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BREVI CENNI DI ANATOMIA E FISIOLOGIA DELL'APPARATO DIGERENTE Un breve accenno all'anatomia ed alla fisiologia dell'apparato digerente appare utile in quanto consente di meglio comprendere i vari processi digestivo- assorbitivi che in questo apparato si concretizzano. Non sono poi tante le conoscenze che riguardano le inevitabili e reciproche interazioni tra i nutrienti che si realizzano all'interno del lume intestinale e che, verosimilmente, sono fondamentali nel condizionare le capacità digestivo- assorbitive del soggetto. Forse esse sono di importanza superiore rispetto ai fenomeni parziali che noi meglio conosciamo: cioè i meccanismi di digestione ed assorbimento dei singoli nutrienti. Inoltre, qualsiasi raccomandazione di carattere nutrizionale non può prescindere dal considerare la condizione fisiologico-maturazionale del lattante al quale è diretto un dato schema alimentare. L'aspetto maturazionale è preminente durante le prime epoche della vita post- natale; periodo durante il quale molti organi e funzioni completano il loro iter fisiologico. ESOFAGO Prende origine dall'intestino anteriore ed è di derivazione entodermica. Il suo iter evolutivo passa attraverso due fasi successive la prima delle quali è solida e la finale porta alla sua canalizzazione. Durante le prime epoche della vita intrauterina fa corpo unico con la trachea dalla quale successivamente si separa (un errore di sviluppo durante questa fase ha come diretta conseguenza la genesi delle fistole tracheo-esofagee e delle atresie esofagee). Poiché il reflusso gastro-esofageo (GER) è un fenomeno che si verifica virtualmente in tutti i soggetti diverse volte nell'arco delle 24 ore, l'esofago possiede capacità notevoli nel difendersi contro gli effetti nocivi determinati dal chimo gastrico rifluito all'interno del suo lume. Uno dei meccanismi è rappresentato dalla barriera antireflusso alla cui formazione concorrono il diaframma e lo sfintere esofageo inferiore (LES). Il secondo meccanismo utilizzato per la protezione dell'esofago è il meccanismo di clearance (peristalsi, gravità, secrezione di bicarbonati da parte delle ghiandole salivari e sottomucose); ed il terzo elemento di protezione è legato alla resistenza tessutale (15). Il suo compito funzionale è quello del trasporto del bolo alimentare fino allo stomaco col quale collabora per impedirne il reflusso (1). STOMACO

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BREVI CENNI DI ANATOMIA E FISIOLOGIA DELL'APPARATO DIGERENTE

Un breve accenno all'anatomia ed alla fisiologia dell'apparato digerente appare utile in quanto consente di meglio comprendere i vari processi digestivo-assorbitivi che in questo apparato si concretizzano.

Non sono poi tante le conoscenze che riguardano le inevitabili e reciproche interazioni tra i nutrienti che si realizzano all'interno del lume intestinale e che, verosimilmente, sono fondamentali nel condizionare le capacità digestivo-assorbitive del soggetto.

Forse esse sono di importanza superiore rispetto ai fenomeni parziali che noi meglio conosciamo: cioè i meccanismi di digestione ed assorbimento dei singoli nutrienti.

Inoltre, qualsiasi raccomandazione di carattere nutrizionale non può prescindere dal considerare la condizione fisiologico-maturazionale del lattante al quale è diretto un dato schema alimentare.

L'aspetto maturazionale è preminente durante le prime epoche della vita post-natale; periodo durante il quale molti organi e funzioni completano il loro iter fisiologico.

ESOFAGO

Prende origine dall'intestino anteriore ed è di derivazione entodermica. Il suo iter evolutivo passa attraverso due fasi successive la prima delle quali è solida e la finale porta alla sua canalizzazione.

Durante le prime epoche della vita intrauterina fa corpo unico con la trachea dalla quale successivamente si separa (un errore di sviluppo durante questa fase ha come diretta conseguenza la genesi delle fistole tracheo-esofagee e delle atresie esofagee).

Poiché il reflusso gastro-esofageo (GER) è un fenomeno che si verifica virtualmente in tutti i soggetti diverse volte nell'arco delle 24 ore, l'esofago possiede capacità notevoli nel difendersi contro gli effetti nocivi determinati dal chimo gastrico rifluito all'interno del suo lume.

Uno dei meccanismi è rappresentato dalla barriera antireflusso alla cui formazione concorrono il diaframma e lo sfintere esofageo inferiore (LES).

Il secondo meccanismo utilizzato per la protezione dell'esofago è il meccanismo di clearance (peristalsi, gravità, secrezione di bicarbonati da parte delle ghiandole salivari e sottomucose); ed il terzo elemento di protezione è legato alla resistenza tessutale (15).

Il suo compito funzionale è quello del trasporto del bolo alimentare fino allo stomaco col quale collabora per impedirne il reflusso (1).

STOMACO

Presenta 4 strati che dalla superficie mucosa a quella sierosa si dispongono secondo quest'ordine: mucosa, sottomucosa, muscolare e sierosa.

La mucosa dello stomaco presenta 4 tipi di cellule con funzioni diverse: le cellule principali (deputate alla produzione di pepsinogeno), le cellule parietali (addette alla produzione di acido cloridrico ed a livello del fundus anche alla produzione del fattore intrinseco), le cellule mucose (producono mucoproteine) e quelle simil-endocrine responsabile della produzione di sostanze a funzione endocrina.

