale. Da questo punto di vista è infatti particolarmente
interessante notare che nonostante all’interno del racconto non si disdegnino le ripetizioni
sia di singoli termini che di determinate costruzioni sintattiche – come avviene per esempio
nel caso di: «[…] que non ficou senom Coimbra. E esta nom ficou senom porque […]» –
l’unico personaggio di cui si ritrovano diverse denominazioni nel testo è il papa, cui si fa
riferimento in tre modi diversi: papa, apostoligo, e Santo Padre.
Infine, si intende concludere l’analisi del passo di LL dedicato al regno di Sancho II
evidenziando gli importanti paralleli che avvicinano questa sequenza del capitolo VII alla
bolla papale Grandi non immerito, con la quale Innocenzo IV depose il re portoghese
eleggendo come suo successore al trono il fratello di questi, Afonso conte di Boulogne-sur-
Mere. Basterà in questo caso concentrare le attenzioni solamente sulla prima parte della
lettera, che contiene già da sola tutti gli elementi che interessano in questa sede.
A seguito di un introduzione generale volta a elencare coloro ai quali la bolla era
indirizzata – ai baroni, alle comunità, ai consigli cittadini, ai castelli, ai cavalieri e al
popolo portoghese tutto – già all’interno del preambolo possiamo vedere come quello della
227
Quando invece, come si è visto nel capitolo precedente, le fonti contemporanee testimoniano ribellioni da
parte di alcuni ecclesiastici di fronte alla decisione presa dal papa: ne è un chiaro esempio la resistenza
opposta dal vescovo di Lisbona all’arrivo di Afonso di Boulogne.
121
giustizia si riveli il tema centrale attorno al quale ruoterà in seguito l’intera argomentazione
papale:
Grandi non immerito exultamus in Domino
gaudio, cum christianae professionis regna
sic salubri diriguntur statu, quos Ecclesiae,
ac alia loca cultui et obsequio deputata
divinis, et personae ecclesiasticae,
caeterique fideles ipsorum pacis
tranquillitate laetantur, fides in eis catholica
maiori continue robore convalescit, servatur
imnibi iustitia228
[…]
Con grande e meritata gioia esultiamo nel
Signore, dato che i regni di fede cristiana si
trovano in una situazione vantaggiosa, e la
Chiesa e gli altri luoghi dedicati al culto e al
servizio di Dio, e gli appartenenti al clero e
gli altri fedeli di questi regni si rallegrano
nella tranquillità della pace, in questi regni
la fede cattolica si rinvigorisce sempre, e si
osserva in quegli stessi la giustizia […]
Già in questa prima gioiosa esaltazione dello stato di pace e tranquillità in cui vivono i
regni cristiani troviamo un’interessante associazione tra questa condizione di benessere e il
concetto di “giustizia”, introducendo un idea che verrà sviluppata nelle righe che seguono:
[…] Vehementi autem folore turbamur, si
quando regna ipsa […] scinduntur discordis,
circa fidei cultum remisso devotionis ardore
tepescunt, iustitia negligunt, et in se ipsis
permittunt illicita perpetrari. Unde multa
sollecitudine magnoque studio procurare
nos convenit, ut christianorum regna, quae
in statu sunt prospero, incommunitabiliter in
illo regnantur, et quae periculoso ruere
dignoscuntur, reformatione laudabili
reparentur229. […]
[…] Nonostante ciò, ci sentiamo
immensamente turbati quando questi regni
[…] si dividono nella discordia e,
affievolito l’ardore della devozione, si
raffreddano nel culto della fede,
disprezzano la giustizia e permettono al loro
interno di perpetrare atti illeciti. Per questo
con grande attenzione e maggior impegno
dovremmo curarci che i regni cristiani, che
sono in una situazione prospera, continuino
governati in quel modo, e quelli che sono
riconosciuti affondare pericolosamente,
siano riformati con lodevole rinnovamento.
[…]
228
Innocenzo IV 1245, pp. 516-519. 229
Innocenzo IV 1245, pp. 516-519.
122
La connessione stabilita in questo passo tra disprezzo della giustizia e caos è
particolarmente interessante. La sequenza in questione suggerisce infatti che tra le due viga
un rapporto di causa ed effetto: i regni cadono nel disordine se si disprezza la giustizia e di
conseguenza – accettando come logico un ragionamento inverso – una mancanza di
giustizia o un suo errato esercizio causano disordine. Vediamo dunque in questo caso
come, essendo la caotica situazione del regno la motivazione addotta dal Papa per privare
del suo ruolo Sancho II, ancora una volta la capacità del sovrano di amministrare la
giutizia, ovvero di saper riportare l’ordine all’interno dei suoi territori, rivesta un ruolo
centrale all’interno dell’argomentazione e sia utilizzato come argomento principale per
sostenere l’inadeguatezza del Capelo di fronte ai doveri che la carica regale comporta e,
dunque, la necessità che il regno abbia bisogno di essere rinnovato.
Per quanto dunque si siano analizzate solamente le prime righe del testo, riguardanti il
preambolo generale, senza soffermarsi sulla sezione interamente focalizzata sul caso del re
portoghese, è possibile comunque evidenziare come siano presenti importanti paralleli con
la struttura narrativa e ideologica del racconto dedicato a Sancho II all’interno di LL.
Basandosi sul concetto che da una mancata amministrazione della giustizia nasce il
disordine, e che i regni caduti nel caos debbano essere riformati, in poche righe la bolla
papale sembra sviluppare il medesimo concetto che si trova esposto all’interno del Livro de
Linhagens facendo perno sulla medesima parola chiave, la «justiça».
Questo vocabolo, già rivestito di un immenso valore nella bolla papale, sembra però
assumere nella nostra narrazione un peso ancora maggiore, in quanto proprio in tale parola-
chiave – e nella sua ripetizione in particolar modo – si concentrano tutte le motivazioni che
spinsero il Papa a decidere di detronizzare questo re. L’importanza e il valore dato a questo
termine all’interno di LL risulta dunque ancor più evidente per il fatto che, a differenza che
nella bolla, la giustizia, o meglio, il suo mancato esercizio, sia pienamente sufficiente come
unica motivazione per poter deporre un sovrano dalla sua carica.
Per come è descritta all’interno del capitolo dedicato alle genealogie dei re di
Portogallo, la storia di Sancho II sembra mancare di una serie di importanti dettagli – quale
il ruolo giocato della nobiltà negli eventi che condussero alla deposizione del re e la guerra
civile che vessò il regno per ben due anni – la cui assenza si è rivelata essere funzionale
all’inserimento della narrazione in un sistema ideologico che presentava la figura del re
detronizzato come completamente negativa e quella del fratello come pienamente positiva
123
– una questione che trova conferma anche nelle prime parole con cui viene presentato re
Afonso III, un re «justiçoso»230.
In base a quanto fin’ora analizzato è possibile concludere dunque come all’interno di
questa sezione del Nobiliario di Don Pedro si possa vedere l’azione di quella
manipolazione della memoria storica operata da parte del clero e che portò a una completa
svalutazione della figura di re Sancho II. Si può vedere dunque in questo caso come
l’imposizione al testo del punto di vista e dell’ideologia clericale avvenga non solo
attraverso la mancata menzione di determinati eventi storici che avrebbero potuto minare la
visione di un’universale accetazione di Afonso III come nuovo sovrano, ma anche
attraverso un uso sapiente di strutture sintattiche, argomentative e artifici retorici, creando
dunque un testo la lui semplicità e limpidezza non sono conseguenza di una scarsa abilità
letteraria, quanto piuttosto di precise scelte stilistiche.
Non si creda tuttavia che i dettagli riguardanti la vita di questo re si esauriscano al
racconto inserito in questa sezione di LL. Sono presenti infatti lungo tutto il Libro, come si
è visto nei capitoli precedenti231, una serie di narrazioni più o meno lunghe che portano il
lettore a conoscere la parte di storia che in questo caso ci viene nascosta: le storie di João
Pires de Vasconcelos (LL36E9), Raimondo Viegas de Portocarreiro (LL43F5), Mem
Cravo (LL47C4) e infine Soeiro Bezerra (LL66G1), sono infatti tutte incentrate su quei
periodi storici cui il paragrafo specificamente dedicato alla biografia del Capelo non parla
o semplicemente accenna.
La vicenda del sovrano deposto dunque non si limita a queste righe, ma si arricchisce
invece di nuovi dettagli e avvenimenti – nonché di nuovi e importanti punti di vista –
attraverso la lettura di altre narrazioni sparse lungo tutto LL, questione che dimostra
ancora una volta come la grandezza di questo libro possa essere compresa solo se
analizzato nella sua interezza, con uno sguardo che si sposta costantemente dal particolare
al generale.
Si procederà dunque ad analizzare in seguito tutte le narrazioni collegate a quella di
Sancho II secondo l’ordine in cui queste sono presentate nel Livro de Linhagens, che,
fortunatamente, permette di seguire anche lo sviluppo cronologico dei eventi, partendo dai
primi anni di regno e giungendo in seguito alla guerra civile che coinvolse tutti i nobili
della penisola.
230
LL 7C9, p. 129. 231
In particolar modo presso il capitolo III relativo alle narrazioni contenute nel Livro de Linhagens, p. 87
124
125
2. JOÃO PIRES DE VASCONCELOS
La narrazione relativa a João Pires de Vasconcelos, detto “o Tenreiro”, il Tenero, si
trova inserita all’interno del capitolo XXXVI di LL, «DE DOM MONINHO VEEGAS, O
GAS[C]O, DONDE VEM OS DE RIBA DE DOIRO»232
, dedicato alla genealogia della
famiglia di origini guascone dei Riba de Doiro il cui fondatore si trasferì in Portogallo
durante il regno di re Ramiro di León (931-951).
Come si è visto in precedenza233
, questa sezione del Libro dei Lignaggi trae la sua
materia genealogica direttamente dalla versione conservata del Livro do Deão, all’interno
del quale però non si trova alcun riferimento al racconto in questione. Apparendo dunque
questo solamente all’interno del Nobiliario di don Pedro è possibile che la sua origine sia
da ritenersi posteriore al 1340, data in cui si ritiene conclusa la redazione di LD.
È interessante che la narrazione riguardante il Tenreiro appaia proprio all’interno di
questa sezione di LL. In effetti, il capitolo del Nobiliario di don Pedro all’interno del quale
appare la genealogia degli avi di João Pires de Vasconcelos è il LIII, «DO CONDE DOM
OSOIRO DE CABREIRA»234
, e non il XXXVI, in quanto di quest’ultimo fanno parte i
membri della famiglia della moglie del protagonista del racconto. Ancor più notevole, da
questo punto di vista, risulta il fatto che la discendenza del Vasconcelos sia presentata
all’interno dello stesso capitolo XXXVI, e non del LIII, nel quale vediamo anzi apparire un
chiaro rimando alla sezione di libro precedente:
235E Pero Martĩiz da Torre, filho de dom Martim Moniz
e de dona Tereij’Afonso e neto de dom Moniho Osorez,
foi casado com dona Tereija Soarez, filha de dom
Sueiro Pirez Escacha e de dona Fruilhe Veegas, filha
de dom Egas Fafez de Lanhoso e de dona Orraca
Meendez, e irmãa de dom Gonçalo de Sousa, o Boo,
como se mostra no titulo XXXIII, desta dona Orraca
Meendez, parrafo 5°, e fez em ela
Joham Pirez de Vasconcelos, por sobrenome Joham
Tenreiro, que ja dissemos no titulo XXXVI, de
dom Moninho Veegas, parrafo 5°.236
[…]
E Pero Martĩiz da Torre, figlio di dom Martim Moniz
e di donna Tereij’Afonso e nipote di don Moniho
Osorez, si sposò con donna Tereija Soarez figlia di don
Sueiro Pirez Escacha e di donna Fruilhe Veegas, figlia di
don Egas Fafez de Lanhoso e di donna Orraca Meendez,
e sorella di don Gonçalo de Sousa, il Buono, come si
mostra al capirolo XXXIII, di questa donna Orraca
Meendez, paragrafo 5°, e fece con lei Joham Pirez de
Vasconcelos, soprannominato Joham Tenreiro, di cui si è
già parlato al capitolo XXXVI, di don Moninho Veegas,
paragrafo 5° […]
232
LL, Vol I, p.404 233
Confrontare capitolo II, p. 234
LL, Vol II, p.65 235
53E4 236
LL, Vol II, p.67
126
Un tale riferimento, unito alla presenza della narrazione all’interno del capitolo
dedicato alla genealogia degli avi della moglie del Tenreiro, parrebbe dunque suggerire che
sia stato proprio il matrimonio di João Pirez a decretare la sua fortuna e quella della sua
discendenza. Ancora una volta dunque ci troviamo di fronte a un caso in cui la legittimità
di un nuovo lignaggio, in questo caso quello dei Vasconcelos, deriva non tanto dalla
famiglia della parte maschile della coppia quanto piuttosto dalla parte femminile,
all’interno della cui genealogia il nuovo lignaggio si trova inserito. Non stupisce allora che
la narrazione riguardante Joãao Pirez de Vasconcelos si trovi all’interno di questa sezione
di LL.
Anche in questo caso, si è deciso di comprendere una porzione di testo maggiore di
quella riguardante la sola narrazione, in quanto utile a comprendere il contesto all’interno
del quale questa si inserisce; in ogni caso, solamente il racconto relativo alle vicende del
Tenreiro sarà tradotto, in quanto unica sezione di interesse del capitolo:
237DE EGAS LOURENÇO, FILHO DE LOURENÇO
VEEGAS, O ESPADEIRO. Este Egas Lourenço foi
casado com dona --- e fez em ela
Soeiro Veegas Coelho //
e Gomez Veegas Magro
e Peero Veegs
e dona Maria Veegas
e dona Marinha Veegas
e dona Margarida Veegas.
238Este Soeiro Veegas Coelho, filho deste Egas Lou-
renço, foi casado com dona Moor Meendez, filha
de Meem Moniz de Candarei, o que entrou primeiro
em
Santarem, quando a filharom, e fez em ela
dom Pero Soarez Coelho
e dona Maria Soarez Coelha
e dona Enês Soarez Coelha.
-Este dom Pero Soarez Coelho, filho primeiro
de Soeiro Viegas e Moor Meendez, foi casado
com dona Neatriz Eanes, filha de dom Johan
237
36A7 238
36A8
127
Pirez Redondo e de dona Gontinha Soarez, e nom
houverom semel.
239E dom Joham Soarez Coelho, seu irmão, filho dos
sobreditos, foi casado com dona Maria Fernandez,
filha de Fernam Sanchez d'Ordẽes, natural de Galiza,
e fez em ela
Pedr'Eanes Coelho
e Fermam Anes Coelho, que foi clerigo,
e dona Moor Eanes
e dona Maria Anes
e dona Aldara Anes
e dona Orraca Anes
240Este Pedr'Eanes Coelho, filho do sobredito dom
Joham Soarez, foi casado com dona Margarida Este-
vëez, filha de dom Estevam Hermigez de Teixeira
e de dona Orraca Fernandez, filha de Fernam Lou-
re[d]o, de Terra de Santa Maria, e fez em ela semel,
como ja dissemos no titulo XXXII, de dona Orraca
Meeendez, parrafo 4º.
241E a sobredita Aldara Annes, filha de dom Joham
Soarez Coelho, foi casada com [Gonçal'Eanes Correa]
e nom houverom semel.
242E dona Orraca Annes, suso dita, folha de dom
Joham
Soarez Coelho, foi casada com dom Soeiro Meendez
Petite, e matou-a por mao preço, e nom houve semel.
243E dona Maria Anes, sa irmãa, nom houve semel.
E esta dona [Maria] Eanes, suso dita, casou com
Martim Afonso de Reesend, e matou-a por mao
preço, e nom houverom semel. E assi todas estas tres
nem üa delas houverom semel.
244E dona Maria Soarez, filha primeira de Soeiro
E donna Maria Soarez prima figlia di Soeiro
Veegas e di donna Moor Meenzdez, sposò Joham
239
36A9 240
36A10 241
36B10 (de A9) 242
36C10 (de A9) 243
36D10 (de A9)
128
Veegas
e de dona Moor Meendez, foi casada com Joham
Pirez de Vaasconcelos, por sobrenome Joham
Tenreiro,
o qual havia seu homizio com Airas Eanes de Freitas,
por morte de Gil Martĩiz, filho de dom Martim
[Paaez] Ribeir[a], que o dito Airas Eanes // seu
segundo coirmão , do dito Joham Tenreiro, matara, o
qual Joham Tenreiro matou este Airas Eanes em o
moesteiro de Fonte Arcada, e trouxe consigo a sa
morte Pedr’Eannes, Per’Avelo, que era seu primo
coirmão, dizendo-lhe que havia-o desafiado por si,
mais
quanto é por Pedr’Eanes Avelo, nom. E passou assi
perante el rei dom Sancho Capelo, e veerom-no a
emprazar perante el rei dom Sancho de Portugal dom
Estevam Anes de Freitas, irmão d’Airas Eanes, e
Rui Fafez e Vaasco Lourenço, e Martim Lourenço
de Cuinha. E Pedr’Eanes Avelo veo ao reto, e disse
quenom negava que nom fora em sa morte, mais
que lhe dissera Joham Pirez de Vasconcelos, seu
primo, que o havia desafiado por ele, e se lho
negasse quel he meteria as mãos sobr’elo. E entom
mandou el rei dom Sancho emprezar o dito Joham
Pirez de Vasconceelos que veesse a responder ao feito
de reto, e Joham Pirez non veo ao primeiro prazo.