Lo strato muscolare è formato da fibre che nella parte interna si organizzano in uno strato circolare e nella parte esterna si dispongono in uno strato longitudinale. Questo tipo di organizzazione della componente muscolare viene anche rintracciato nel resto del canale alimentare.

Solo a livello del cardias si isola una componente dello strato muscolare la quale si dispone in modo obliquo andando a costituire un terzo strato che ha la sua importanza funzionale nel contesto di quel complesso di meccanismi anatomo-funzionali che impediscono il reflusso gastro-esofageo.

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A livello pilorico lo strato circolare si organizza in un vero e proprio sfintere definito sfintere pilorico che svolge un compito fondamentale per lo svuotamento gastrico.

Dal punto di vista funzionale nello stomaco si possono reperire tre diverse funzioni: quella meccanica responsabile del mescolamento del suo contenuto e dell'apporto di chimo gastrico al duodeno; quella enzimatica connessa con la presenza delle pepsine e della lipasi pre-intestinale e quella chimica legata alla produzione di acido cloridrico alla quale si associa, anche, la capacità d'emulsificazione parziali dei lipidi alimentari.

INTESTINO TENUE

Anch'esso presenta la medesima organizzazione in 4 strati successivi. Alla nascita la sua lunghezza può arrivare a 2.5 metri e da questo momento cresce progressivamente fino a raggiungere le dimensioni adulte (3.6-6.6 metri).

All'interno della superficie mucosa si evidenziano delle plicature ad andamento trasversale (valvole conniventi) che producono un incremento dell'area di superficie mucosa di circa 3 volte. La stessa mucosa intestinale è dotata di villi e microvilli che incrementano la superficie di contatto con gli alimenti di 10 e 20 volte rispettivamente.

Nel complesso la superficie di contatto viene ampliata di circa 600 volte rispetto a quella che sarebbe stata se il canale alimentare in sede intestinale fosse solo un cilindro cavo. Concorrono ad incrementare questa superficie anche le cripte intestinaliA livello dei villi intestinali sono identificabili 4 tipi di cellule diverse: assorbenti, mucose, endocrine e cellule M dotate di una specificità particolare nel contesto della risposta immunologica ai trofoallergeni.

A livello delle cripte intestinali sono identificabili altri 4 tipi di cellule: cellule mucose, cellule di Paneth, cellule indifferenziate e cellule con funzione endocrina.

Le cellule endocrine producono tutta una serie di peptidi ormonali tra i quali vanno ricordati: gastrina, secretina, somatostatina, CCK-PZ, enteroglucagone, motilina, neurotensina, VIP e GIP.

In condizioni fisiologiche il turnover delle cellule intestinali è elevato e condizionato da diversi fattori. Stimoli sistemici, locali epiteliali ed intraluminali intervengono a modulare questo turnover.

L'intero ciclo cellulare, dalle cripte all'apice del villo, dura circa 5 giorni nel digiuno e circa 3 a livello dell'ileo.

Nel contesto del medesimo ciclo cellulare molte attività enzimatiche devono essere ripristinate più volte. La lattasi viene rimpiazzata 2 volte e la saccarasi-isomaltasi viene ricollocata a livello della membrana circa 12 volte avendo un turnover di circa 4-5 ore.

Inoltre, parallelamente alla migrazione cellulare, in direzione dell'apice del villo intestinale, si realizzano negli enterociti delle modificazioni morfo-funzionali che determinano la diversa tipologia degli elementi costitutivi dello stesso villo.

Perciò, diversi componenti della superficie cellulare vanno incontro a dei mutamenti così come mutano i processi di glicosilazione delle proteine enzimatiche degli enterociti la cui sintesi viene condizionata sensibilmente dai fattori evolutivi e nutrizionali (27).

Se accettiamo l'osservazione che la membrana cellulare si modifica con la migrazione lungo l'asse del villo, dobbiamo recepire che i componenti della stessa membrana variano durante il ciclo vitale dell'enterocita.

Infatti, nei ratti la migrazione cellulare è accompagnata da una modificazione della composizione fosfolipidica di membrana e l'indice di insaturazione di una dieta, così come un adeguato intake di acidi grassi polinsaturi a lunga catena (PUFA), sono responsabili di pesanti condizionamenti sul livello delle attività di glicosilazione delle proteine di produzione enterocitaria (27).

Ai fattori nutrizionali si affiancano le caratteristiche evolutive che si integrano con le precedenti concorrendo a garantire un divenire morfo-funzionale sempre più simile alla tipologia tipica del soggetto maturo.

Una probabile prova di quanto sopra affermato la possiamo identificare nell'espressione di numerosi meccanismi di detossificazione e di citoprotezione che sembrano sovraregolati durante il periodo del divezzamento nei ratti (28).

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Non si sa se esiste un "orologio biologico" o se i fattori esogeni dietetici siano in grado di determinare questa sovraregolazione che è finalisticamente utile in quanto col divezzamento vengono introdotte delle sostanze potenzialmente tossiche che non sono state sottoposte all'azione del "filtro materno" rappresentato dallo stesso organismo materno che con la sua ghiandola mammaria apporta i nutrienti (e gli eventuali inquinanti in misura contenuta visto che possiede dei meccanismi di detossificazione efficienti) essenziali per la crescita.