Er mandou-o emprazar outra vez e nom veo. Er
mandou-o emprezar as outras, segundo manda o di-
reito e costume dos reis, e el nom recudio a nem
ũu dos prazos, guardando el rei todos mui bem e com-
pridamente, assi como devia a fazer. E os cava-
leiros, andando de cada dia perante el rei, deman-
dando-lhe dereito, e el rei pesando-lhe muito e veendo
que non podia i al fazer. E porque o outro nom
queria viir aos prazos quel he eram devisados, ha-
vendo seu conselho com peça de bõos e de cavaleiros
pesando-lhe muito, e a sentença foi esta: que aa
revelia do dito Joham Pirez de Vasconceelos, porque
Pirez de Vaasconcelos, soprannominato Joham
Tenreiro, che aveva ucciso Airas Eanes de
Freitas,per la morte di Gil Martĩiz, figlio di don
Martim [Paaez] Ribeir[a], che il detto Airas Eanes,
suo secondo cugino, del detto Johan Tenreiro,
aveva ucciso, il quale Johan Tenreiro uccise questo
Airas Eanes nel monastero di Fonte Arcasa, e portò
con sé alla sua morte Pedr’Eannes, Per’Avelo, che
era suo primo cugino, dicendogli che lo aveva
sfidato a duello contro se stesso ma non contro
Pedr’Eanes Avelo. E accadde così di fronte al re
don Sancho Capelo, e lo vennero a citare in
giudizio innanzi al re don Sancho di Portogallo
don Estevam Anes de Freitas, fratello d’Airas
Eanes, e Rui Fafez e Vaasco Lourenço e Martim
Lourenço de Cuinha. E Pedr’Eanes Avelo venne al
duello, e disse che non negava che non fosse
presente alla sua morte, ma che glielo aveva detto
Joham Pirez de Vasconcelos, suo cugino, che lo
aveva sfidato per lui, e se lo avesse negato che gli
avrebbe messo le mani addosso. E dunque ordinò
il re don Sancho di citare il detto Joham Pirez de
Vasconceelos che venisse a rispondere al duello, e
Joham Pirez non venne entro il primo termine.
Allora ordinò di citarlo un'altra volta e non venne.
Allora ordinò di citarlo altre volte, come ordina il
diritto e il costume dei re, e lui non arrivò entro
nessuno dei termini, vigilando il re su tutto molto
bene e perfettamente, così come doveva fare. E i
cavalieri, andavano ogni giorni al cospetto del re,
domandandogli di far giustizia, e al re pesava
molto e vedeva che non vi poteva fare altro. E
siccome l’altro non voleva venire entro i termini
che gli erano stati comunicati, si consigliò con
parte dei buoni e di cavalieri, pesandogli molto, e
la sentenza fu questa: che la latitanza del detto
Joham Pirez de Vasconceelos, dato che non venne
entro i tempi che gli furono assegnati, lo rendeva
244
36E9 (de A8)
129
nom veera aos tempos que lhe forom assiinados, como
manda o dereito e o costume dos reis, que o dava
por feitor, assi como o devia a seer Pedr’Eannes
Avelo, e que a pena que o dito Pedr’Eanes devia
haver, que se tornasse a el toda, e que o dito Pedr’Ea-
nes Avelo fosse livre e quite. E entom veo a beijar
a mão a el rei Pedr’Eanes e os outros cava//leiros
que o acusavam, e disserom que o mantevesse Deus,
e que julgara com mui boo rei e dereito. E este
Joham Pirez de Vasconceelos nunca despois veo a
purgar seu reto, nem fazer mais por ele. E esta sen-
tença foi dada na Cabeça da Vide, antre Tejo e
Odiana, a ũa legoa grande d’Alter do Chão.
DE DOM JOHAM PIREZ DE VASCONCELOS,
SUSO DITO, POR SOBRENOME JOHAM
TENREIRO.
Este Joham Pirez de Vasconcelos foi casado com a
condessa dona Maria Soarez, filha de dom Soeiro
Veegas Coelho e de dona Moor Meendez, filha de
Meem Moniz de Candarei, que entrou primeiro em
Santarem quando a filharom, e fez em ela
Pedr’Eanes
e Rodrigu’Eanes
e dom Estev’Eanes, que foi bispo de Lixboa,
e dona Tereija Annes
e dona Moor Eanes, que foi casada com dom
Airas Rodriguez d’Orroo, como se mostra no
titulo XLIII, de dom Gonçalo [Ovequez], par-
rafo 3°.245
colpevole246
, così come lo doveva essere
Pedr’Eannes Avelo, e che la pena che il detto
Pedr’Eanes doveva avere, che passasse tutta a lui,
e che il detto Pedr’Eanes Avelo fosse libero e
senza obblighi. E allora venne a baciare la mano
del re Pedr’Eanes e gli altri cavalieri che
l’accusavano e dissero che lo mantenesse Dio, e
che giudicò come un re molto buono e retto. E
questo Joham Pirez de Vasconcelos non venne mai
in seguito a portare a termine il suo duello, né a far
altro per quella. E questa sentenza fu emessa in
Cabeça de Vide, tra Tejo e Odiana, a una lega
grande d’Alter do Chão.
È possibile dunque vedere come l’interna narrazione ruoti attorno al medesimo tema
della precedente: l’amministrazione della giustizia da parte del sovrano. Da questo punto di
vista, è infatti particolarmente interessante notare come appaiano all’interno di questo
capitolo numerosi elementi riconducibili all’ambito del diritto medievale, tra i quali si
annoveano termini di grande peso quali ad esempio desfiar, sfidare a duello, reto, duello o
245
LL, Vol. II, pp. 406-409. 246
Letteralmente il termine feitor, in portoghese moderno, si traduce come “gestore” o “amministratore di
beni”, quindi, in senso lato “persona che si assume delle responsabilità per altri”. Non si è tuttavia riusciti a
trovare un termine giuridico che riuscisse pienamente a racchiudere questa definizione, per cui si è scelto per
la soluzione messa a testo.
130
emprezar, citare a giudizio. Oltre a questi, è da rilevare un’interessante dittologia
sinonimica presente all’interno della sezione 36E9, quite e livre, che sembrerebbe avere un
carattere formulare.
Si tratta in questo caso di una ricchezza lessicale significativa, in quanto del tutto
nuova anche rispetto a quanto si ritrova nel paragrafo dedicato alla biografia del Capelo,
all’interno del quale, come si è visto, il tema della giustizia si è rivelato essere centrale. Il
fatto che dunque vi sia in questa sezione una maggior insistenza su temi riguardanti
l’esercizio del diritto – più che evidente nella continua ripeizione di termini tratti da questo
campo semantico – implica che, mentre nella narrazione analizzata in precedenza il tema
della giustizia fosse in un certo senso “asservito” alla necessità di dimostrare
l’inadeguatezza del sovrano, tale tema si riveli essere qui, al contrario, unico campo di
interesse della narrazione.
Singificativamente, Sancho II appare come un sovrano diverso da quello dipinto
all’interno del capitolo VII, in quanto si rivela capace in questo caso di esercitare il diritto
regale in maniera esemplare: chiamato a dirimere una serie di vendette e faide tra famiglie
nobili, il re riesce a riportare l’ordine nel suo regno «segundo manda o direito e costume
dos reis»247
.
Gli studi compiuti da José Mattoso248
su documenti storici riguardanti la vita del
Vasconcelos hanno permesso allo storico portoghese di supporre che gli eventi narrati
all’interno di LL siano più o meno ascrivibili all’inizio del 1226, ipotesi che
confermerebbe dunque quanto si trova scritto nel capitolo analizzato in precedenza, ove si
afferma chiaramente che re Sancho, nel suo primo periodo di regno, «começou mui bem de
seer mui boo rei e de justiça», affermazione in questo caso confermata dal successo
ottenuto dal monarca nel compiere le sue funzioni di giudice nelle faide interne alla classe
nobiliare.
Una saggia amministrazione della giustizia accompagnata da una costante presenza del
monarca, preoccupato per le questioni del regno, sembrano dunque fornire, a prima vista,
una rivalutazione di questo re rispetto alla figura pienamente negativa presentata
all’interno del capitolo VII.
247
LL, Vol. II, p. 408. Si tratta in questo caso di due termini, dereito e costume, assolutamente centrali in
quanto, come si è visto all’interno del precedente capitolo, ad Afonso III verrà chiesto a Parigi di firmare un
accordo con i membri “ribelli” del clero portoghese in cui si impegnava a far rispettare nel suo regno il diritto
e a riprendere i buoni costumi dei suoi avi, dimenticati nella crisi politica che aveva sconvolto gli anni del
padre e del fratello Sancho. 248
Mattoso 2002, p. 55.
131
Il fatto che il Capelo non sia sempre stato un re inetto e inutile sembra dunqe essere
confermato in questo racconto anche dalle parole con cui si descrive la reazione dei signori
alla sua sentenza:
[…] E entom veo a beijar a mão a el rei
Pedr’Eanes e os outros cava//leiros que o
acusavam, e disserom que o mantevesse
Deus, e que julgara com mui boo rei e
dereito. […]
[…] E allora venne a baciare la mano del re
Pedr’Eanes e gli altri cavalieri che
l’accusavano e dissero che lo mantenesse
Dio, e che giudicò come un re molto buono
e retto. […]
La piena accettazione della giustizia – e di fatto dell’autorità – regia su questioni
interne alla nobiltà è resa più che evidente dal baciamano rituale e dalle parole di nobili e
cavalieri. Tale immagine pone dunque la figura del re sotto una luce pienamente positiva,
presentandolo come un buon monarca proprio, significativamente, per la capacità di
amministrare la giustizia che tanto gli veniva recriminata nei capitoli precedenti e che era,
come si è visto, ritenuta un’abilità strettamente legata all’essenza stessa della sovranità.
All’interno di questo racconto, però, quella del sovrano non è l’unica figura a essere
presentata positivamente: la classe nobile gioca infatti un ruolo essenziale all’interno della
vicenda, da diversi punti di vista.
Per quanto infatti Sancho II sia costantemente presente all’interno dei fatti narrati, è
possibile notare come questi non agisca mai da solo o di propria iniziativa, in quanto si
ritrova sempre accompagnato nello svolgere il suo ruolo da alcuni membri della nobiltà.
Da questo punto di vista è necessario infatti sottolineare come siano, in realtà, dei cavalieri
a promuovere un buon esercizio della giustizia nel regno. Questo avviene in primo luogo
recandosi dal sovrano per chiedere di citare in giudizio il Vasconcelos a causa dei crimini
da lui commessi249
:
[…] E passou assi perante el rei dom
Sancho Capelo, e veerom-no a emprazar
perante el rei dom Sancho de Portugal dom
[…] E accadde così di fronte al re don
Sancho Capelo, e lo vennero a citare in
giudizio innanzi al re don Sancho di
249
Sezione all’interno della quale possiamo notare la presenza di un’enumerazione, volta creare nella mente
del lettore l’immagine della gran quantità di vassalli che si recano presso la corte del sovrano a reclamare
giustizia e, dunque, a dimostrare quanto numerosi fossero i signori interessati al mantenimento dell’ordine
nel proprio regno.
132
Estevam Anes de Freitas, irmão d’Airas
Eanes, e Rui Fafez e Vaasco Lourenço, e
Martim Lourenço de Cuinha. […]
Portogallo don Estevam Anes de Freitas,
fratello d’Airas Eanes, e Rui Fafez e Vaasco
Lourenço e Martim Lourenço de Cuinha.
[…]
E, in secondo luogo, incalzando costantemente il monarca con le proprie richieste.
Vediamo infatti i cavalieri, poche righe più in basso, recarsi ogni giorno presso la corte al
fine di esortare il re a prendere una posizione forte nei confronti del nobile codardo, che,
nonostante i numerosi richiami, continuava a rifiutare di presentarsi al duello:
[…] E os cavaleiros, andando de cada dia
perante el rei, demandando-lhe dereito, e el
rei pesando-lhe muito e veendo que non
podia i al fazer. […]
[…] E i cavalieri, andavano ogni giorni al
cospetto del re, domandandogli di far
giustizia, e al re pesava molto e vedeva che
non vi poteva fare altro. […]
All’interno della narrazione dunque i membri della classe nobile si pongono quasi
come “motori” della macchina giudiziaria – come coloro che forniscono l’impulso affinché
il re agisca riportando l’ordine presso la corte – e di una giusta amministrazione del diritto:
leggendo queste righe si ha infatti l’impressione che il re non prenda mai decisioni di
propria iniziativa, ma si attivi sempre solo in seguito a uno “stimolo”, per così dire, posto
dai suoi cavalieri, che sembrano dunque rivestire un ruolo di estrema rilevanza nella
gestione delle faccende del regno.
La funzione dei nobili non sembra però limitarsi a questo nel racconto. Oltre che come
promotori di un corretto esercizio della giustizia, i signori portoghesi appaiono infatti in
una posizione che, se messa in relazione con quanto detto nella narrazione del capitolo VII
e nelle fonti storiche, appare importantissima, ovvero quella di saggi consiglieri del re:
[…] E porque o outro nom queria viir aos
prazos quel he eram devisados, havendo seu
conselho com peça de bõos e de cavaleiros
pesando-lhe muito, e a sentença foi esta […]
[…] E siccome l’altro non voleva venire
entro i termini che gli erano comunicati, si
consigliò con parte dei buoni e di cavalieri,
pesandogli molto, e la sentenza fu questa
[…]
133
Da queste parole appare evidente come sia anche grazie all’aiuto dei suoi consiglieri
che re Sancho arrivi a elaborare la sentenza che condannerà João Pires de Vasconcelos,
riportando la pace e l’ordine presso la corte. Anche in questo caso è possibile dunque
notare quanto sia importante l’influenza positiva dei signori portoghesi sulle decisioni
prese dal re, che, come si può vedere, non arriva a emettere una condanna prima di essersi
consultato con i vassalli che componevano il suo entourage di corte.
Ciò che però stupisce all’interno di questa narrazione è che, per la prima volta, i
membri della nobiltà siano presentati come buoni consiglieri. Se si rivedono infatti le
parole utilizzate nella sezione del capitolo VII dedicata a d. Sancho II, « mais houve maos
conselheiros e des ali adiante nom fez justiça», è possibile notare come l’effetto dei nobili
consiglieri sulle azioni del re – oltre ad essere di estrema rilevanza – sia esclusivamente
negativo, e non venga fatta alcuna menzione all’esistenza, presente o passata, di buoni
vassalli che avessero aiutato il monarca in una corretta amministrazione della giustizia.
Allo stesso modo, anche all’interno della bolla papale sopra menzionata, la Grandi non
immerito, si fa esplicito riferimento a come la riprovevole condotta del re Capelo fosse
ascrivibile, almeno in parte, all’influenza di cattivi consiglieri:
[…] Caeterum castra, villas, possessiones et
alia iura regalia, idem rex propter ipsius
desidiam, suique cordis imbecillitatem
deperire permittens, ac passim et illicite
malignorum acquiescens consiliis, alienans
tam ecclesiasticarum, quam saeculiarium
personarum nobilium et ignobilium
occisiones nefarias, dum religioni non
parcitur, nec sexui, vel aetati, rapinas
incestus raptusque monialium et
saeculorarium mulierum, rusticorum ac
negotiatiorum tormenta gravia, quae ipsis a
nonnullis regni praefati pro extorquenda ab
ipsis pecunia infliguntur;250
[…]
[…] Oltre a ciò, per indolenza e meschinità
lo stesso re lascia cadere in rovina castelli,
città, terre e altri diritti (possedimenti)
regali, e, impazzito, acconsentendo senza
riflettere, e illecitamente, ai consigli dei
malvagi, coscientemente tollera criminali
omicidi tanto di ecclesiastici quanto di laici,
di nobili o di persone umili, senza badare
alla religione al sesso o all’età, così come
alle rapine, agli incesti, ai rapimenti di
donne, sia monache che laiche, e i crudeli
tormenti che alcuni di questo regno
infliggono a negozianti ingenui con lo
scopo di estorcergli denaro; […]
250
Innocenzo IV 1245, pp. 516-519.