Non meno importante e poi la recente osservazione che la chiusura della barriera intestinale, con la relativa riduzione della permeabilità alle macromolecole, avviene in anticipo nei soggetti allattati al seno rispetto agli allattati artificialmente (29).

Quotidianamente circa 1/5 delle cellule epiteliali vanno in esfoliazione e devono essere sostituite dalle cellule provenienti dalle cripte.

Il corredo enzimatico di queste cellule ed i nutrienti in esse contenuti vengono riversate nel lume intestinale dove partecipano ai processi digestivo-assorbitivi (17).

L'intestino tenue è sterile alla nascita ed esso diviene rapidamente sede di colonizzazione batterica tanto attraverso la bocca quanto attraverso l'orifizio anale. La flora microbica materna e quella dell'ambiente circostante danno il via a questo processo di colonizzazione che all'età di circa 3 anni si può assumere come definitivamente acquisito nelle caratteristiche che sono proprie dell'età adulta nella quale è predominante la componente anaerobica.

A dispetto di tutte le variabili che possono intervenire nel corso degli anni, la sua composizione rimane pressoché inalterata tanto nella componente quantitativa quanto nella componente qualitativa.

L'insieme di questi microrganismi, in equilibrio tra loro, si organizza in un ecosistema dalla notevole importanza funzionale.

Nel contesto di questo ecosistema vengono identificati germi eubiotici e germi potenzialmente patogeni.

I germi eubiotici sono i cardini dell'ecosistema poiché ne garantiscono il suo equilibrio (lattobacilli, bifidobatteri e streptococchi). Acidificano l'ambiente ed hanno attività saccarolitica.

I germi potenzialmente patogeni hanno attività proteolitica ed alcalizzano l'ambiente.

I batteri di questo ecosistema aderiscono alle cellule mucose formando un biofilm nel contesto del quale si realizzano le condizioni idonee a garantire la loro limitata sopravvivenza a causa del rapido turnover delle cellule intestinali.

Lo stesso ecosistema ha elaborato meccanismi che limitano la proliferazione indiscriminata delle varie specie microbiche.

Infatti, il prevalente utilizzo di diversi nutrienti da parte di una specie microbica limita la disponibilità del substrato nutrizionale che appare fondamentale per la proliferazione di altri batteri appartenenti al medesimo ecosistema.

Inoltre, le specie che consumano ossigeno creano le condizioni microambientali favorevoli allo sviluppo dei batteri anaerobi (18). Ancora, dalla fermentazione batterica intestinale derivano diversi acidi grassi a corta catena che sono in grado d'inibire la crescita di molti batteri. Similmente, la produzione di batteriocidine determina il blocco della proliferazione batterica che non è esclusivamente limitato alle altre specie, ma si esercita sugli stessi batteri produttori.

Oltre i meccanismi sopracitati, le secrezioni gastrointestinali e biliari assieme alla produzione del lisozima, concorrono a modulare e limitare la crescita batterica.

Le funzioni che si possono ascrivere a questa flora indigena sono quelle connesse con la prevenzione dell'attecchimento di altre specie microbiche anche patogene, con la digestione di alcune componenti alimentari e con la produzione di vitamina K.

La presenza di questa flora batterica, comunque, presuppone l'esistenza di altri meccanismi dediti al controllo della sua capacità proliferativa.

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Adempie a tali scopi il sistema immunitario gastro-intestinale la cui funzionalità non è esclusivamente confinata allo svolgimento del controllo della proliferazione batterica.

Circa il 40% delle cellule immunitarie dell'intero organismo si localizzano a livello intestinale (20).

Le cellule immunologiche presenti a livello intestinale fanno parte di un sistema definito gastrointestinal-associated lynphoid tissue (GALT) alla cui formazione concorrono i seguenti elementi di base: i linfociti intraparietali, i follicoli linfoidi solitari, le plasmacellule della lamina propria e le placche del Peyer.

Queste cellule possono mantenere i reciproci contatti grazie ad un network di citochine.

Il GALT assieme al BALT (Bronchus Associated Lymphoid Tissue) ed agli elementi immunocompetenti della mucosa genitale, delle ghiandole salivari, del faringe e della ghiandola mammaria vanno a formare un "sistema mucosale comune" che opera a livello delle superfici mucose che prendono contatto con l'ambiente esterno. Tale sistema di difesa specifico è in qualche modo indipendente dal sistema immunitario classico.

Il numero delle placche del Peyer aumenta durante tutta l'infanzia fino alla pubertà.

A partire da questo periodo inizia un lento declino numerico. Laddove è più massiccia la presenza microbica il tessuto linfatico si dispone in maniera più organizzata.

Al GALT va ascritta anche una funzione diversa da quella prettamente repressiva sulla crescita microbica. In particolare i rapporti stabiliti con gli antigeni alimentari (trofo-allergeni) e le conseguenze connesse alla qualità del rapporto sono responsabili della tolleranza o dell'intolleranza alimentare.

Per tolleranza orale s'intende uno stato di sistemica non responsività all'immunizzazione parenterale indotta da una pregressa esposizione ad un trofoallergene (23).

Alla tolleranza si può arrivare attraverso diversi meccanismi. Delezione clonale, anergia clonale e soppressione sono tre delle possibili vie percorribili per ottenere la tolleranza.