134
Cattivi consiglieri che rendevano il re un inutile inetto – dato che a quanto pare nel suo
regno tutto era permesso, idea che prende forma nella mente del lettore grazie al sapiente
uso dell’iperbole e dell’enumerazione251
– e che sono identificati nel testo poche righe
prima, ritrovando tra essi non soltanto appartenenti classe nobile, come ci si potrebbe
aspettare, ma anche membri del clero corrotti:
[…]Unde quia sic in eodem regno a
quibuslibet suis subditis impune
delinquntur, barones, aliique ipsius regni
nobiles et ignobiles, sumto ex hoc
delinquendi ausu, matrimonia contrahere in
gradu prohibito, bona ecclesiastica rapere,
[…]
[…] et nonnulli de regno ipso Ecclesiarum
et monasteriorum patroni, ac alii asserentes
se patronos, cum non sint […] Ecclesias
ipsas et monasteria eadem ad tantam
inopiam redegerunt, quod eis nequeuntibus
proprios substentare ministros, quin imo
aliquibus ex ipsis servitorum solatio
destitutis, et aliorum claustris, refectoriis,
caeterisque officinis, equorum stabulis et
postribulis quarumlibet personarum vilium
deputatis, divini nominis et religionis exinde
penitus est sublatus bonis illorum omnibus
in direprionem expositis et in predam252
.
[…]
[…] Per questo, questi crimini sono
commessi impunemente da alcuni dei suoi
sudditi, baroni e altri nobili del regno,
incoraggiati nell’essere sregolati da questo
stato delle cose, contraggono matrimoni tra
gradi proibiti, si impossessano di beni della
chiesa, […]
[…] e ci sono persone in questo regno che,
essendo protettori di chiese e monasteri, e
altri che asseriscono di essere protettori
anche se non lo sono […] hanno ridotto
queste chiese e questi monasteri a un tale
stato di povertà che non sono in grado di
sostentare i propri ministri, altri furono
privati dell’aiuto della servitù e chiostri,
mense e vari edifici di altri furono destinati
a diventare stalle per i cavalli e abitazioni di
gente di umile stato, così fu altamente
pregiudicato il nome di Dio e della
religione, e i suoi beni furono sottoposti a
saccheggi e delapidati […]
Come si è già manifestato in precedenza dunque, è una novità che all’interno della
narrazione relativa a João Pires de Vasconcelos i nobili consiglieri del re siano presentati
251
Due artifici retorici utilizzati frequentemente nella bolla papale. 252
Innocenzo IV 1245, pp. 516-519.
135
sotto una luce positiva, come una sorta di guida del re nel suo prendere importanti
decisioni.
Ed è proprio su questo ruolo di guida svolto dai nobili del regno, buona o cattiva che
sia, che si vuole concentrare in questo caso l’attenzione. Si è infatti visto come, già
all’interno del precedente capitolo, il sovrano sia spesso presentato nelle cronache come un
ingenuo, un uomo che si lascia guidare dai pareri altrui in ogni sua decisione253
.
Se dunque anche in questo racconto ritroviamo un re che, per quanto con esiti
soddisfacenti, si lascia indirizzare in ogni sua decisione dai membri della sua corte, si può
affermare che l’immagine che fornisce di lui questa storia sia davvero positiva?
Anche all’interno di questa narrazione vediamo infatti come Sancho II sia dipinto quasi
come un “fantoccio”, guidato di una nobiltà che sembra essere il vero gruppo sociale che
sovrintende la gestione degli affari del regno, in maniera diretta o indiretta – come
d’altronde pare essere realmente accaduto nel periodo compreso tra il 1224 e il 1227.
Per quanto dunque l’apporto dato della nobiltà abbia portato a risolvere positivamente
la vicenda e il sovrano sia stato, infine, acclamato come un buon re, è comunque necessario
notare come anche in questo racconto Sancho II sia sempre dipinto – anche se non
esplicitamente – come un uomo fiacco e succube dei propri consiglieri. Ritroviamo dunque
la stessa immagne presentata all’interno bolla Grandi non immerito e dalle numerose altre
cronache di origine clericale che narrano la storia di questo re.
A seguito di tali considerazioni, e ponendo a confronto questa narrazione con quella
contenuta all’interno della sezione 7C7, risulta dunque ancora più evidente come già a
quest’altezza stesse agendo – o avesse già pienamente agito – quel processo di
manipolazione della memoria storica che si poneva l’obiettivo di screditare l’immagine del
re deposto favorendo l’ascesa del fratello Afonso II254
– all’interno della cui biografia, per
altro, non appare alcuna menzione al ruolo dei suoi consiglieri nella gestione del regno.
Per quanto dunque la narrazione sembri in questo caso aggiungere una serie di dettagli
positivi alla figura di questo re, questo personaggio non riesce mai comunque ad
affrancarsi completamente da quell’aura di negatività che lo circonda fin dalla sua prima
apparizione all’interno del capitolo VII: al suo ineccepibile comportamento e alla sua
253
Si deve infatti ricordare che Sancho smise di essere un buon re, e quindi un buon amministratore della
giustizia, in quanto essenzialmente «houve maos conselheiros» (7C7), suggerendo dunque che questi lasciò
cadere il suo regno nel caos a causa della cativa infuenza che i signori dell’ entourage di corte avevano su di
lui. 254
Di cui si è parlato nella sezione dedicata alla biografia di Sancho II, alle pp. 97-107
136
buona gestione degli affari del regno si accompagna sempre infatti l’idea di un uomo
debole, per non dire addirittura ingenuo nell’ascoltare le altrui direttive.
Si intende infine concludere la sezione relativa alla storia di João Pires de Vasconcelos
con una serie di considerazioni riguardanti la sintassi del testo. È particolarmente
interessante notare infatti come in questo racconto non si ritrovi nulla della fluida
semplicità della narrazione relativa a Sancho II ma, anzi, la sua struttura sintattica si riveli
alquanto complicata dall’inserimento di numerosi incisi che interrompono la lettura e
rendono a volte il testo di difficile interpretazione. Si fa riferimento in particolare in questo
caso alle prime righe del racconto, caratterizzate da una sintassi particolarmente franta e
ricca di interruzioni, il più delle volte contenenti brevi riferimenti e rimandi a legami di
parentela o azioni cui si è fatto riferimento in precedenza:
[…] E dona Maria Soarez, filha primeira de
Soeiro Veegas e de dona Moor Meendez,
foi casada com Joham Pirez de
Vaasconcelos, por sobrenome Joham
Tenreiro, o qual havia seu homizio com
Airas Eanes de Freitas, por morte de Gil
Martĩiz, filho de dom Martim [Paaez]
Ribeir[a], que o dito Airas Eanes // seu
segundo coirmão , do dito Joham Tenreiro,
matara […]
[…] E donna Maria Soarez prima figlia di
Soeiro Veegas e di donna Moor Meenzdez,
sposò Joham Pirez de Vaasconcelos,
soprannominato Joham Tenreiro, che aveva
ucciso Airas Eanes de Freitas,per la morte di
Gil Martĩiz, figlio di don Martim [Paaez]
Ribeir[a], che il detto Airas Eanes, suo
secondo cugino, del detto Johan Tenreiro,
aveva ucciso […]
Non diversamente, il resto della narrazione procede sempre per periodi in cui le
subordinate si susseguono frammentate da numerose incidentali, rendendo dunque a volte
difficoltosa e lenta la lettura.
Si dimostra dunque in tal modo come l’autore del Livro de Linhagens fosse
sicuramente in grado di complicare la struttura sintattica del periodo maggiormente rispetto
a quanto troviamo all’interno della narrazione riguardante la biografia di re Sancho, e
quindi come la sua semplicità e immediatezza fosse frutto di una ricerca stilistica ben
ponderata.
Si conclude con queste due narrazioni la sezione di LL incentrata attorno alla figura di
Sancho II come regnante. I racconti che verranno a seguire tratteranno infatti degli ultimi
137
anni di regno di questo sovrano, quelli della guerra civile, e si concentreranno
maggiormente, pur nella loro brevità, non tanto sul re quanto piuttosto sugli atti compiuti
dai suoi vassalli infedeli, andando ancora una volta ad aggiungere nuovi tasselli a
quell’immagine – volutamente – parziale della sua storia fornita all’interno del capitolo
VII.
138
3. RAIMONDO VIEGAS DE PORTOCARREIRO E IL RAPIMENTO DI D.
MICIA
I primi accenni agli avvenimenti riguardanti la guerra civile tra il conte di Boulogne e il
fratello si trovano all’interno del cap. XLIII, «DOS DE PORTO CARREIRO»255
. Non
sono finora state identificate le fonti complete di questa sezione di LL, ma José Mattoso
dimostrò, come si è visto256
, che un breve segmento di testo deriva dalla versione
conservata di LV, che però non comprende la narrazione che ci si appresta ad analizzare.
Tale elemento permette dunque di supporre che questa sia stata inserita all’interno dei libri
dei lignaggi dopo il 1290, data entro la quale si colloca la redazione del Livro Velho.
Si è deciso in questo caso di trascrivere una cospicua porzione di testo prima della
sezione propriamente riguardante la storia di Sancho II per due ragioni principali: per dare
conto in maniera completa della struttura del lignaggio da cui deriva il protagonista del
racconto, e per mettere in luce il fatto che, prima della storia di Raimondo Viegas, si
inserisce all’interno del capitolo un’altra breve narrazione. Si tratta in questo caso della
storia del moro Anrique Fernandez Magrom, nonno di Raimondo Viegas, del quale si
racconta come, grazie all’intercessione di Alfonso VI di León di cui era fedele cavaliere,
diventò cristiano e sposò Ourana Reimondo, della dinastia dei Porto Carreiro. Ancora una
volta vediamo dunque come che il protagonista della narrazione che si andrà ad analizzare
discenda da una figura che si inserisce all’interno del lignaggio principale – i Portocarreiro
– attraverso il matrimonio, e in cui dunque la parte della coppia che porta con sé un passato
prestigioso è quella femminile.
Da questo punto di vista, è probabile che la narrazione della singolare storia e dei
meriti di Anrique Fernandez – nome postogli da re Alfonso VI dopo il battesimo – fu
inserita all’interno di LL non soltanto per le sue particolarità, ma potrebbe aver avuto
piuttosto lo scopo di dimostrare come questo personaggio fosse all’altezza di una tale
unione, dato che sarà proprio dai frutti di questo matrimonio che si svilupperà il
lignaggio257
.
DOS DE PORTO CARREIRO
255
LL, Vol II, p.9. 256
Mattoso 1984, pp. 35-55, come si è visto a p. 48 257
Dei matrimoni delle sorelle di donna Ourana, d’altronde, non si fa qui alcuna menzione.
139
258Dom Garci’Afonso foi casado com dona Estevainha
Meendez filha de --, e fez em ela
259dom Reimon Garcia, que foi casado com dona
[Gontinha Nunez de Azevedo], e fez em ela
dona Ourana Reimondo
e dona Dordia Reimondo, que forom casadas;
e dona Tereija Reimondo
e dona Elvira Reimondo, que forom freiras.
260E a sobredita dona Dordia Reimondo foi casada con
Rodrigu’Eannes de Penela, e fez em ela geeraçom,
como se mostra em este livro no titulo --.
261E dona Ourana Reimondo, sa irmãa, foi casada com
Anrique Fernandez Magrom.
Em tempo del rei dom Afonso, o que filhou
Toledo, havia ũu mouro em Cordova que era ricomen
e mui fidalgo e de grande companha, e era mui
boo cavaleiro d’armas, e veo-se pera el rei dom
Afonso, suso dito. E el rei dom Afonso o rogou tanto
que o houve a tornar cristão, e batizou-o e foi seu
padrinho e pose-lhe nome Fernand’Afonso e herdou-o
mui bem e casou-o com dona Orra//ca Gonçalvez,
filha de Gonçalo Veegas de Marnel. Castela e Leom
e Portugal, todo era del rei dom Afonso, o que filhou
Toledo. Em aquel tempo, este dom Fernand’Afonso
fez em esta dona Orraca Gonçalves ũu filho e ũa
filha: a filha houve nome dona Elvira Fernandez,
e o filho houve nome don Anrique Fernandez, por
sobrenome don Anrique Magro. E a sobredita dona
Elvira Fernandez foi casada com Meem Veegas de
Sousa, e fez em ela dom Gonçalo de Sousa e seus
irmãos, assi como ja dissemos no titulo XXII, dos
Sousãos, parrafo 6°, donde decendem os Sousãos de
Marnel. E dom Anrique Fernandez Magro, irmão da
dita dona Elvira e filho dos suso ditos Fernand’Afonso
e de dona Orraca Gonçalvez, foi casado com dona
Ouroana Reimondo de Porto Carreiro, filha de dom
258
43A1 259
43A2 260
43A3 261
43B3 (de A2)
140
Reimon Garcia de Porto Carreiro, suso dito, e de
dona [Gotinha Nunez]. E este dom Anrique Fer-
nandez Magro fez em esta sa molher, dona Ouroana
Reimondo
dom Egas Anriquiz
e dona Sancha Ainriquiz, que foi casada com
dom Gueda Gomez Guedaão, e houverom semel,
como se mostra no titulo XXX de dom Gomez
Meendez Guedam, parrafo 17°.
E a sobredita dona Sancha Ainriquiz foi despois
casada com Paai Soarez Romeu, o presto-
meiro, como se mostra no titulo XLII, de dom
Goido Araldez, parafo [10°], e houverom semel.
262E dom Egas Anriquez, seu irmão, filho dos
sobreditos
dom Anrique Fernandez e de dona Ouroana, foi
casado com dona Tereija Gonçalvez de Curveira, filha
de dom Gonçalo Veegas de Curveira e de dona Orraca
Vaasquez e fez em ela
dom Joham Veegas, que foi arcebispo de Braga,
e Gomez Veegas, que chamarom por sobrenome
Peixoto, que foi boo cavaleiro, e morreo sem semel,
e Gonçalo Veegas, que chamarom [Alfeiram]
e Reimon Veegas //
e Lourenço Veegas, que chamarom Maça Ma-
deira, que foi casado com dona Elvira Fernandez
de Coimbra, e nom houverom semel.
263DE GONÇALO VEEGAS, O QUE CHAMAROM
O ALFEIRAM, FILHO DE DOM EGAS ANRIQUIZ
DE PORTO CARREIRO E DE DONA TEREIJA
GON-
ÇALVES. Este Gonçalo Veegas, o Alfeiram, foi
casado com dona Sancha Pirez Correa, que ja
dissemos, e fez em ela
Pero Gonçalvez
e Goçalo Gonçalvez
e Joham Gonçalvez
e Rui Gonçalvez Bifardel
262
43B4 263
43B5
141
e dona Orraca Gonçalvez, que foi casada com
Fernand’Afonso Gato, como se mostra no titulo
XL, de dom Ar[u]aldo, parrafo 6°.
e dona Maria Gonçalvez.
- E Pero Gonçalves, que foi moi boo cava-
leiro, e morreo sem semel.
- E Joham Gonçalvez, seu irmão, deste Pero
Gonçalvez, de padre e de madre, er foi mui boo
cavaleiro, e morreo freire.
264DE RUI GONÇALVESZ BIFARDEL, FILHO DE
GONÇALO VEEGAS E DE DONA SANCHA PIREZ
FILHA DE DOM PERO PIREZ GRAVEL E DE
DONA
OUROANA PAAEZ CORREA QUE JA DISSEMOS.
Este Rui Gonçalvez Bifardel foi casado com dona
Senhorinha Fernandez, filha de Fernan Goçalvez
Chancinho e de dona Moor Afonso de Cambra, e fez
em ela semel, como ja dissemon no titulo XXXI,
de dona Ouroana Meenzez, parrafo 3°.
265E o sobredito Gonçalo Gonçalvez, filho de Gonçalo
Veegas, o Alfeiram, foi creligo.
266E dona Orraca Gonçalvez, suso dita, irmãa deste
Rui Gonçalvez Bifardel, foi casada com Fernan-
d’Afonso Gato, e houverom semel, como se mostra
no titulo XL, de dom Ar[u]aldo, parrafo 6°.
267E a sobredita dona Maria Gonçalvez, filha de Gon-
çalo Veegas, o Alfeiram e de dona Sancha Pirez que
ja dissemos, foi casada com dom Vaasco Martĩiz
Pimentel, e houverom semel, como se mostra no
Titulo XXXV, deste dom Vaasco Pimentel, parrafo 4°.
268DE REIMON VEEGAS DE PORTO CARREIRO
FILHO DE DOM EGAS ANRIQUEZ E DE DONA
264
43B6 265
43C6 (de B5) 266
43D6 (de B5) 267
43E6 (de B5) 268
43F5 (de B4)
142
TEREIJA GRONÇALVEZ DE CURVIEIRA. Este
Rei-
mom Veegas foi casado com dona Maria Ouriguiz,
filha de // dom Ourigo, Velho, de Novrega, e fez
em ela
Joham Reimon de Porto Carreiro
[e Estevam Reimondo]
e dona Orraca Reimondo, que foi abbadessa de
Lorvão,
e dona Tereija Reimondo de Porto Carreiro, que
foi monja.
E este Reimom Veegas de Porto Carreiro, suso dito,
seendo vassalo d’el rei dom Sancho Capelo e seu
natural de Portugal, veo ũa noite a Coimbra con
companhas de Martim Gil de Soverosa, o que venceo
a lide do Porto, u el rei jazia dormindo em sa cama
e filharom-lhe a rainha dona Micia, sa molher d’a
par dele e levarom-na pera Ourem, sem seu mandado
e sem sa vontade. E quando o el rei roube, lançou
em pos eles, e nom os pode alançar, salvo em Ourem,
que era entom mui forte, e tiinha-o a rainha dona
Micia, suso dita, em arras. E chegou el rei i e
disse-lhe que lhe abrissem as portas, ca era el rei
dom Sancho, u ele levava seu preponto vestido de
seus sinaes e seu escudo e seu pendom ante si. E
derom-lhe mui grandes seetadas e mui grandes pedra-
das no sei escudo e no seu pensom, e assi se houve
ende a tornar
269DE JOHAM REIMON DE PORTO CARREIRO,
FILH[O] DE DOM REIMONDO VEEGAS DE
E questo Reimom Veegas de Porto Carreiro, di cui si
è parlato sopra, essendo vassallo del re Sancho
Capelo e suo conterraneo portoghese, venne una
notte in Coimbra in compagnia di Martim Gil de
Soverosa, colui che vinse la battaglia di Porto, e il re
giaceva dormendo nella sua camera e gli presero la
regina donna Micia, sua moglie dal suo fianco, e la
portarono fino a Ourem, senza il suo ordine e senza
la sua volontà. [E quando o el rei roube]272
, si lanciò
dietro di loro/all’inseguimento, ma non li poté
raggiungere, salvo che in Ourém, che era in quel
momento molto fortificata, e teneva la regina donna
Micia, di cui si è parlato sopra, in ostaggio273
. E
arrivò lì il re e gli disse che gli si aprissero le porte,
perché lui era il re don Sancho, ove egli portava la
sua cotta d’arme274
vestita dei suoi vessilli e il suo
scudo e la sua bandiera dinanzi a sé. E gli diedero
tante saettate e tante sassate sul suo scudo e sulla sua
bandiera, e così se le prese fino a voltarsi indietro.
269
43F6 272
Si è deciso in questo caso di non non tradurre la frase in questione, in quanto palesemente errata
all’interno del contesto. Non si può pensare che manchi un complemento di termine – ovvero supporre che la
frase originaria potesse essere “[a] el rei” con caduta della “a” – in quanto “rei” è soggetto anche del verbo
successivo, “lançou”, e all’interno di una tale costrruzione sarebbe errato inoltre anche il pronome “o”, in
quanto l’oggetto del rapimento è femminile, ovvero la regina d. Micia. In edizione, non è proposta da
Mattoso nessuna alternativa alla lezione scritta a testo. 273
arras: dall’accusativo plurale del latino ARRA (ovvero ARRAS), si trova tradotto all’interno del
Dicionario de dicionarios do galego medieval come “dote”. Si è deciso tuttavia in questo caso di rendere il
termine mantenendosi più prossimi al significato del vocabolo latino, “pegno”. 274
preponto: una tunica rinforzata, decorata con le proprie insegne, da porre sopra l’usbergo di moda nel XIII
secolo.
143
PORTO
CARREIRO E DE DONA MARIA OIRIGUIZ DA
NO-
VREGA. Este Joham Reimondo foi casado com . ũa
boa dona de Lixboa, que havia nome dona Dordia
Martĩiz, filha de Domingos Martĩiz, cidadão honrado
de Lixboa, e fez em ela
Martim Anes Reimondinho
e outra filha que houve nome Maria Anes Rei-
mondinha.
E fora ante casada esta dona Dordia Martĩiz, suso
dita, com Pero Botelho de Sendim, e houverom semel
como ja dissemos.
270Este Martim Anes Reimondinho, filho primeiro de
dom Joham Reimondo e de dona Dordia Martĩiz, foi
casado com outra boa dona de Santarem, que havia
nome dona Maria Vaasquez, filha de Vaasco [Mar-
tĩiz] de Chamusca, e fez em ela
Rui Martĩiz de Chamusca
e dona Tereija Martĩiz, que foi casada com
Afonso Correa
-E Rui Martĩiz da Chamusca, seu irmão foi
casado com dona - 271
.
La narrazione in questione tratta uno degli episodi più interessanti e singolari della
guerra civile tra Sancho II e il fratello Afonso: il rapimento della regina d. Micia. Per lungo
tempo si discusse sulla possibile veridicità di questo racconto, ma, come dimostrato da
José Varandas275
, si può oggi ritenere assodato che si trattò di una tattica elaborata dal
conte di Boulogne per bloccare ogni iniziativa del fratello, facendo in modo che questi
dividesse le sue forze creando un profondo squilibrio all’interno del suo schieramento.
Afonso avrebbe dunque in seguito approfittato di questa debolezza per dare il colpo di
grazia a delle truppe già moralmente fiaccate.
Per quando riguarda la figura di Raimundo Viegas, questa risulta essere l’unica
impresa di rilievo all’interno della brevissima sezione a lui dedicata all’interno di LL.
Veritiera o meno, è comunque particolarmente interessante notare le parole con cui si narra
270
43F7 271
LL, Vol. II, pp. 9-13. 275
Varandas 2009, pp. 80-94.
144
questa vicenda, dato che la posizione dell’autore al riguardo appare piuttosto ambigua: non
è ben chiaro se si voglia esaltare l’astuzia e il coraggio dell’atto individuale di un cavaliere
o condannarlo per il suo tradimento.
Per quanto infatti si specifichi chiaramente che il Portocarreiro fosse «vassalo d’el rei
dom Sancho Capelo e seu natural de Portugal»276, e dunque un uomo unito al suo signore
da un imprescindibile legame di fedeltà, allo stesso tempo i dettagli utilizzati per descrivere
la sua azione – l’attendere la notte, l’ardire di entrare nell’accampamento nemico e di
prendere la moglie del sovrano proprio dal suo fianco – parrebbero quasi indicare un certo
compiacimento, una certa simpatia per questo signore che ha rischiato la sua vita in
un’impresa ardua e sfacciata.
Da questo punto di vista, risulta inoltre di particolare interesse che, all’interno di queste
poche righe, non appaia mai associato alla figura di Raimondo Viegas l’attributo «traedor».
Sebbene si possa dire infatti che il suo essere traditore emerga naturalmente dalle azioni da
lui compiute – poiché rapire la moglie del proprio sovrano è certamente uno tra i più gravi
atti di sfida che un vassallo possa realizzare nei confronti del suo signore – è anche vero,
d’altro canto, che tale epiteto appare costantemente nelle narrazioni successive riguardanti
la cessione dei propri castelli al conte di Boulogne da parte di alcuni signori portoghesi,
ove, anzi, i protagonisti delle storie vengono descritti con parole molto dure. Appare
dunque ancora più significativo che in questo caso non venga espressa chiaramente alcuna
accusa diretta nei confronti del vassallo, le cui fortunose azioni vengono anzi descritte
senza alcuna aperta condanna, come tuttavia avviene all’interno di LL qualora le azioni
commesse dai protagonisti di determinate vicende siano ritenute riprovevoli.
A sua volta, anche il modo in cui è descritta la figura di re Sancho all’interno di questa
narrazione lascerebbe maggiormente propendere per la prima delle due ipotesi. Il sovrano
deposto appare infatti ancora una volta in tutta la sua debolezza: non solo lascia che la sua
regina sia rapita mentre gli dormiva accanto, ma non riesce nemmeno a raggiungere i
rapitori o a riprendersi la moglie trattenuta contro la sua volontà in Ourém. Se si prendono
ad esempio le parole con cui si conclude la narrazione:
[…] E derom-lhe mui grandes seetadas e
mui grandes pedradas no sei escudo e no
seu pensom, e assi se houve ende a tornar
[…] E gli diedero tante saettate e tante
sassate sul suo scudo e sulla sua bandiera, e
così se le prese fino a voltarsi indietro.
276
LL, 43F5.
145
è possibile addirittura notare una certa ironia nella descrizione di come Sancho II venga
sconfitto e cacciato dai ribelli presenti in Ourém, un’ironia che appare ancora più evidente
nella ripresa delle parole «escudo» e «pensom», innalzati qualche riga prima a simboli
della potenza e dell’autorità del re deposto:
[…] E chegou el rei i e disse-lhe que lhe
abrissem as portas, ca era el rei dom
Sancho, u ele levava seu preponto vestido
de seus sinaes e seu escudo e seu pendom
ante si. […]
[…] E arrivò lì il re e gli disse che gli si
aprissero le porte, perché lui era il re don
Sancho, ove egli portava la sua cotta d’arme
vestita dei suoi vessilli e il suo scudo e la
sua bandiera dinanzi a sé.277 […]
In queste righe vediamo dunque ancora una volta il Capelo dipinto come un re
pienamente incapace e indegno del suo ruolo, in quanto non è in grado di difendere quelli
che sono i simboli primari del suo status e del suo potere: la sua regina e i suoi vessilli. In
particolare, riguardo quest’ultimi, si potrebbe per altro aggiungere che non solo non sono
stati presi e difesi con la spada, ma sono anzi stati schiacciati e cacciati da un’arma molto
più “volgare”: delle semplici pietre. Se si mettono dunque a confronto le parole autoritarie
del re con la descrizione della sua ingloriosa sconfitta – che non prevede nessuna battaglia,
ma una vera e propria cacciata a suon di sassate – l’umiliazione subita appare ancora più
evidente.
Si può notare, dunque, come anche in questo caso Sancho II venga dipinto in tutta la
sua fragilità, un ritratto conforme a quello presentato da tutte le altre fonti di origine
clericale e a quanto di lui ci viene narrato nelle sezioni precedenti di LL ma che, al
contrario, stona pesantemente con quell’immagine di vigoroso comandante che ci viene
descritta dagli storici a lui contemporanei, che narrano le sue imprese contro i mori del
regno andaluso.
277
È possibile notare all’interno di queste righe un ulteriore elemento di interesse di tale narrazione: la
presenza di vocaboli tratti dall’ambito militare. Si tratta infatti dell’unico racconto, tra quelli analizzati in
questa sede, all’interno del quale vediamo comparire una tale terminologia, che si rivela un’ interessante
novità in ambito lessicale dato che l’autore, come si è visto in precedenza, aveva già dimostrato di avere una
certa familiarità sia con ambienti clericali – nella narrazione relativa alla biografia del re Sancho – che nel
campo del diritto – nel racconto relativo a João Pires de Vasconcelos. Da questo punto di vista, è
particolarmente importante notare che, esattamente come la storia del Capelo si arricchisce di dettagli
attraverso l’analisi di nuove narrazioni, così anche dal punto di vista lessicale si ritrovano all’interno di
racconti diversi terminologie specifiche provenienti dagli ambiti più disparati, che dimostrano come gli
uomini che lavoravano al servizio del conte di Barcelos possedessero una vasta e variegata cultura, degna
degli entourage delle migliori corti dell’epoca.
146
Infine, vale la pena soffermarsi su un dettaglio della narrazione che, sebbene a prima
vista possa sembrare di scarso interesse, si rivela in reltà un elemento essenziale per
comprendere come e quanto all’interno del Livro de Linhagens la storia di Sancho II sia
manipolata per creare e diffondere l’immagine di un re inutile e, soprattutto, solo nella sua
battaglia per difendere i propri diritti al trono. Da questo punto di vista si rivela alquanto
significativo il fatto che, nel compiere la sua impresa, Raimondo Viegas sia accompagnato
da Martim Gil de Soverosa:
[…] E este Reimom Veegas de Porto
Carreiro, suso dito, seendo vassalo d’el rei
dom Sancho Capelo e seu natural de
Portugal, veo ũa noite a Coimbra con
companhas de Martim Gil de Soverosa […]
[…] E questo Reimom Veegas de Porto
Carreiro, di cui si è parlato sopra, essendo
vassallo del re Sancho Capelo e suo
conterraneo portoghese, venne una notte in
Coimbra in compagnia di Martim Gil de
Soverosa […]
Se infatti le fonti indicano chiaramente come la famiglia dei Porto Carreiro sia stata
una delle prime ad appoggiare Afonso III nella sua lotta contro il fratello Sancho278, molto
più stupefacente è la presenza di Martim Gil de Soverosa accanto a Raimondo Viegas, in
quanto si sa che questi fu certamente tra più fedeli vassalli del Capelo, uno di coloro che
continuarono a lottare per il proprio re anche dopo l’esilio, fino al gennaio del 1248.
Ci troviamo di fronte in questo caso a un’importante alterazione della memoria storica
in quanto non solo non si fa mai alcuna menzione – non solo un questo caso, ma in
qualunque passo di LL – all’eventuale esistenza di sostenitori di Sancho II, ma addirittura
si trasforma uno dei suoi più fedeli signori in un traditore, all’interno di una narrazione
che vuole avere un carattere anche, se non soprattutto, storico.
Come avviene all’interno del Cap. VII, anche in questa occasione dunque si vede
deliberatamente di dimenticato un pezzo di storia, una serie di avvenimenti che avrebbero
potuto alterare l’immagine pienamente positiva che si voleva fornire di Afonso III nonché
quella pienamente negativa del fratello: inserire all’interno della narrazione la presenza di
eventuali sostenitori di Sancho avrebbe comportato ammettere che, al momento del suo
arrivo in Portogallo, il conte di Boulogne non fu accettato dall’intera popolazione come si
voleva invece far credere. Anche in questo caso tuttavia, non si può affermare con
278
In quanto è per altro noto che l’arcivescovo di Braga che si recò a Lione da papa Innocenzo IV per
chiedere la deposizione di re Sancho era João Viegas de Portocarreiro, fratello di Raimondo Viegas.
147
sicurezza se tale alterazione degli avvenimenti storici sia stata opera del Conte di Barcelos
o si trovasse già presente all’interno della fonte da lui utilizzata per la redazione di questo
passo. Ciò nonostante, che sia o meno opera di don Pedro, questo dettaglio si rivela
comunque essenziale per comprendere le modalità attraverso cui si intendeva costruire la
figura del re Capelo all’interno di opere di caratteres storico e, dunque, di quanto
profondamente avesse agito al tempo quel meccanismo di manipolazione della memoria
storica di cui si è già parlato a lungo in precedenza.
Sancho è dipinto come un’uomo completamente solo. Per quanto altrove nel libro si
condannino i vassalli che lo avevano tradito, comunque non si trova mai nessuna menzione
a coloro che invece lo avevano sostenuto, mantenendo dunque appieno il ritratto
completamente negativo di questo re anche nel momento in cui si condannano per la loro
fellonia i sostenitori del fratello.
In conclusione, si è accennato in precedenza come l’interpretazione di questa storia
all’interno di LL appaia piuttosto difficile, in quanto la posizione presa dall’autore nei
confronti delle azioni compiute da Raimondo Viegas si rivela piuttosto ambigua. José
Mattoso nel suo volume del 1984279 si dimostra convinto che tale narrazione sia nata con lo
scopo di denunciare le esecrabili azioni compiute dal Portocarreiro, il quale, nonostante
fosse legato a Sancho II da un giuramento imprescindibile di fedeltà, va contro i suoi
doveri di vassallo commettendo una serie di crimini gravissimi: non solo offende
profondamente il re rapendo un membro della sua famiglia, ma attacca anche quelle stesse
insegne verso cui doveva invece profonda venerazione.
In base a quanto esposto poco sopra però tale ipotesi, fin’ora per lo più accettata senza
critiche, non pare più così convincente. Non si può infatti evitare di notare come all’interno
dell’intera narrazione, per quanto si metta in evidenza il legame di vassallaggio che unisce
Raimondo Viegas a Sancho II, l’autore non si pronunci mai a condannare esplicitamente le
azioni del protagonista, cosa che invece avviene in altre narrazioni, ove i traditori sono
aspramente criticati per aver voltato le spalle al proprio signore – come si vedrà in seguito.