La tolleranza orale ad una proteina solubile coinvolge il sistema dei T-linfociti (24). Il contatto con un trofoallergene può produrre una risposta dicotomica: da un lato viene generata una depressione delle cellule T, e dall'altro viene incrementata la risposta legata ai linfociti B con il risultato di un fenomeno di tolleranza in "bassa zona" (24).

Il normale assorbimento dei trofoallergeni è dell'ordine dei mcg/litro (24).

Nel caso dell'intolleranza il contatto del trofoallergene con le cellule immunitarie produce un effetto "priming" responsabile della sensibilizzazione e delle reazione avverse che a tale fenomeno possono conseguire.

A questo concetto di tolleranza od intolleranza va associato il concetto della "chiusura della barriera intestinale", ossia la limitazione della permeabilità intestinale alle macromolecole.

Tale operazione sembra completarsi attorno al 3° mese di vita.

Fatta questa premessa passo alle descrizione generica dei fenomeni essenziali che stanno alla base della "tolleranza alimentare".

A livello dei villi intestinali sono presenti delle cellule epiteliali particolari dette cellule M. Queste cellule hanno pochi microvilli, poco glicocalice ed attività enzimatiche lisosomiali ridotte. Inoltre, sono ricoperte da uno scarso strato di muco e presentano profonde invaginazioni della membrana basale la quale è separata, in questa sede, da quella apicale da un sottile strato di citoplasma.

In queste invaginazioni trovano facile accesso i macrofagi ed i linfociti. Dato il ridotto spazio che separa l'invaginazione dal lume, ne consegue che le cellule immunitarie vengono a trovarsi in stretta vicinanza del lume intestinale (21).

Infatti, gli antigeni intatti e quelli parzialmente modificati dalle cellule M possono prendere contatto con le immunoglobuline (Ig) tanto che esse siano libere in soluzione quanto che esse siano legate ai linfociti B. Ma la

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completa risposta immunitaria necessita della collaborazione dei linfociti T. Questi ultimi linfociti devono a loro volta essere stimolati dall'antigene che gli viene presentato dalle cellule APC (antigen-presenting cells).

Le APC devono ingerire, digerire e legare un piccolo frammento dell'antigene alla superficie delle glicoproteine MHC (Major Histocompatibility Complex) di classe II le quali sono in grado di interagire con i linfociti T per mezzo di un recettore.

Le molecole della classe II MHC sono principalmente espresse sulle cellule del sistema immunitario. Il ruolo primario di queste molecole è quello di presentare frammenti di peptidi (antigene) alle cellule T. Queste stesse molecole presentano antigeni le proteine del "self".

In sintesi, allorquando una cellula APC (ad esempio un macrofago) presenta l'antigene ai linfociti T-Helper (TH) lo associa a due molecole della classe II (la catena alfa e quella beta). Il complesso trimolecolare risultante prende contatto con un recettore dei T-Helper.

Il linfocita T che prende contatto con l'antigene presentato dalle APC o va incontro ad uno stato di anergia, o, viceversa, viene attivato.

Per la sua attivazione è necessario un secondo segnale fornito dal contatto tra alcune molecole presenti sulle cellule APC con altre molecole presenti sul linfocita T (molecole ad attività co-stimolatoria). La molecola CD 28 (espressa sul T-linfocita) e la molecola B7-1 (espressa dalla cellula APC) prevengono l'anergia linfocitaria e inducono la produzione di IL-2 (interleuchina).

A questo contatto consegue la produzione ed il rilascio di una serie di citochine che concorrono ad ampliare e regolare l'entità e la qualità della risposta immune.

I villi intestinali e la membrana baso-laterale degli enterociti possiedono il complesso MHC-II e trovandosi in una posizione strategica (membrana baso-laterale) possono legare i polipeptidi eventualmente assorbiti e presentarli alle cellule del sistema immunitario (21).

Le stesse cellule M vanno a ricoprire parte delle placche del Peyer e sono il sito principale di assorbimento e di processazione dell'antigene alimentare.

Le cellule M assorbono, processano e presentano l'antigene ai linfociti del GALT i quali vanno a produrre delle IgA secretorie specifiche responsabili del fenomeno dell'esclusione dell'antigene . Ciò è reso possibile dalla peculiarità delle IgA secretorie che si dimostrano capaci di legare l'antigene senza scatenare una risposta immunologica infiammatoria, come normalmente avviene, in seguito alla formazione del complesso antigene-anticorpo. L'antigene legato dalle IgA secretorie viene escluso, quindi, non è né assorbito né presentato ai linfociti intestinali.

Stobel et al. (2) affermano che l'esposizione all'antigene alimentare si associa nel GALT alla stimolazione-attivazione di numerosi T-linfociti con funzione regolatrice. Nel contesto delle placche del Peyer ed a livello dei linfociti intestinali si verifica un'attivazione dei linfociti T-Helper e dei T-suppressor antigeni-specifici. Diretta conseguenza di questa duplice attivazione sono i seguenti fenomeni: l'attivazione antigene-specifica dei linfociti T-Helper per la produzione delle IgA (da parte dei linfociti B localizzati a livello della mucosa intestinale) e l'attivazione dei linfociti T-suppressor per la produzione di IgM-IgG. Il risultato netto è rappresentato dalla tolleranza specifica nei confronti di un dato antigene alimentare.

Appare, quindi, centrale il ruolo delle IgA secretorie. Esse sono dei dimeri tenuti assieme da un frammento proteico capace di acquisire, durante il passaggio attraverso le cellule epiteliali, la componente secretoria.

Il complesso suddetto è resistente alla proteolisi intestinale.

In definitiva, tanto che l'antigene alimentare sia escluso, quanto che esso sia tollerato, il ruolo delle IgA secretorie è centrale nel contesto dei meccanismi che sono coinvolti nel determinismo della tolleranza ai trofoallergeni.

L'insieme dei fenomeni precedentemente descritti non si realizzano appieno durante il periodo neonatale poiché esiste un ritardo ontogenetico del sistema immune mucosale (3).

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Subito dopo la nascita la mucosa intestinale è bombardata da microrganismi ed antigeni alimentari e si palesa la necessità di dare adeguata protezione a questa area che è 100 volte maggiore rispetto alla superficie cutanea (22).

Ne consegue un periodo di vulnerabilità nei confronti delle infezioni durante il quale il neonato deve trovare altri meccanismi protettivi che integrano le deficienze maturazionali sopracitate.

Negli allattati al seno, le IgA secretorie del latte materno sono al contempo prima linea di difesa e fattore terapeutico sostitutivo all'occorrenza.

Inoltre, il latte materno sembra modulare attivamente lo sviluppo immunitario del neonato in quanto, oltre a fattori antinfettivi ed antinfiammatori, apporta una serie di elementi ad attività immunomodulatoria.

Le sostanze immunomodulatorie sono in grado di regolare lo sviluppo di alcuni settori del sistema immunitario del lattante. Le citochine, i nucleotidi, la lattoferrina, gli anticorpi anti-idiotipo, la PGE2, la prolattina e varie interleuchine sono in grado di condizionare l'evoluzione del sistema immunitario del lattante che assume questo latte.

In chi non è allattato al seno la responsabilità della protezione della mucosa spetta ai meccanismi di difesa aspecifici ed alle IgG di derivazione materna acquisite per via transplacentare e localizzate a livello della lamina propria (22).

Il 50-60% delle IgG materne si localizzano in questa sede.

L'epitelio ghiandolare delle ghiandole esocrine associate all'intestino è dotato di diverse proteine capaci di agire come fattori antiinfettivi: il lisozima e la lattoferrina sono due di queste proteine.

Al GALT viene riconosciuta l'attività prevalente di difesa della mucosa gastrointestinale nell'ambito di una attività di difesa regionalizzata e dicotomica nel contesto della quale il tratto aero-digestivo superiore si diversifica da quello più distale relativamente alla ricollocazione e funzionalità, nonché, alla differenziazione terminale dei linfociti B (22).

Al GALT si associa il MALT (Mucosa-associated Lynphoid Tissue) cui vengono attribuite funzioni integrate tese a conferire una protezione mucosale generalizzata all'intero organismo.

I T-linfociti attivati a livello del GALT sono capaci di ricircolare: dalla sede mucosale, attraverso i vasi linfatici intestinali, passano nei linfonodi mesenterici e pervengono alla circolazione ematica dopo essere stati in essa drenati dalla linfa contenuta nel dotto toracico.

Possono così pervenire alla ghiandola mammaria, alla mucosa congiuntivale, a quella delle vie respiratorie ed alla mucosa del tratto urogenitale.

Però, prevalentemente rientrano in sede intestinale fissandosi ad un recettore specifico (Homing Receptor) capace di garantirgli l'ingresso nella lamina propria dove assumono le caratteristiche di linfociti intraepiteliali dotati di memoria immunologica (4).

In definitiva, i T-linfociti dotati di memoria immunologica si

distribuiscono tanto a livello intestinale, quanto a livello di altre mucose mantenendo la capacità d'innescare una risposta immunologica di tipo anamnestico anche a distanza del sito di primaria esposizione antigenica.

Da pagina 11

PROTEZIONE GASTRO-ESOFAGEA ANTI-REFLUSSO

Per primi, ed a volte assieme, vengono illustrati i meccanismi di difesa esofagei contro il chimo gastrico, ed in seguito quelli gastrici nei riguardi del contenuto duodenale eventualmente rifluito nello stomaco.

Nel complesso dei meccanismi connessi con la resistenza tessutale esofagea vengono individuati fattori pre-epiteliali, epiteliali e post-epiteliali (15).

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I meccanismi pre-epiteliali vengono messi in atto con la finalità di prevenire il contatto del chimo rifluito con la superficie della mucosa esofagea.

Mentre a livello gastroduodenale lo strato mucoso, lo strato di acqua non scambiata (unstirred water) e lo strato di bicarbonati sono efficacemente organizzati in una struttura non facilmente superabile; nell'esofago questi meccanismi sono più rudimentali. Gli ioni idrogeno superano con difficoltà questo complesso gastroduodenale, ma incontrano meno difficoltà in sede esofagea. Il muco gastrico blocca le pepsine ed i bicarbonati tamponano gli ioni idrogeno.

In sede gastroduodenale, da un pH di 2 in sede pre-epiteliale si passa ad un pH di 6-7 nelle zone immediatamente adiacenti le cellule epiteliali; mentre nell'esofago il valore del pH non sale rimanendo attorno ai valori di 2 o 3 (15).