Oltre a ciò, è evidente anche in questo caso la volontà di chi scrive di porre sotto una
cattiva luce il re deposto, portando attraverso questa narrazione un’ulteriore prova di come
il Capelo fosse un sovrano sostanzialmente inadatto alla carica che stava rivestendo: non
solo non si dimostrò in grado di proteggere quelli che erano i simboli principali del suo
potere e della sua autorità, ma non fu nemmeno in grado di punire adeguatamente il
279
Mattoso 1984, pp. 279-283.
148
colpevole di tali crimini, e l’umiliante sconfitta subita sembra esserne una prova
sostanziale.
Piuttosto che a una critica del comportamento tenuto dal cavaliere, sarebbe forse più
giusto affermare che in questo caso ci troviamo nuovamente di fronte a una narrazione
volta a dimostrare l’inanità di Sancho II nel suo ruolo di sovrano, la quale si inserisce
all’interno di quel processo di manipolazione della memoria storica attuata dai membri
della Chiesa del quale si è già parlato in precedenza. Non pare esservi, in questo caso,
alcuna volontà di scostarsi da una tale visione dei fatti, cosa che, quanto meno in parte, non
si potrà forse dire per le narrazioni seguenti.
149
4. MEM CRAVO E I BEZERRA
Si è deciso infine di analizzare insieme gli ultimi due racconti in quanto, trattando il
medesimo argomento e presentando una lunghezza alquanto ridotta, risultano essere
particolarmente affini.
Seconda tra le narrazioni riguardanti il periodo della guerra civile e prima tra quelle che
raccontano della cessione di castelli regi al conte di Boulogne, la storia di Mem Cravo si
inserisce all’interno del cap. XLVII di LL, «DE DOM GOMEZ ESPINHEL»280
. Essendo
una famiglia della piccola nobiltà in via di sviluppo, la cui origine per altro non è
specificata281
, il lignaggio di don Gomez occupa uno dei capitoli più corti del Nobiliario
del conte di Barcelos, e per questo si è deciso di riportare in questa sede il suo intero testo.
La narrazione riguardante Mem Cravo, in particolare, occupa le ultime 13 righe sulle 48
totali, rivestendo dunque una posizione di rilievo all’interno di questa sezione di LL. La
figura di Mem Cravo appare in ogni caso in altri due luoghi del libro, 29A4 e 41P5, nei
quali è sempre nominato semplicemente come il padre di d. Orraca Meendez, moglie di
Joham Garcia Espinhel, e, significativamente, come «o que deu o Castelo de Lanhoso»282
,
indicando dunque come questo avvenimento sia quello che più abbia connotato più
significativamente la sua vita. Non esistendo all’interno del Livro de Linhagens ulteriori
riferimenti alla sua famiglia è logico concludere che si trattasse di un lignaggio minore e di
scarsa rilevanza.
DE DOM GOMEZ ESPINHEL
283Este dom Pero Gomez Espinhel foi casado com dona
Tereija Anes de Paradinhas, e fez em ela
dona Aldara Pirez Espinhel
e Martim Pirez Espinhel.
284Esta dona Aldara Pirez Espinhel foi casada com
dom Afonso Veegas, o que chamarom Moço, filho
de dom Egas Moniz de Riba de Doiro, e fez em
ela semel, como se mostra no titulo XXXVI, de dom
280
LL, Vol. II, p. 44. 281
Come spesso avviene per i lignaggi che derivano da genealogie di cavalieri, come si suppone accada
anche per questo capitolo. Tale questione è stata analizzata in maniera più approfondita a p. 53 282
LL, Vol. I, 29A4, p. 328. 283
47A1 284
47A2
150
Moninho Veegas, parrafo 14°.
285E Martim Perez Espinhel, irmão da dita Aldara Pirez
Espinhel e filho dos sobreditos Pero Gomez Espinhel
e de dona Tereija, foi casado com dona - , e fez
em ela
Martim Martĩiz Espinhel
e Garcia Martĩiz.
286Este Marim Martĩiz Espinhel, sobredito, foi casado
com dona -, e fez em ela
287dona Tereija Martĩiz Espinhel, que foi casada
com Soeiro Correa, e fez em ela
dona Ermegonça Soarez,
e dona Marinha Soarez, que forom casadas e
houverom semel como se mostra no titulo
[LVIII].
288E o dito Garcia Martĩiz Espinhel nom foi casado,
mais teve ũa barregãa, e fez em ela
Joham Garcia Espinhel.
289Este Joham Garcia Espinhel foi casado com dona
Orraca Meendez, filha de Meem Cravo e de dona
Maria Pirez de Vides, de gaança, e fez em ela
dona Marinha Anes, que foi casada com Martim
Rodriguez Rabeelo, como se mostra no titulo XLI,
dos Coronees, parrafo 6°,
e outra dona Guiomar Eanes, que foi casada com
Joham Vaasquez Peixoto, como se mostra no titulo
XXIX, dos Peixotos, parrafo 1°.
Este Meem Cravo, donde decendem estes suso ditos,
teve o castelo de Lanhoso de mão de dom Godinho
Fafez, a que fez menagem por ele. E dom Godinho
Fafez tiinha o castelo d’el rei dom Sancho Capelo,
a que fezera menagem por ele. E este Meem Cravo
deu este castelo del Lanhoso a el rei dom Afonso,
Questo Meem Cravo, da cui discendono quelli di
cui si è parlato sopra, ebbe il castello di Lanhoso
dalle mani di don Godinho Fafez, a cui fece per
questo giuramento di fedeltà. E don Godinho
Fafez ebbe il castello dal re don Sancho Capelo,
a cui aveva fatto giuramento di fedeltà per quello. E
285
47B2 (de A1) 286
47B3 287
47B4 288
47C3 (de B2) 289
47C4
151
quando era conde de Bolonha, por preitesia que lhe
trouve dom Rodrigo Gomez de Briteiros, que era pa-
rente de dona Maria Pirez de Vides, que odito Meem
Cravo rousara per força, e tinha-a no castelo. E
Ficou por treedor este Mem Cravo, pelo castelo que
nom deu a dom Godinho Fafez, a que fezera menagem
por ele, nem a el rei, cujo castelo era290
.
questo Meem Cravo diede questo castello di
Lanhoso al re don Afonso, quando era conte di
Bolonha, a patto che gli trovasse don Rodrigo
Gomez de Briteiros, che era parente di donna Maria
Pirez de Vides, che il suddetto Meem
Cravo rapì con la forza, e la teneva nel castello. E
e divenne traditore questo Mem Cravo, per il
castello che non diede a don Godinho Fafez, a cui
aveva fatto giuramento per quello, né al re, di cui
era il castello.
L’ultima delle narrazioni analizzate in questa sede è, infine, quella riguardante Soeiro
Bezerra, inserita all’interno del capitolo LXVI del Nobiliario di don Pedro: «DOS
D’AFONSECA QUE SOM PADROEIROS E NATURAES DO MOESTEIRO DE
MANCELUS. E QUEREMOS PRIMEIRO COMEÇAR EM MEEM GONÇALVEZ
D’AFONSECA»291. In seguito agli studi comparativi effettuati da José Mattoso292 si può
indicare come fonte di tale sezione di LL la versione attualmente conservata nel Livro do
Deão, ove però non compare nessun riferimento a Soeiro Bezerra. Quest’assenza porta a
concludere che l’inserimento di tale narrazione sia avvenuta dopo il 1340, termine ante
quem si ritiene sia avvenuta la redazione di LD.
La storia di Soeiro Bezzerra si trova inserita all’interno del capitolo in quanto il fratello
del protagnista, Gonçalo Gonçalvez Bezerra, era nonno della moglie di Rui Meendez
D’Afonseca, e dunque un lontano parente acquisito della lignaggio cui è dedicata questa
sezione del Nobiliario. Il fatto che non si abbiano all’interno di LL ulteriori riferimenti
Gonçalo Gonçalvez Bezerra, al fratello Soeiro o ad altri personaggi con tale cognome,
implica che probabilmente questi fossero parte di una famiglia di cavalieri della piccola
nobiltà, il cui lignaggio non era ritenuto abbastanza importante da apparire all’interno del
Livro.
Come sempre si è deciso di inserire in questa sede una porzione di testo maggiore
rispetto alla sola narrazione, in quanto utile a comprendere il contesto all’interno del quale
si trova inserita.
290
LL, Vol. II, pp. 44-45. 291
LL, Vol. II, p. 145. 292
Mattoso 1984, pp. 35-55; vedi pp. 49,53
152
293E o sobredito Meem Gonçalvez D’Afonseca, que dis-
semos, despois que lhe morreo esta dona Maria Pirez
de Taavares , que foi a primeira molher, casou despois
com dona -, e fez em ela
Pero Meendez
e Lourenço Meendez
e dona Elvira Meendez.
294Este Pero Meendez foi casado con dona -, e fez
em ela //
Gonçalo Pirez
e Vaasco Pirez
e Rui Pirez, que morreo sem semel.
-E o sobredito Gonçalo Pirez foi freire da
Ordem de Santiago.
295E Vaasco Pirez foi casado con dona Costança Este-
vẽz, e fez em ela
Lourenço Vaasquez
e Rui Vaasquez, e houverom ambos semel como
se mostra no titulo XLII, de dom Pero Meendez
d’Aguiar.
296E dona Elvira Meendez, [tia] do dito Vaasco Pirez
e [irmãa] dos sobreditos Pero Meendez d’Afonseca e
de dona -, foi casada com Martim Anes d’Avelos,
e fez em ela
o bispo dom Vaasco Martĩiz de Guarda
e Estevam Martĩiz d’Avelos
e dona Guiomar Martĩiz d’Avelos.
-E este forom casados e houverom semel.
297DONDE VEM DONA TEREIJA ANES E OS QUE
DELA DECENDEROM, E COMEÇA EM GONÇALO
GONÇALVEZ BEZERRA, COMO FOI BOO
CAVALEI-
RO E OS FILHOS QUE HOUVE. Este Gonçalo Gon-
çalvez Bezerra foi mui boo cavaleiro e houve ũu mao
DA DOVE VIENE DONNA TEREJA ANES E
COLORO CHE DA LEI DISCESERO. E
COMINCIA CON GONÇALO GONÇALVES
BEZZERRA, COME FU UN BUON CAVALIERE
E I FIGLI CHE EBBE. Questo Gonçalo Gonçalves
Bezerra fu un cavaliere molto buono e aveva un
293
66E1 (=A1) 294
66E2 295
66E3 296
66F2 (de E1) 297
66G1 (de ?)
153
irmão e de maos feitos, que houve nome Sueiro
Gonçalvez, Sueiro Bezerra. E este Sueiro Bezerra
houve filhos tam maos como ele e de tam maos feitos,
e forom treedores, tambem o padre como os filhos, ca
derom peça de castelos na Beira, que tiinham d’el rei
dom Sancho, a que haviam feita menagem por eles
e derom-nos ao conde dom Afonso de Bolonha, quando
viinha por governador do regno per mandado do Papa.
E este Gonçalo Gonçalvez Bezerra, suso ditos, foi
casado com dona -, e fez em ela ũa filha que houve
nome
298dona Tereija Gonçalvez, que foi boa dona, e foi
casada com Joham Soarez Chico (?), filho de
Sueiro Froiazm do couto de Loimir, e fez em ela
ũa filha ũu filho, que houve nome
Martim Anes, Martim Sam Colmado por so-
brenome,
e a filha houve nome dona Tereja Anes.
299Este Martim Anes, Martim Sam Colmado por sobre-
nome, foi casado com dona -.
300E dona Tereija Anes, sua irmãa, foi casada com Rui
Meendez d’Afonseca, e fez em ela
Afonso Rodriguez, que chamarom Michom,
e Estevam Rodriguez
e dona Orraca Rodriguez.301
fratello cattivo e di malefatte, e si chiamava Sueiro
Gonçalves, Sueiro Bezerra. E questo Sueiro Bezerra
ebbe figli tanto cattivi e di tante malefatte, e furono
traditori, così il padre come i figli, che diedero parte
dei castelli in Beira, che avevano preso dal re don
Sancho, a cui avevano fatto giuramento di fedeltà
per essi,
e li diedero al conte don Afonso di Bolonha, quando
divenne, governatore del regno per ordine del Papa.
Si tratta in questo caso di due dei più brevi racconti di LL, tanto che risulta addirittura
difficile asserire di potervi trovare espressa una chiara volontà narrativa.
Ciò che però rende interessanti tali due narrazioni è il fatto che in esse si ritrovi la
prima aperta condanna presente nel Livros de Linhagens dei signori che avevano tradito il
legame di fedeltà vassallatica che li univa a Sancho II, dal momento che avevano
consegnato i propri castelli all’usurpatore Afonso di Boulogne. Vediamo dunque
aggiungersi qui un nuovo tassello alla storia di Sancho II, il primo che sembrerebbe poter
298
66G2 299
66G3 300
66H3 (de G2; = A2) 301
LL, Vol II, pp. 146-147.
154
mettere in discussione quella visione unilaterale della vicenda che è stata presentata
fin’ora.
Nell’analisi di questi due racconti di particolare interesse si rivela infatti lo studio del
lessico, in quanto più di tutto meritano attenzione le due parole chiave attorno alle quali
ruotano le vicende: «menagem» e «traedor».
In particolare, «menagem» è un termine tecnico che indica l’indissolubile giuramento
di fedeltà che presta un vassallo al proprio signore, ed ha, nel periodo feudale una valenza
quasi sacrale. Il fatto che venga menzionato all’interno di queste narrazioni, ove prima,
invece, ciò non era stato fatto302
, implica come l’autore voglia in questo caso sottolineare
l’importanza del legame che si era deciso di rompere volontariamente, e dunque, della
colpa commessa. Tale volontà pare essere più evidente all’interno della prima narrazione,
ove il termine «menagem» sembra tornare con particolare insistenza – ben tre volte in
tredici righe – all’interno di una costruzione che sembrerebbe quasi formulare: «a que fez
menagem por ele». Tra queste, risulta di particolare interesse notare che si annovera anche
una ripetizione non strettamente necessaria alla comprensione del discorso e che
sembrebbe dunque voler sottolineare, con la sua estrema ridondanza, l’importanza della
questione all’interno della breve storia.
Molto più significativo di questo termine però, per comprendere la portata della
condanna presente in queste righe, è la presenza dell’epiteto «traedor». Il fatto che i
protagonisti di queste vicende vengano marchiati come traditori, una delle più atroci colpe
che esistessero all’epoca, indica una precisa volontà dell’autore di indicare tali
comportamenti quali crimini gravissimi, nonostante fossero stati commessi per favorire
l’ascesa al trono di Afonso di Boulogne, delle cui qualità come re e sulla cui supremazia
sul fratello si era parlato in precedenza – si precisa infatti in entrambi i casi che la cessione
del castello era avvenuta quando questi era ancora conte, e non re di Portogallo.
Il fatto che, dunque, si decida di condanndare questi vassalli per aver rotto il
giuramento che li legava a re Sancho si rivela di estrema importanza soprattutto se posto in
relazione con quanto si afferma nelle precedenti narrazioni. Si è visto infatti come dalla
lettura di tutte le sezioni di LL analizzate fin’ora emerga chiaramente un’adesione totale a
quel sistema ideologico creato e sviluppato dai membri del clero, che legittimava
l’intervento della Santa Sede nelle questioni interne ai regni cristiani, arrivando addirittura
a deporre un re e a proclamarne uno nuovo. La completa ed immediata accettazione da
302
Si fa riferimento in particolare al caso di Raimondo Viegas de Portocarreiro, che era stato identificato
come vassallo del re Sancho e dunque come un cavaliere che aveva prestato tale giuramento.
155
parte del popolo portoghese del conte Afonso come nuovo sovrano, descritta nel capitolo
VII303
, ne è una chiara prova: nessuno si è opposto, secondo quanto si racconta, alla
decisione papale.
Le storie di Mem Cravo e Soeiro Bezerra però, ci mettono di fronte, per la prima volta,
a un punto di vista diverso, che si basa su un sistema ideologico opposto a quello fin’ora
incontrato: il sistema ideologico feudale-signorile. Per quanto infatti si possa dire che,
all’interno di questi racconti, l’utilizzo della storia di Sancho II sia quasi strumentale – in
quanto ciò che si condanna in queste storie, è il tradimento in sé – comunque la decisa
condanna morale che si ritrova in questi due brevi narrazioni fa emergere una nuova
visione degli avvenimenti, che vede nella fedeltà dei vassalli al proprio signore il più sacro
vincolo che possa legare un uomo. Tale legame, si rivela essere più importante delle
decisioni prese dalla Chiesa che, anzi, non aveva diritto di intromettersi all’interno di
questo rapporto. Coloro che erano vassalli del re Sancho non dovevano vendere la propria
fedeltà al conte di Boulogne e, dunque, non dovevano sentirsi obbligati a rispettare la
volontà di un’autorità che minacciava il loro signore, il loro re.