In sede epiteliale, lo strato corneo è dotato di notevole resistenza nei confronti della penetrazione degli idrogenioni.

La superficie apicale delle cellule epiteliali esofagee è estremamente impermeabile alla penetrazione degli idrogenioni e le strutture giunzionali intercellulare sono appositamente predisposte ad integrare tali caratteristiche.

Le giunzioni ed il materiale intercellulari vanno a costituire una barriera funzionale che limita la diffusione degli idrogenioni.

Se gli ioni idrogeno penetrano nella cellula epiteliale vengono neutralizzati utilizzando le proteine con carica negativa, i fosfati ed i bicarbonati. Viceversa, se vi è penetrazione di idrogenioni attraverso le giunzioni intercellulari, i bicarbonati presenti nel liquido extracellulare vanno a tamponarli neutralizzando così le loro proprietà lesive.

Solo se c'è una penetrazione continua e massiccia in sede intracellulare si arriva ad acidificare il citosol.

Però, due pompe cellulari entrano in attività e scambiano gli idrogenioni col sodio ed il cloro con i bicarbonati i quali, a loro volta, possono essere prodotti nella stessa cellula.

Se tutte queste barriere vengono infrante entrano in azione i meccanismi difensivi post-epiteliali che utilizzano prodotti derivati ed estratti dall'apporto ematico locale.

L'apporto dei nutrienti necessari a riparare il danno cellulare, la capacità di regolare l'equilibrio acido-base e la funzione di rimozione dei metaboliti sono tutti eventi che concorrono a difendere la mucosa esofagea dal danno inducibile dalla penetrazione degli idrogenioni (15).

Per quel che riguarda il reflusso duodeno-gastrico, studi condotti su soggetti adulti hanno evidenziato che si realizzano eventi motori coordinati e retropulsivi capaci di determinare un'alcalinizzazione dell'antro gastrico, seguita da una rapida acidificazione, in una misura tale da rappresentare circa il 2% di tutti gli eventi motori coordinati gastro-intestinali (16).

Il reflusso si realizza a digiuno e nel periodo post-prandiale. Un'alterazione della motilità antro-pilorica starebbe alla base di questo evento fisiologico (entro certi limiti).

Gli acidi biliari, la lisolecitina, le proteasi pancreatiche ed il pH alcalino sono tutti gastrolesivi.

Gli acidi biliari producono alterazioni a livello delle tight-junctions e lesionano le membrane cellulari.

La capacità difensiva della mucosa gastrica si impernia su quell'unità anatomo-funzionale definita col termine di barriera mucosa gastrica della quale vi ho riportato le caratteristiche salienti ad inizio del paragrafo.

CRESCITA E COMPOSIZIONE CORPOREA

Il fenomeno della crescita, verosimilmente, è determinato da un programma genetico la cui capacità di realizzarsi appieno viene condizionata da una serie di fattori i quali sono in grado di determinare pesanti condizionamenti tanto positivi che negativi.

In altre parole, se la situazione nutrizionale è favorevole e le condizioni ambientali sono ottimali si può pensare che il programma genetico abbia discrete possibilità di realizzarsi a livelli vicini a quelli ottimali.

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Lo stesso programma genetico è articolato e complesso dove gli indirizzi intrinseci si devono estrinsecare in spinte evolutive che per potersi realizzare devono essere mediati da una serie di sostanze che fanno da tramite tra la scheda programmatica e l'organo effettore.

Un primo step lo possiamo individuare a livello ormonale dove, per l'azione integrata di diversi fattori  tra i quali i "releasing factors", i rispettivi ormoni ipofisari (GH e TSH) e gli ormoni ed i fattori di crescita prodotti in risposta al loro rilascio (somatomedine ed ormoni tiroidei) assieme agli steroidi sessuali prodotti durante la pubertà; si innesca il "primo propulsore integrato" capace di determinare una serie di risposte metaboliche.

Il suddetto propulsore gira se "l'alimentatore" è efficiente. In altre parole, "il fattore nutrizionale" assume tutta la sua rilevanza assieme alla capacità funzionale dell'apparato digerente in quanto i nutrienti apportati devono essere assorbiti efficacemente e resi disponibili alle cellule, tessuti ed organi in attiva crescita.

Così la celiachia riesce ad inceppare il meccanismo della crescita se essa rimane indiagnosticata e questo è soprattutto vero per le forme atipiche che si possono manifestare con una ridotta crescita staturo-ponderale con o senza le alterazioni dell'alvo.

A questo punto, propulsore ed alimentatore possono integrarsi ma la loro integrazione è condizionata dalle interferenze derivanti dai fattori ambientali contingenti. Diventa così molto importante una adeguata "stimolazione psico-affettiva" quasi fosse un fattore permissivo (è noto a tutti che nelle situazioni di grave carenza psico-affettiva la crescita è ridotta).

La sensibilità "dell'organo effettore" è l'ultimo anello della catena che va dalla programmazione alla concretizzazione.

Se per la crescita staturale l'allungamento dell'osso è fattore fondamentale, per il resto degli eventi della crescita i fenomeni plastici non sono di secondaria importanza.