Se dunque fino a questo momento ci si era trovati dinnanzi a un libro che si presentava
ideologicamente omogeneo, in poche righe vediamo ora crollare questa immagine, in un
processo che dimostra ancora una volta come il Nobiliario del conte Pedro sia in realtà un
opera estremamente eterogenea e ricca di sfaccettature.
Le due narrazioni, infine, non presentano elementi di particolare rilievo dal punto di
vista stilistico o sintattico, elementi che si inseriscono tuttavia all’interno di una precisa
necessità retorica. È da notare infatti la completa assenza nei due testi di figure retoriche di
alcun genere, a testimonianza di come la volontà dell’autore non fosse tanto quella di
“narrare” due eventi, quanto piuttosto quella di condannare, in maniera secca e
incontestabile, i comportamenti negativamente esemplari dei due vassalli.
La sintassi delle è, infine, alquanto franta e lenta. Non si ritrova infatti all’interno di
queste storie l’ariosa semplicità del capitolo relativo alla biografia di Sancho, in quanto la
narrazione procede costantemente rallentata da continui incisi, e ripetizioni – soprattutto,
come si è visto, per quanto riguarda la sezione relativa a Mem Cravo. Si ritiene tuttavia da
sottolineare in questa sede come, in maniera singolare, quasi l’intera narrazione relativa a
Soeiro Bezerra si trovi all’interno di un unico periodo, la cui lunghezza è determinata dalla
303
Vedi pp. 113-114.
156
presenza di continui incisi, specificazioni e riprese che rendono la struttura sintattica del
testo particolarmente complessa, nonché lenta e difficoltosa la lettura.
Sebbene dunque questi due brevi racconti aprano alla visione del lettore nuove
prospettive, all’interno di LL alcune parti della storia di Sancho II rimangono comunque
completamente oscure. Non si fa infatti qui alcun riferimento all’esistenza di sostenitori del
Capelo, a coloro che hanno lottato per il loro re e per poter difendere l’idea secondo la
quale solamente ai vassalli spettava la decisione di deporre il proprio signore. Come prima,
il sovrano deposto appare solo nella sua battaglia, abbandonato da chi gli doveva essere
fedele. Non una sola parola viene spesa per difendere la sua figura o sper smentire
quell’immagine di uomo fiacco e debole che si ritrova in tutti gli altri passi del Livro.
L’immagine del re sconfitto che era stata costruita nei capitoli precedenti non viene alterata
all’interno di queste narrazioni, così come non si critica apertamente l’azione del papa e di
Afonso di Boulogne.
Ciò nonostante, le due storie rimangono comunque di estremo interesse, in quanto
hanno il compito di introdurre all’interno di LL un punto di vista nuovo, che si discosta,
anche se solo in parte, dal sistema ideologico che dominava le precedenti narrazioni. Per
quanto dunque la storia di Sancho II in questi ultimi racconti sia strumentalizzata al fine di
condannare non tanto quei determinati vassalli, ma la rottura del giuramento vassallatico in
sé, questi brevi racconti aprono comunque al lettore la possibilità di confrontarsi con altre
ideologie e nuove modalità di interpretare la vicenda storica.
Quasi paradossalmente, è proprio in queste due ultime storie che si può ritrovare la
grandezza e la ricchezza del Livro de Linhagens, un libro che vive di tutte le sfaccettature
che si possono ritrovare al suo interno, che dalla grande varietà di fonti utilizzate per la sua
realizzazione sa far scaturire un’opera sempre diversa e a volte sorprendente.
Prima di leggere questi due racconti non vi potevano essere dubbi: il papa aveva agito
per il bene del regno deponendo un sovrano debole e inutile, innalzando al suo posto un
uomo forte che finalmente roportò la pace; ora, queste due brevissimi racconti
inaspettatamente sembrano poter mettere in crisi questa visione, sapendo far nascere nel
lettore il germe del dubbio.
157
La versione dei fatti proposta e propagandata dai membri del clero riesce, infine, a
prevalere, ma, ove non ce lo si aspetta, si aprono comunque nuovi spiragli verso altri modi
di intepretare la storia304
.
304
Tali ideologie avevano invece già preso piena forma poco tempo dopo lo svolgersi degli avvenimenti in
una serie di cantigas d’escarnho e maldizer che, condannando apertamente le azioni dei vassalli traditori,
avevano espresso per la prima volta un parere discordante da quello dominante della Chiesa. Si tratta delle
poesie cui si è accennatto all’interno del capitolo III, p. 89 , e che saranno incluse in sede di appendice.
158
159
CONCLUSIONI
In seguito a quanto è stato esposto si ritiene infine necessario riassumere, seppur
brevemente, i pensieri di chi scrive riguardo il lavoro svolto.
All’interno di questo elaborato si è avuto più volte modo di rapportarsi con i numerosi
studi svolti sui Libri dei Lignaggi, confrontandosi il più delle volte con le tesi esposte nei
volumi pubblicati da José Mattoso dagli anni ’70 fino ai giorni nostri. Per quanto tuttavia i
lavori dello storico portoghese siano stati senza dubbio innovativi rispetto a quelli dei suoi
predecessori, si ritiene che su molti punti essi necessitino di alcune essenziali revisioni.
Sebbene in effetti le edizioni da lui pubblicate abbiano indubbiamente permesso di
compiere notevoli passi in avanti con lo studio dei tre Livros, è altresì vero che i suoi studi
critici si sono limitati a fornire agli studiosi un testo, per sua stessa ammissione,
semplicemente “leggibile”, senza ulteriori velleità filologiche. Attualmente dunque, le tre
opere necessitano di una vera edizione critica, un lavoro che dovrebbe cominciare ancora
una volta dallo studio dei sessanta manoscritti fin ora ritrovati – si ricordi infatti che
Mattoso non fu in grado di accedere alla visione di molti di quelli da lui censiti, limitandosi
a etichettarli come descripti di T1.
La mancanza di particolari attenzioni filologiche riguardanti il testo pubblicato non può
evitare inoltre di creare ulteriori problemi, in quanto non permette di fornire in questa sede
un’analisi linguistica delle narrazioni trattate. In base ai dati attualmente in nostro possesso
infatti, non è chiaro se la scripta dai tratti portoghesizzanti presentata all’interno
dell’edizione possa essere ritenuta affidabile o frutto del lavoro dello studioso:
comprenderlo avrebbe reso necessaria un’opera di consultazione e confronto dei
manoscritti contenenti l’opera, un impegno che non poteva essere affrontato in questa sede
ma che ci si augura possa essere preso in considerazione in futuro.
Allo stesso modo, non si è ritenuto convincente la metodologia utilizzata dallo storico
portoghese – e in seguito anche da Juan Paredes – per suddividere le narrazioni LL in sei
categorie principali da lui individuate. Molto spesso infatti la motivazione addotta per
l’inserimento di un racconto in una determinata categoria appare molto vaga e fin troppo
aleatoria, dando spesso l’impressione che le narrazioni siano state categorizzate secondo
etichette prestabilite e non che, viceversa, le etichette siano state create in base alle
peculiarità dei racconti, come invece dovrebbe essere. Oltre a ciò, molte volte inoltre non
appare ben chiaro perché un testo sia stato inserito in una sezione anziché in un’altra,
160
rendendo dunque ancora più evidente, nella loro costante insicurezza, la fragilità di queste
categorizzazioni.
Sembrerebbe dunque necessaria, da questo punto di vista, la creazione di una nuova serie
di etichette che, basandosi su nuovi e approfonditi studi sulle narrazioni del Nobiliario,
sfocerebbe necessariamente in una completa rivisitazione del modello proposto sa Mattoso.
Sebbene dunque la si sia trovata decisamente poco convincente – e sicuramente
migliorabile – si è comunque deciso in questa sede di mantenere la categorizzazione
elaborata in precedenza, di modo da fornire a chi legge una base, seppur poco solida, sulla
quale poter creare possibili nuovi modelli, nonché un elenco pressoché completo dei
racconti presenti all’interno di LL.
L’importanza rivestita da questi libri – e dalle narrazioni in essi contenuti – nella storia
della letteratura di area ibero-romanza implica che essi meritino di essere oggetto di un
rinnovato interesse filologico, dato che allo stadio attuale gli studi compiuti sull’argomento
si sono rilevati in parte insoddisfacenti.
In base a quanto si è visto nei capitoli di questa tesi, il Livro de Linhagens del conte di
Barcelos si è rivelata un’opera estremamente complessa e ricca di sfaccettature, all’interno
della quale una moltitudine di narrazioni diverse per origini e dimensioni si ricompongono
all’interno di un unico obiettivo: celebrare ed esaltare una classe nobile in crisi, che aveva
la necessità di trovare una rinnovata unità e nuovi valori per poter rinascere.
La storia di Sancho II, da questo punto di vista, è un esempio emblematico di quanto
appena affermato, da diversi punti di vista. Non può infatti passare inosservato come
all’interno delle diverse narrazioni che compongono questa storia sia celebrato, nel bene e
nel male, il ruolo assolutamente centrale svolto dalla nobiltà nella gestione del regno di
Portogallo: il buono o il cattivo comportamento del re appare sempre attribuito infatti,
direttamente o indirettamente, all’influenza che hanno su di lui i suoi consiglieri.
Allo stesso modo, una medesima volontà di esaltare l’audacia e la grandezza della nobiltà
portoghese si è potuta inoltre vedere – ponendosi in questo caso in disaccordo con quanto
sostenuto da Mattoso305
– anche nella storia di Raimondo Viegas de Portocarreiro, le cui
temerarie azioni sono narrate con uno sguardo non tanto accusatorio, come alcuni hanno
supposto, quanto piuttosto quasi divertito, che sembra compiacersi dell’audacia e della
sfrontatezza dell’impresa.
305
Mattoso 1984, pp. 89-92 e Mattoso 1981, pp. 279-283.
161
Ma oltre a ciò, si ritiene necessario soffermarsi anche sulle singolari modalità attraverso
cui la storia di Sancho II è raccontata all’interno del Nobiliario. Si è visto infatti come in
LL la vicenda di questo re sia un racconto che si costruisce lungo tutto il libro e si
arricchisce di dettagli man mano che si progredisce con la lettura. Oltre che di nuovi
particolari però, questo singolare modo di trattare la storia fa in modo che la vicenda di
Sancho II riesca ad arricchirsi non solo di nuovi particolari ma anche, come si è visto, di
nuove prospettive, che in maniera del tutto inaspettata arrivano a sconvolgere, seppur
parzialmente, un quadro che sembrava fino a quel momento uniforme e ben definito. Si sta
parlando in questo caso ovviamente delle due ultime narrazioni analizzate, quelle relative a
Mem Cravo e a Soeiro Bezerra, attraverso le quali il conte di Barcelos – ponendosi ancora
una volta quale uno dei più ferventi continuatori dell’opera culturale e ideologica di
Alfonso X306
– riesce a diffondere e a difendere i principi di una nuova forma di onore
vassallatico che la lunga frequentazione della corte castigliana gli aveva col tempo
insegnato a valorizzare e seguire.
Per quanto infatti queste ultime due narrazioni non riescano a sconvolgere l’immagine che
fino ad allora era stata dipinta della vicenda, ciò che è più interessante notare è proprio
l’improvviso quanto inaspettato cambio di prospettiva e punti di vista che esse portano con
sé, e in cui vediamo rispecchiarsi quella che è, a parere di chi scrive, la grandezza di questo
libro: il fatto di essere al medesimo tempo unico, vario, sfaccettato e inaspettato.
La storia di Sancho II non è tuttavia che un piccolo esempio delle possibilità di analisi
e riflessione, filologica e non solo, che uno studio approfondito di questo libro potrebbe
fornire. Ci si augura che questo elaborato possa essere servito, pur nel suo piccolo, a
dimostrare quanto possa esserci ancora da lavorare e da scoprire in quest’opera
inestimabile.
306
Alfonso X di Castiglia e León (1221-1284) è un sovrano ricordato infatti soprattutto per la fervente
attività culturale che contraddistingue il suo regno. Avo del conte di Barcelos, sono attribuibili al suo
scriptorium una nutrita serie opere sia in prosa (in lingua castigliana) che in poesia (in galego-portoghese), le
quali, nella loro vastità, dimostrano una grande varietà di interessi da parte del sovrano e una precisa volontà
di creare attorno a sé una corte moderna e istruita. Sono infatti attribuibili allo scriptorium alfonsino
importanti opere astronomiche e astrologiche, giuridiche (tra le quali devono essere ricordate le Siete
Partidas), storiche (che comprendono anche il progetto, mai portato a compimento, della Grande e General
Estoria), di intrattenimento e, infine, poetiche (numerose cantigas profane e il celebre corpus delle Cantiga
de Santa Maria). Attraverso la creazione e la diffusione di testi così importanti fu il sovrano che contribuì più
di tutti a diffondere e adattare ai regni iberici il codice di fedeltà feudale già vigente nel resto d’Europa. Per
approfondire tale argomento, si consiglia l’articolo di Alfonso D’Agostino, La corte di Alfonso X di
Castiglia, in Lo spazio letterario del Medioevo. 2 Il Medioevo volgare, pp. 735-785 (D’Agostino 2001).
162
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168
169
APPENDICE 1
Si è deciso di inserire in appendice le tre poesie incentrate attorno al periodo della
guerra civile tra Sancho II e il fratello Afonso.
Si tratta, in particolare, di tre cantigas d’escarnho e maldizer scritte con lo scopo di
condannare e deridere con la loro feroce ironia i vassalli che avevano consegnato i propri
castelli al conte di Boulogne, tradendo il giuramento di fedeltà che li legava al re legittimo.
Proprio questo si rivela essere – all’interno dell’analisi condotta in questa sede – il
maggior elemento di interesse delle poesie. Il loro contenuto rivela infatti come, mentre i
chierici si impegnavano nella produzione di cronache e documenti che dimostrassero
l’inadeguatezza di Sancho II e la necessità dell’intervento papale per rimuoverlo dalla sua
carica, negli anni successivi alla guerra civile alcuni poeti di corte si fecero portatori di
un’ideologia contraria, che si opponeva all’azione svolta dalla Santa Sede nella
detronizzazione del sovrano portoghese. Secondo questo secondo modo di concepire la
gestione di un regno, soltanto i nobili potevano decidere di deporre il proprio sovrano, in
quanto il giuramento di fedeltà che legava un signore ai propri vassalli era da considerarsi
sacro e inscindibile, e di certo non poteva essere rotto per ordine di un’autorità estranea.
Attraverso queste poesie si possono inoltre aggiungere alla storia di re Sancho una serie
di importanti dettagli che non si ritrovavano, significativamente, all’interno del Livro de
Linhagens. Oltre a condannare i vassalli traditori infatti, le tre cantigas contengono anche
alcuni riferimenti a coloro che rimasero fedeli al re Capelo nella sua lotta contro il fratello
– meu senhor arcebispo, anzi, è addirittura attribuita nella finzione poetica al signore di
Sousa, che aveva seguito il re deposto in esilio – dimostrando dunque, a differenza di
quanto sostenuto in LL, che non tutti avevano accettato di buon grado l’arrivo di Afonso in
Portogallo, e che vi furono anzi una serie di lotte intestine tra i sostenitori delle due fazioni.
Seppur sempre parzialmente, queste poesie aprono dunque al lettore la possibilità di
conoscere un’altra parte della storia di Sancho II, una parte che all’interno del Nobiliario di
d. Pedro si è voluta cancellare. Per questo si è deciso dunque di introdurre in questa sede,
seppur brevemente, le tre cantigas, per poter dare la possibilità di comprendere l’esistenza
al tempo di pareri diversi da quelli dominanti all’interno di LL.
Ogni poesia sarà introdotta da una breve sezione riguardante i rispettivi autori, dei
quali, purtroppo, non sono giunte molte informazioni. Ciò che tuttavia è possibile sapere è
170
stato comunque riportato in questa sede con lo scopo di informare, se possibile, su quali
debbano essere stati i rapporti dei tre trovatori con gli avvenimenti della guerra civile.
AFONSO MENDES DE BESTEIROS – JÁ LHI NUNCA PEDIRAM
Sulla vita di Afonso Mendes de Besteiros abbiamo oggi poche certezze.
Ciò nonostante, è con ragionevole grado di sicurezza che si tende a indicare come
probabile luogo di nascita del poeta la città di S. Cosme de Besteiros307
, parte della contea
di Paredes. La storia di questo trovatore pare infatti essere legata alla potente famiglia Riba
de Vizela308
, al tempo signori di quella contea, e, in particolare, a d. Gil Martim e al figlio
di questi, Martim Gil, in quanto il poeta appare come testimone in ben due documenti
d’archivio a lui legati309
. Gran parte della biografia di Afonso Mendes è dunque stata
ricostruita in base ai rapporti di vassallaggio che questi deve aver avuto nei confronti dei
Riba de Vizela.
È estremamente probabile che Afonso Mendes fosse al fianco di Gil Martim quando
questi seguì Sancho II in esilio in Castiglia, ipotesi che sembrerebbe trovare conferma
proprio nelle sue cantigas. Oltre a quella chiaramente indirizzate a un vassallo traditore del
re deposto, che aveva ceduto con delle scuse il castello all’usurpatore Afonso de Bolonha –
che si troverà trascritta in seguito –, vi è una seconda poesia che parrebbe confermare la
partecipazione del trovatore alle guerre castigliane, «Don Foão que eu sei que á preço de
livrão», indirizzata a un cavaliere codardo datosi alla fuga durante la guerra contro il regno
d’Andalusia310
.
Pur essendo un cavaliere, la mancata menzione di questo personaggio all’interno dei
Libri dei Lignaggi permette di supporre che si trattasse di un membro di una famiglia meno
preminente, se non addirittura della piccola nobiltà311
.
307
Oliveira 1994, p. 309. 308
È risaputo d’altronde che i membri di questo lignaggio accolsero e protessero alcuni trovatori, come
avvenne nel caso di Rodrigo Eanes d´Alvares e Rodrigo Eanes Redondo. 309
Due divisioni di beni tra Martim Gil e le sorelle (datati 1285 e 1286) e una donazione dello stesso al
monastero di S. Vicente de Fora (1290). 310
Sul periodo successivo a questi avvenimenti non abbiamo testimonianze dirette, ma è probabile che sia
tornato in Portogallo a seguito della famiglia Riba de Vizela nel 1253. Si può comunque supporre che abbia
mantenuto in ogni caso contatti con la corte castigliana, accompagnando i suoi signori presso la corte del Rei
Sabio nel 1281 e nel 1285. 311
Si è deciso dunque in questo caso di non accogliere l’ipotesi proposta da Nunes (Nunes 1928, p. 256), che
vede in Afonso Mendes de Besteiros il discendente di una famiglia dell’antica nobiltà portoghese.
171
Di questo trovatore ci sono giunte in totale nove cantigas che comprendono tutti i tre
generi principali della lirica galego-portoghese: nove cantigas d’amor – di cui tuttavia
cinque sono solamente frammenti – due cantigas d’amigo e due d’escarnho e maldizer.
La poesia è tradita dal solo codice Colocci-Brancuti, con il numero 1559 (f. 325v.)
Si tratta di una cantiga di denuncia nei confronti degli alcaides e dei falsi pretesti da
loro utilizzati per cedere i loro castelli al conte di Boulogne, ovvero la mancanza la di
uomini e rifornimenti per difendere le proprie fortezze.
1
5
10
15
20
Já lhi nunca pediram
o castel’a Dom Foam
ca nom tinha el de pam
senom quanto queria;
e foi-o vender de pram
com mínguas que havia.
Porque lh’ides [a]poer
culpa [por] nõ[n’o] teer?
Ca nom tinha que comer
senom quanto queria;
e foi-o entom vender
com mínguas que havia.
Travaram-lhi mui sem razom
a home de tal coraçom
– Em fronteira de Leon
– diz – com quem-no terria?
E foi-o vender entom
com mínguas que havia.
Dizem que lh’a el mais val
esto que diz, ca com al:
– Em cabo de Portugal
– diz – com quem-no terria?
E vende[u]-o entom mal
com mínguas que havia.
Non gli chiederanno mai
il castello a Don Foan;
perché lui non aveva pane
se non quanto voleva,
e lo fece vendere sicuramente
con le ristrettezze312
che aveva.
Perché gli andate ad attribuire
colpa per non mantenerlo?
perché non aveva da mangiare
se non quanto voleva,
e lo fece allora vendere
con le ristrettezze che aveva.
Lo criticano molto senza ragione
un uomo di tale coraggio:
“Alla frontiera di Leon”
dice “con chi lo difenderei?”
e lo fece vendere allora
con le ristrettezze che aveva.
Dicono che l’ha più aiutato
questo che dice, che nient’altro:
“Nella parte alta del Portogallo”
dice “con chi lo difenderei?”
E l’ha venduto allora male
con le ristrettezze che aveva.
Ed. di riferimento: Videira Lopes 2002
AIRAS PERES VUITORON – A LEALDADE AA BEZERRA
Anche in questo caso ci troviamo di fronte a un poeta con una biografia dai tratti
piuttosto oscuri. Come spesso avviene, molto di ciò che sappiamo di questo trovatore è ciò
che è possibile dedurre da un’analisi delle sue cantigas. In questo caso, «A lealdade da
312
Si è scelto in questo caso di tradurre mínguas con “ristrettezze” e non con “necessità”, significato letterale
del termine, in quanto si ritiene sia maggiormente conforme al contesto.
172
Bezerra pela Beira muito anda» ci suggerisce che Airas Peres de Vuitoron avesse preso
parte alla guerra civile che sconvolse il Portogallo tra il 1245 e il 1247. Tali considerazioni
hanno portato inizialmente a supporre che si trattasse di un poeta di origine portoghese, ma
si tende oggi ad accettare l’ipotesi proposta da Micaëlis de Vasconcelos313
che vede in
Airas Peres de Vuitoron un cavaliere di origine galega, figlio dell’arcidiacono Pero Aires
Vuyt, di Lugo. Questa proposta è stata in seguito sostenuta anche dagli studi di Resente de
Oliveira314
, il quale ha riscontrato come il cognome Vuitoron sia assente in Portogallo,
mentre si ritrovi documentato in Galizia in documenti della metà del XIII secolo. Un Pero
Pais Vultoran e un João Peres Vuitoron si trovano documentati rispettivamente nel 1255 e
nel 1262 all’interno di documenti della regione che spaziava da Ourense a Santiago de
Compostela, per cui suppone dunque che si possa situare proprio in questa regione
l’origine del lignaggio.
Per quanto dunque si possano avere poche certezze su quale sia stato il percorso di
questo autore, è comunque abbastanza certo che abbia partecipato agli eventi che hanno
portato all’esilio in Castiglia del re Sancho II di Portogallo, come appare testimoniato dalle
sue cantigas, due delle quali fanno riferimento a personaggi direttamente coinvolti nella
guerra civile315
. In seguito, alcuni documenti rivelano come, dopo aver probabilmente
accompagnato in esilio il re deposto, il trovatore abbia seguito da vicino il percorso di
Alfonso X el Sabio fino a, quanto meno, i suoi primi anni di regno316
.
Le ultime notizie sicure che si hanno su Airas Peres de Vuitoron si trovano in un
documento di suddivisione di beni che testimonia come il trovatore abbia partecipato alla
conquista di Siviglia nel 1248; a partire da questa data tuttavia, non è più possibile sapere
nulla di certo sul percorso da lui intrapreso.
La poesia è tradita dai due codici italiani, il manoscritto Colocci-Brancuti e il
canzoniere della Biblioteca vaticana rispettivamente coi numeri 1477 (f. 310r.) e 1088 (f.
178v.).
313
Vasconcelos 1904, ribadita poi in Vasconcelos 1924, p. 17. 314
Oliveira 1994, p. 320. 315
La sopracitata «A lealdade da Bezerra pela Beira muito anda» e la successiva «Don Estêvan diz que
desamor». 316
Si suppone anche che partecipò alla campagna portoghese dell’infante d. Alfonso di Castiglia in aiuto del
re Sancho II, non si sa se per motivi ideologici o per la promessa di ricevere una retribuzione – come alcuni
storici suppongono sia avvenuto tra Sancho II e l’infante castigliano. Non essendoci tuttavia documenti che
lo dimostrino con certezza – e contando che anche i probabili accordi tra Sancho II e Alfonso X altro non
sono che frutto di un’ipotesi – si è deciso di non porre a testo questa teoria.
173
Si tratta della più violenta cantiga scritta contro coloro che favorirono la deposizione di
Sancho II e l’avvento al trono del conte di Boulogne. Diversamente rispetto a quanto
accade nella poesia di Afonso Mendes de Besteiros, in questo caso l’attacco non è rivolto
solamente ai signori portoghesi, ma anche ai membri del clero, che appaiono all’interno
della cantiga col ruolo di legittimare i tradimenti perpetrati dai numerosi alcaides. Di
rilievo, è anche la menzione del comportamento del signore di Celorico, l’unico a
impugnare le armi per difendere il re legittimo nella regione di Beira317
.
Infine, si tratta dell’unica poesia, tra le tre inserite in questa sede, a presentare una
rubrica che indica chiaramente non solo il genere della cantiga, ma anche coloro ai quali è
indirizzata, permettendo dunque al lettore di identificare chiaramente l’occasione per la
quale è stata composta.
Esta outra cantiga é de mal dizer dos que derom os castelos como nom deviam a 'l-rei
Dom Afonso.
1
5
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15
A lealdade aa Bezerra pela Beira muito anda!
Bem é que a nostra vendamos, pois que no-lo Papa manda.
Nom tem Sueiro Bezerra que tort’é vender Monsanto,
ca diz que nunca Deus diss’a Sam Pedro mais de tanto:
– Quem tu legares em terra erit ligaum in celo;
por en diz ca nom é torto de vender hom’o castelo.
Por en diz que nom fez torto o que vendeu Marialva,
ca l’he diss’o arcebispo um vesso per que se salva:
– Estote fortes in bello et pugnate cum serpente;
por en diz que nom é torto quem faz [i] traiçom [e] mente.
O que ar vendeu Leiria muito tem que fez dereito,
ca fez mandado do Papa e confirmou-lh’o Esleito:
– Super istud caput meum et super ista mea capa,
dade o castelo ao Conde, pois vo-lo manda o Papa.
O que vendeu [i] Faria, pera remir seus pecados,
La lealtà della famiglia Bezerra gira molto per la Beira!
è bene che vendiamo la nostra, perché ce lo ordina il
Papa.
Sueiro Bezerra non ritiene che sia un crimine vendere
Monsanto,
perché dice che mai Dio disse a San Pietro più di tanto:
– A chi ti sei legato in terra sarai legato in cielo;
per cui dice che non è un crimine vendere a qualcuno
il castello.
Per questo dice che non fece un crimine chi vendette
Marialva,
perché l’arcivescovo gli disse un versetto attraverso il
quale si sarebbe salvato:
– Rimanete forti nella guerra e combattete contro il
serpente;
per questo dice che non commette crimine chi tradisce
e mente.
Colui che ha venduto Leirea molto ritiene di aver
agito secondo diritto,
perché fu ordinato dal Papa e glielo conferma l’Eletto:
– Sopra questo mio capo e sopra questo mio
cappuccio,
date il castello al Conte, perché ve lo ordina il Papa.
Colui che ha venduto Faria per redimere i suoi peccati,
317
Tale menzione si rivela infatti di particolare importanza se raffrontata con quanto si racconta della storia
di Sancho II all’interno delle narrazioni contenute in LL. Si è visto infatti come in nessun racconto relativo a
questo re appaia alcun riferimento alla presenza di vassalli fedeli al re Capelo, la cui esistenza è stata dunque,
quanto meno nella prosa analizzata, completamente obliterata dalla memoria storica degli avvenimenti.
174
20
25
30
35
40
se mais tevesse mais daria; e disserom dous prelados:
– Tu autem, Domine, dimitte aquel que se confonde;
bem esmolou em sa vida quem deu Santarém ao Conde.
Ofereceu Martim Diaz aa cruz, que os confonde.
Covilhã, e Pero Diaz, Sortelha; e diss’o Conde:
– Centuplum accipiatis de mano do Padre Santo.
Diz Fernam Diaz: – Bem m’ést[e], porque oferi Monsanto.
Ofereceu Trancoso, ao conte Roi Bezerro;
falou entom Dom Soeiro, por sacar seu filho d’erro:
– Non potest filia mea sine patre suo facere quidquam:
salvos som os traedores, pois bem isopados ficam!
O que ofereceu Sintra fez come bom cavaleiro,
e disso-lh’i o legado log’um vesso do Salterio:
– Sagitte potentis acute – e foi i bem acordado:
melhor é de seer traedor ca morrer escomungado.
E quando o Conde ao castelo [ar] chegou de Celorico,
Pachequ’entom o cuitelo tirou; e disse-lh’um bispo:
– Mitte gladium in vagina, com el nom nos empeescas.
Diz Pacheco: – Alhur, Conde, peede u vos digam: Crestas!
Maldisse Dom Airas Soga ũa velha noutro dia;
disse-lhe Pero Soárez um verso per clerezia:
– Non vetula bombatricum scandit confusio ficum;
nom foi Soeiro Bezerra alcaide de Celorico.
Salvos som os traedores quantos os castelos derom;
mostrarom-lhi em escrito [que foi bem quanto fezerom]
super ignem eternum et ad unitatis opem:
salvo é quem trae castelo a preito que o isopem!
se più avesse, più darebbe; e dissero due prelati:
– Anche tu, Signore, perdona colui che si condanna;
ha ben elemosinato nella sua vita chi diede Santaren al
Conte.
Offrì Martin Díaz alla croce, che li condanna.
Covilhã, e Pero Díaz Sortelha; e disse il Conte:
– Riceverete il centuplo dalla mano del Padre Santo.
Dice Fernan Díaz: – Mi sta bene, perché offrii
Monsanto.
Offri Trancoso al Conte Roí Bezerro;
parlò allora Don Soeiro per sottrarre suo figlio
dall’errore:
– Non può far nulla mia figlia senza suo padre:
sono salvi i traditori, perché rimangono ben benedetti!
Quello che offrì Cintra fece come buon cavaliere,
E gli disse lì l’ambasciatore subito un versetto del
Salterio:
– Frecce potenti e affilate – e fu lì ben prudente:
è meglio essere traditore che morire scomunicato.
E quando il Conte arrivò al castello di Celorico,
Pachequo allora trasse fuori il coltello; e gli disse un
vescovo:
– Metti la spada nel fodero, con quello non ci
danneggi.
Disse Pacheco: – Altrove, Conte, scorreggerò ogni
volta che vi dicono: all’attacco!
Maledisse Don Airas Soga una vecchia un altro
giorno318
;
gli disse Pero Soárez un versetto in latino clericale:
– Il vecchio imbarazzo non sovrasta il rumoroso
fico319
;
non fu Soeiro Bezerra signore di Celorico.
Sono salvi i traditori in quanto diedero i castelli;
gli ho mostrato per iscritto che quanto fecero fu cosa
buona,
sopra il fuoco eterno e verso il sistema di unità:
è salvo chi vende castello, a patto che lo aspergano di
acqua benedetta.
Ed. di riferimento: Videira Lopes 2002
318
Suggerisce Lapa che sia un errore evidente, dev’esser stata la vecchia a maledire o a parlar male del
cavaliere traditore. 319
Un verso palesemente chiarissimo di cui il sito Cantigas Medievais galego-portuguesas propone una
traduzione letterale affascinante “a velha vergohna (pudor) non monta as hemorróides “bombasticas”
(ruidosas)”
175
DIEGO PEZELHO – MEU SENHOR ARCEBISPO
Di questo autore non si sa nulla, non avendo a disposizione alcun documento certo che
possa fornire qualche informazione sulla sua provenienza o sul suo percorso. Ancora una
volta, si deve far riferimento a ciò che racconta l’unica cantigas conservata di questo
autore per poter fare qualche supposizione riguardante la sua vita.
La rubrica che appare in entrambi i manoscritti a introduzione della sua unica cantiga
informa che Diego Pezelho apparteneva alla categoria professionale dei giullari. Il tema
trattato nella sua «Meu senhor arcebispo, and’eu escomungado», un forte attacco agli
alcaides traditori di re Sancho II e alla Chiesa, suggerisce che, o come uomo di corte di un
vassallo fedele al re legittimo o al seguito dell’infante Alfonso di Castiglia nel suo
intervento a sostegno di Sancho, abbia preso parte alla guerra civile portoghese tra Sancho
e il fratello Afonso conte di Boulogne tra il 1245 e il 1247. Oltre a ciò, tuttavia, non è
possibile sapere null’altro di certo su questo autore: qualsiasi ipotesi fatta riguardo la sua
provenienza o i suoi spostamenti si è rivelata infatti essenzialmente priva di prove certe che
potessero sostenere la teoria.
La poesia è tradita dai due codici italiani, il manoscritto Colocci-Brancuti e il
canzoniere Biblioteca Vaticana rispettivamente coi numeri 1592 (f. 334v.) e 1124
(f.185r.).