Volendo essere più espliciti, il GH va a stimolare recettori di membrana capaci di innescare delle risposte intracellulari i cui effetti possono essere locali (effetto paracrino) o sistemiche (effetto endocrino) legate essenzialmente alla produzione di fattori di crescita (es. le somatomedine).

Lo stesso ormone per poter agire in modo ottimale necessita degli ormoni tiroidei che esplicano un effetto permissivo sui fenomeni plastici legati alla crescita staturo-ponderale.

Gli steroidi sessuali sono capaci di stimolare la crescita dell'osso nella fase dello spurt puberale ma determinano una progressiva saldatura delle cartilagini di accrescimento che in definitiva sono responsabili dell'apposizione di nuovo tessuto osseo il cui risultato è l'allungamento dello stesso osso.

In definitiva, si riesce a crescere fino a quando le cartilagini di coniugazione o di crescita non si saldano con l'osso posto a valle (diafisi) ed a monte (epifisi).

Prima di continuare la discussione mi preme sottolineare il fatto che esiste un limite al di sotto del quale la crescita non è più normale: una crescita staturale che scenda sotto i 4.5-4 cm/anno è sicuramente patologica in età scolare ed ancor più in età prescolare.

Questo appunto è essenzialmente diretto a diversi centri meridionali abilitati alla prescrizione di GH che si rifiutano spesso di eseguire alcune curve per lo stesso ormone costringendomi a dirottare questi bambini verso centri del nord dove non si esita a fare quanto richiesto. Almeno una decina di bambini sono stati indirizzati ai centri del nord e tutti sono ritornati con la diagnosi di deficit congenito di GH.

...Meditate gente, meditate e datevi da fare.

E' ormai da tutti riconosciuto che il tipo di crescita realizzato dagli allattati al seno differisce dal ritmo di crescita ottenuto con i latti artificiali. Queste differenze diventano maggiormente apprezzabili durante il 2° semestre di vita.

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Qualche autore pensa che questo ritmo ridotto della crescita dei lattanti nutriti al seno possa essere correlato al ridotto intake di zinco che si realizza se l'alimentazione con latte materno si prolunga nel tempo.

Però, gli allattati esclusivamente al seno sono in grado di mantenere l'omeostasi dello zinco attraverso due fattori: alta frazione di assorbimento dello zinco ingerito e forte capacità di conservazione dello zinco posseduto: Entrambi gli elementi concorrono a soddisfare il fabbisogno per la crescita a dispetto del modesto intake dietetico (11).

In un recente lavoro (5), che utilizza i dati del DARLING Study, è stata analizzata la relazione esistente tra il periodo dell'introduzione dei cibi solidi, l'intake energetico ed il ritmo di crescita degli alimentati al seno ed artificialmente.

Tali autori hanno verificato il livello d'intake in tre gruppi di lattanti: due allattati al seno ed uno artificialmente. Essi volevano verificare se l'alimentazione esclusiva con latte materno limitasse il ritmo di crescita di questi lattanti e se il divezzamento (tra il 4° ed il 6° mese o dopo il 6° mese) poteva modificare il ritmo di crescita degli alimentati con latte materno.

Questo studio ha evidenziato delle differenze nei livelli dell'intake energetico e nel ritmo di crescita tra gli allattati al seno e quelli artificialmente. Tali differenze persistevano nel tempo anche a distanza dall'epoca d'inizio del divezzamento.

Il ridotto intake energetico ed il ridotto ritmo di crescita realizzato dagli allattati con latte materno non aveva conseguenze negative sul benessere dei soggetti.

L'introduzione dei cibi solidi andava gradatamente a sostituire il latte materno, mentre negli allattati artificialmente i beikost apportavano delle calorie aggiuntive.

Pare d'intuire che la piena responsabilità sia da imputarsi alle caratteristiche dell'allattato al seno il quale, per sua decisione, come sostenuto in un altro lavoro del medesimo gruppo (2), si accontenta di introdurre una minore quantità di nutrienti e calorie.

E se così non fosse?

E se il ridotto ritmo di crescita realizzato dagli allattati al seno, durante il divezzamento, fosse imputabile ad un errato e non diversificato schema di divezzamento?

La risposta la dovremo trovare ma dall'analisi della tabella I emergono alcuni dati che mi autorizzano ad ipotizzare dei deficit nutrizionali poiché l'apporto proteico ed energetico è sensibilmente inferiore (a volte dimezzato quello proteico) negli allattati al seno rispetto agli allattati artificialmente.

In entrambi i casi i valori d'intake non sono sostenuti.

Va sottolineato che il  quoziente energetico (Q.E.) degli allattati artificialmente non è superiore ai valori raccomandati da Pellet e che quello degli allattati al seno è sensibilmente inferiore a quanto raccomandato in materia.

Ed allora: se non forniamo tutte le calorie ed i nutrienti necessari, con uno schema personalizzato per l'allattato al seno, non possiamo certo sperare di ottenere un ritmo di crescita soddisfacente.

Sono fermamente convinto che il nocciolo del problema risieda nel fattore nutrizionale e non nell'autoregolazione a "scartamento ridotto" dei livelli d'intake energetici.

In altre parole: è forse colpa nostra se gli allattati al seno non crescono adeguatamente durante il divezzamento

Da pagina 158

CRESCITA E COMPOSIZIONE CORPOREA

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Il fenomeno della crescita, verosimilmente, è determinato da un programma genetico la cui capacità di realizzarsi appieno viene condizionata da una serie di fattori i quali sono in grado di determinare pesanti condizionamenti tanto positivi che negativi.