Si tratta in questo caso dell’unica delle tre poesie a presentare un io lirico che, in prima
persona, si scaglia contro il ruolo svolto dalla Chiesa negli eventi che hanno portato alla
deposizione, e in seguito alla sconfitta, di re Sancho II. Questa volta a prendere la parola
infatti è, nella finzione poetica, il signore di Sousa, che ironicamente pentitosi della sua
fedeltà al re deposto chiede all’arcivescovo di Braga di poter essere liberato dalla
scomunica in cambio della promessa di diventare, da lì innanzi, un traditore. In particolare,
l’utilizzo della prima persona riesce a dare alla poesia una fortissima carica emozionale: al
lettore sembra quasi infatti di poter vivere le forti sensazioni provate dal poeta, che non
sono, in questo caso, solo la delusione e la voglia di un’ironica rivalsa morale nei confronti
dei vassalli traditori, ma anche un profondo senso di perdita e di timore, evidenti
soprattutto nelle ultime due strofe.
1 Meu senhor arcebispo, and’eu escomungado Mio signore arcivescovo, io sono scomunicato
176
5
10
15
20
porque fiz lealdade: enganou-mi o pecado.
Soltade-m’, ai, senhor
e jurarei, mandado,
que seja traedor.
Se traiçon fezesse, nunca vo-la diria;
mais, pois fiz lealdade, vel por Santa Maria,
soltade-m’, ai, senhor
e jurarei, mandado,
que seja traedor.
Per mia malaventura, tive um castelo en Sousa
e dei-o a seu don’e tenho que fiz gram cousa.
Soltade-m’, ai, senhor
e jurarei, mandado,
que seja traedor.
Per meus negros pecados, tive um castelo forte
e dei-o a seu dono, e hei medo da morte.
Soltade-m’, ai, senhor
e jurarei, mandado,
que seja traedor.
perché sono stato fedele, mi ingannò il demonio320
.
Assolvimi, oh, signore,
e giurerò, ubbidiente321
,
che sarò traditore.
Se avessi fatto un tradimento, non ve lo direi mai;
ma, poiché sono stato fedele, almeno per Santa Maria,
assolvimi, oh, signore,
e giurerò, ubbidiente,
che sarò traditore.
Per mia disgrazia, avevo un castello in Sousa
e lo diedi al suo signore, e credo di aver fatto una brutta cosa322
.
Assolvimi, oh, signore,
e giurerò, ubbidiente,
che sarò traditore.
Per i miei oscuri peccati, avevo un castello fortificato,
e lo diedi al suo signore, e temo la morte.
Assolvimi, oh, signore,
e giurerò, ubbidiente,
che sarò traditore.
Ed. di riferimento: Videira Lopes 2002
320
Si è seguito il suggerimento proposto all’interno del sito “Cantigas Medievais Galego-Portuguesas”,
traducendo il sostantivo pecado con “demonio”. Tale proposta non è stata ovviamente accettata
passivamente, in quanto si è a lungo pensato di porre a testo la traduzione letterale come avviene al v. 16 – in
cui pecados è reso tramite il termine “peccati” – e mettendo in questo modo in risalto l’utilizzo del medesimo
lemma in due diverse strofe. 321 La traduzione più diffusa di mandado è quella di “messaggio”, “ordine”, “notizia”, ma essendo il termine
qui riferito a una persona, in forma di aggettivo, si è scelto di renderlo attraverso “ubbidiente”, come
suggerito nel Dicionario de dicionarios do galego medieval. La perifrasi proposta dal sito Cantigas
Medievais Galego-Portuguesa, «volontariamente obrigado», è stata infatti ritenuta meno convincente anche
se conforme all’ironia che connota l’intera cantiga. 322
Per la traduzione dell’aggettivo gram si è qui deciso di seguire il suggerimento proposto da Lapa nella sua
edizione del 1970 anziché renderlo letteralmente.
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BIBLIOGRAFIA
Lapa 1970
Manuel Rodrigues Lapa, Cantigas d´Escarnho e de Maldizer dos Cancioneiros
Medievais Galego-Portugueses, 2ª Edição, Vigo, Editorial Galaxia, 1970.
Nunes 1928
José Joaquim Nunes, Cantigas d’Amigo dos Trovadores Galego-Portugueses,
Coimbra, s.n., 1928.
Oliveira 1994,
António Resende de Oliveira, Depois do espectáculo trovadoresco. A estrutura dos
cancioneiros peninsulares e as recolhas dos séculos XIII e XIV, Lisboa, Edições
Colibri, 1994.
Vasconcelos 1904
Cancioneiro da Ajuda, ediçao critica e commentada por Carolina Michaëlis de
Vasconcelos, 2 vol., Halle, 1904.
Vasconcelos 1924
Carolina Micaëlis de Vasconcelos, Em volta de Sancho II, in «Lusitânia», II,
fascículo 1, Lisboa, Setembro 1924, pp 7-25.
Videira Lopes 2002
Cantigas de escarnio e maldizer dos trovadores e jograis galego-portugueses,
ediçao de GracaVideira Lopes, Obras classicas da literatura portuguesa, vol.143,
Lisboa, Editorial Estampa, 2002.
SITOGRAFIA
Dicionario de dicionarios do galego medieval:
http://sli.uvigo.es/DDGM/
Cantigas medievais galego-portuguesas:
http://cantigas.fcsh.unl.pt/
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Data ultima consultazione dei siti: 23/01/2016
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APPENDICE 2
Si riporta in seguito il testo per intero della bolla papale Grandi non immerito con la
quale papa Innocenzo IV depone, nel luglio del 1245, il re Sancho II dalla sua carica ed
elegge al suo posto come protettore del regno di Portogallo il fratello Afonso, al tempo
conte di Boulogne-sur-Mere.
Portugaliae rege regno deturbato propter inhabilitatem, regni proceres monentur, ut comiti
Bolonien. ipsius regis fratri obediant, salvo tamen eiusdem regis, eiusque filiorum iure.
SUMMARIUM
Ecordium. – Causae regis deponendi. – a Gregorio Papa censuris innondatus. – Monitus promissis
non stat. – Damna per eius negligentiam regni Ecclesiis illata; – Et religioni. – Eius desidia in regni
rebus. – Iteratis Papae litteris monitus, et episcoporum libellis. – Processu itaque super his
confecto: – Regni proceres adhortatur Innocentius, ut comite Boloniensi regis fratris obedientiae
iuramentum praestent: – Salvo eiusdem regis, eiusque filiorum iure.
Innocentius episcopus servus servorim Dei, dilectis filiis baronibus, communitatibus, consiliis
tam civitatum, quam castrorum, et aliorum locorum, ac universis militibus et populis per
regnum Portugaliae constitutis, salutem et apostolicam benedictionem.
Grandi non immerito exultamus in Domino gaudio, cum christianae professionis regna sic salubri
diriguntur statu, quos Ecclesiae, ac alia loca cultui et obsequio deputata divinis, et personae
ecclesiasticae, caeterique fideles ipsorum pacis tranquillitate laetantur, fides in eis catholica maiori
continue robore convalescit, servatur imnibi iustitia et audacia cunctis ibidem interdicitur.
Vehementi autem dolore turbamur, si quando regna ipsa, quod absit, procurante humani generis
inimico, scinduntur discordiis, circa fidei cultum remisso devotionis ardore tepescunt, iustitiam
negligunt, et in se ipsis permittunt illicita perpetrari. Unde multa sollicitudine magnoque studio
procurare nos convenit, ut christianorum regna, quae in statu sunt prospero, incommutabiliter in illo
regantur, et quae periculoso ruere dignoscuntur, reformatione laudabili reparentur. Sane cum
charissimus in Christo filius noster…. Portugalliae rex illustris a pueritia sua, clarae memoriae
patre suo viam universae carnis ingresso, regni Portugalliae gubernatione suscepta, Ecclesias et
monateria existentia in eodem, pravo usus consilio, in gravem Dei offensam et conculcationem
ecclesiasticae libertatis, multimodis exactionibus et oppressionibus pre se suosque immaniter
180
afflixisset, et ab aliis pro ipsorum libito libere permississet affligi; tandem quibusdam Ecclesiarum
praetatis eiusdem regni apud Romanos Pontifices praedecessores nostros querelas multiplices super
his deponentibus contra eum, felicis recordationis Gregorius Papa praedecessor noster post
huiusmodi querelas et admonitiones frequentes regi propter hoc factas eidem, ac expectationes
diutinas necnon et interdicti ac axcommunicationis sententiasn ob ipsius contumaciam in eum, et
praefactum regnum auctoritate apostolica promulgatas, diuque observatas ibidem super certis
praedictaelibertatis articulis et quibusquam aliis ab eo et suis imposterum observandis, et
satisfactione impedenda monasteriis et Ecclesiis de damnis ac iniuriis per ipsum et suos irrogatis
eisdem, ac ipsorum defensione duxit salubriter providendum, certis exequtoribus, qui eum ad hoc
ecclesiastica censura compellerent, deputatis. Sed idem, receptis apostolicarum provisionum
litteris, licet promiserit per suas patentes litteras, quod articulos contentos in earumdem
provisionum litteris et observaret et faceret a suis subditis observari; postmodum tamen non solum
praefatis monasteriis et Ecclesiis de praemissis damins et iniuriis satisfacere, vel ea defensare
neglexit; sed etiam, ut accepimus, Ecclesias et monasteria ipsa per se, suosque portarios et
meyrinos collectis, procurationibus ac exactionibus indebitis intolerabiliter aggravavit et aggravate
incessanter, ac circa malefactorum regni eiusdem insolentiam reprimendam sic negligens invenitur,
quod in eodem regno bona tam ecclesiastica, quam mondana per raptores , praedones, invasores,
incendiarios, publicos sacrilegios et detestabiles homicidas abbatum videlicet, priorum et aliorum
religiosorum et clericorum saecularium, ac laicorum etiam occisores, depeire propter saecularis
defectum iustitiae dignoscuntur. Unde quia sic in eodem regno a quibuslibet suis subditis impune
delinquitur, barones, aliique ipsius regni nobiles et ignobiles, sumpto ex hoc delinquendi ausu,
matrimonia contrahere in gradu prohibito, bona ecclesiastica rapere, ac alia quam plura mala olim a
bonae memoriae Ioanne Sabinen episcopo tunc in partibus illis Apostolicae Sedis legato, sub
anathematis interminatione prohibita committere non verentur, et tami psi, quam plures alii de
regno praefacto diversarum excomunicationum innodati Iaqueis per devia desperationis errantes in
contemptum clavium divinis se officiis irreverenter ingerunt, et ecclesiasticis sacramentis, ac in
subversionem Catholicae Fidei plures eorum de ipsius articulis auctoritates tam novi, quam veteris
Testamenti temere, non sine fermento pravitatis haereticae, in suarum et aliorum animorum
periculum exponendo, eo dissimulante, non metuunt disputare: et nonnulli de regno ipso
Ecclesiarum et monasterium patroni, ac alii asserentes se patronos, cum non sint, locorum ipsorum
et ab eis illegittime geniti, in bonis dictarum Ecclesiarum et eorumdum monasteriorum crudeliter
debacchantes, Ecclesias ipsas et monasteria eadem ad tantam inopiam redegerunt, quod eis
nequeuntibus proprios substentare ministros, quin imo aliquibus ex ipsis servitorum solatium
destitutis, et aliorum claustris, refectorii caeterisque officiniis, equorum stabulis et postribulis
quarumlibet personarum vilium deputatis, divini nominis, et religionis cultus exinde penitus et
sublatus bonis illorum omnibus in direptionem expositis et in praedam. Caeterum casta, villas,
possessiones et alia iura regalia, idem rex propter ipsius desidiam, suique cordis imbecillitatem
181
deperire permittens, ac passim et illicite malignorum acquiescens consiliis, alienans tam
ecclesiasticorum, quam secularium personarum nobilium et ignobilium occisiones nefarias, dum
religioni non parcitur, nec sexui, vel aetati, rapinas, incestus, raptusque moniliarum et saecularium
mulierum, rusticorum ac negotiatiorum tormentia gravia, quae ipsis a nonnullis regni praefati pro
extorquenda ab ipsis pecunia inflguntur; Ecclesiarum et cimiteriorum violationes et incendia,
fractiones treuguarum et alia aenormia, quae a sibi subiectis libere committuntur scienter tolerant,
quin potius tot, tantisque malis, dum ea praeterit impunita, consentire videtur, et paudit aditum ad
peiora. Terras insuper et alia christianorum bona in confinio Sacernorum posita non defendens, ea
infidelibus devastanda, seu etiam occupanda ex animi pusillanimitate relinquit. Et licet a
supradictis praelatis, ut ad corrigenda praemissa, pluraque alia nefanda, quorum seriosa narratio
fastidium generaret ardenter, ut teneturm, assurgeret, monitu fuerit diligenter, idem tamen, eorum
monitionibus obauditis, id efficere non curavit; propter quod nos episcoporum, abbatum, priorum et
aliorum tam religiosorum, quam saecularium regni eiusdem conquestionibus et clamoris
insinuationibus excitati, regem ipsum per nostras litteras, ut praemissa corrigeret rogandum
duximus attente, et hortandum venerabilibus fratribus nostris Colimbrien, ac Portugallien,
episcopis, ac priori praedicto Colimbriem., nihilominus per alias litteras iniungentes, ut eum ad hoc
ex parte nostra monentes attente, ac efficaciter indicentes, qualiter super hoc faciendum duceret, et
de ipsorum cura cum in hac parte processu nos in concilio certificare curarent. Cum igitur per
dictos Colimbrien. et Portugallen. eiusdem concilii tempore apud Sedem Apostolicam constitutos,
ac ipsorum et dicti prioris litteras, quod praefatum regem super his diligenter monuerint, et tam per
eosdem, quam per alios fide dignos, necnon multorum virorum ecclesiasticorum, communitatum,
baronum, militum, ac etiam nobilium dominorum litteras, quod praemissa nullatenus emendatur,
sed potius de die in diem graviora propter eius desidiam et negligentiam praesumuntur. Quodque in
subversionem regni praefacti vassalli eiusdem regis, congregata multitudine armatorum, castra
ipsius noviter expugnare omniaque occurrentia invadere, devastare, praedari, et alia mala, eo haec
ex torpore nimio tolerante committere, divino timore posthabito, non formidant, nobis satis liquido
innotescat. Cupientes regnum ipsum tot tribulationum adversitate depressum, maximum cum sit
Romanae Ecclesiae censuale, alicuius prudentis et providi diligentia et industria relevari,
universitatem vestram de fratrum nostrorum consilio monemus, rogamus et hortamur attente per
apostolica vobis scripta districte praecipiendo mandantes in remissionem vestrorum peccaminum
iniungendo, quatenus dilectum filium nobilem virum comitem Bolonien. Praefati regis fratrem, e
devotione, probitate ac circuspectione multipliciter commendatum, qui eidem regi, si absque
legitimo decederet filio, iure regni succederet, quique ex innatae dilectionis affectu, quo vos, et
praedictum regnum prosequitur, magnanimitate ac potentia sibi plurimum suffragantibus regnum
ipsum reformaturus, firma credulitate speratur, praesertim cum ad curam et administrationem
generalem et liberam regni eiusdem, non minus pro saepedicti regis, quam ipsius regni utilitate, si
provide attendatur, ac ad defensionem Ecclesiarum, monasterium aliorumque piorum polorum
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regni praefati, et personarum ecclesiasticarum tam religiosarum, quam saecularium, necnon
viduarum, orphanorum et caeterorum ibidem degentium, ac deperditorum inibi recuperationem
salubriter in Domino confidimus sit assumptus, cum ad vos accesserit, fidelitate, homagio,
iuramento, seu pacto, si aliquibus forte praefato regi, vel cuicumque alii personae tenemini, aut
etiam ipsius regis prohibitione, dummodo personam eius, et vitam ac legitimi sui filii, si aliquem
ipsus habere contigerit, fideliter conservetis, debitum eis exhibentes honorem nequamquam
obstantibus in civitatibus, castris, villis et munitionibus regni praedicti com omnibus suis recipere,
ac eius dispositioni, ordinationi et mandatis universitaliter singuli et singulariter universi per omnia
et in omnibus intendere, absque difficultate qualibet procuretis, impedentes sibi contra quoslibet
repugnantes, ac etiam violentes, consilium, auxilium et favore de redditibus, proventibus,
omnibusque saepefati regni necessitatibus pro temporum, ac negotiorum emergentium qualitate
valeat providere. Alioquin venerabilibus fratribus nostris Bracharen. archiepiscopo et episcopo
Colimbrien. damus nostris litteris in praeceptis, ut vos ad id modo praemisso per censuram
ecclesiasticamm, appellatione remota, compellant. Per hoc autem non intendimus memorato regi,
vel ipsius legitimo filio, si quem habuerit, praedictum regnum adimere, sed potius sibi et eidem
regno destructioni exposito, ac vobis ipsis in vita eiusdem regis per sollicitudinem et prudentiam
comitis consulere supradicti.
Datum Lugduni octavo kalendas augusti, pontificatus nostri anno tertio.
Dat. Die 25 iulii 1245, pontif. anno III.