In altre parole, se la situazione nutrizionale è favorevole e le condizioni ambientali sono ottimali si può pensare che il programma genetico abbia discrete possibilità di realizzarsi a livelli vicini a quelli ottimali.

Lo stesso programma genetico è articolato e complesso dove gli indirizzi intrinseci si devono estrinsecare in spinte evolutive che per potersi realizzare devono essere mediati da una serie di sostanze che fanno da tramite tra la scheda programmatica e l'organo effettore.

Un primo step lo possiamo individuare a livello ormonale dove, per l'azione integrata di diversi fattori  tra i quali i "releasing factors", i rispettivi ormoni ipofisari (GH e TSH) e gli ormoni ed i fattori di crescita prodotti in risposta al loro rilascio (somatomedine ed ormoni tiroidei) assieme agli steroidi sessuali prodotti durante la pubertà; si innesca il "primo propulsore integrato" capace di determinare una serie di risposte metaboliche.

Il suddetto propulsore gira se "l'alimentatore" è efficiente. In altre parole, "il fattore nutrizionale" assume tutta la sua rilevanza assieme alla capacità funzionale dell'apparato digerente in quanto i nutrienti apportati devono essere assorbiti efficacemente e resi disponibili alle cellule, tessuti ed organi in attiva crescita.

Così la celiachia riesce ad inceppare il meccanismo della crescita se essa rimane indiagnosticata e questo è soprattutto vero per le forme atipiche che si possono manifestare con una ridotta crescita staturo-ponderale con o senza le alterazioni dell'alvo.

A questo punto, propulsore ed alimentatore possono integrarsi ma la loro integrazione è condizionata dalle interferenze derivanti dai fattori ambientali contingenti. Diventa così molto importante una adeguata "stimolazione psico-affettiva" quasi fosse un fattore permissivo (è noto a tutti che nelle situazioni di grave carenza psico-affettiva la crescita è ridotta).

La sensibilità "dell'organo effettore" è l'ultimo anello della catena che va dalla programmazione alla concretizzazione.

Se per la crescita staturale l'allungamento dell'osso è fattore fondamentale, per il resto degli eventi della crescita i fenomeni plastici non sono di secondaria importanza.

Volendo essere più espliciti, il GH va a stimolare recettori di membrana capaci di innescare delle risposte intracellulari i cui effetti possono essere locali (effetto paracrino) o sistemiche (effetto endocrino) legate essenzialmente alla produzione di fattori di crescita (es. le somatomedine).

Lo stesso ormone per poter agire in modo ottimale necessita degli ormoni tiroidei che esplicano un effetto permissivo sui fenomeni plastici legati alla crescita staturo-ponderale.

Gli steroidi sessuali sono capaci di stimolare la crescita dell'osso nella fase dello spurt puberale ma determinano una progressiva saldatura delle cartilagini di accrescimento che in definitiva sono responsabili dell'apposizione di nuovo tessuto osseo il cui risultato è l'allungamento dello stesso osso.

In definitiva, si riesce a crescere fino a quando le cartilagini di coniugazione o di crescita non si saldano con l'osso posto a valle (diafisi) ed a monte (epifisi).

Prima di continuare la discussione mi preme sottolineare il fatto che esiste un limite al di sotto del quale la crescita non è più normale: una crescita staturale che scenda sotto i 4.5-4 cm/anno è sicuramente patologica in età scolare ed ancor più in età prescolare.

Questo appunto è essenzialmente diretto a diversi centri meridionali abilitati alla prescrizione di GH che si rifiutano spesso di eseguire alcune curve per lo stesso ormone costringendomi a dirottare questi bambini verso centri del nord dove non si esita a fare quanto richiesto. Almeno una decina di bambini sono stati indirizzati ai centri del nord e tutti sono ritornati con la diagnosi di deficit congenito di GH.

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...Meditate gente, meditate e datevi da fare.

E' ormai da tutti riconosciuto che il tipo di crescita realizzato dagli allattati al seno differisce dal ritmo di crescita ottenuto con i latti artificiali. Queste differenze diventano maggiormente apprezzabili durante il 2° semestre di vita.

Qualche autore pensa che questo ritmo ridotto della crescita dei lattanti nutriti al seno possa essere correlato al ridotto intake di zinco che si realizza se l'alimentazione con latte materno si prolunga nel tempo.

Però, gli allattati esclusivamente al seno sono in grado di mantenere l'omeostasi dello zinco attraverso due fattori: alta frazione di assorbimento dello zinco ingerito e forte capacità di conservazione dello zinco posseduto: Entrambi gli elementi concorrono a soddisfare il fabbisogno per la crescita a dispetto del modesto intake dietetico (11).

In un recente lavoro (5), che utilizza i dati del DARLING Study, è stata analizzata la relazione esistente tra il periodo dell'introduzione dei cibi solidi, l'intake energetico ed il ritmo di crescita degli alimentati al seno ed artificialmente.

Tali autori hanno verificato il livello d'intake in tre gruppi di lattanti: due allattati al seno ed uno artificialmente. Essi volevano verificare se l'alimentazione esclusiva con latte materno limitasse il ritmo di crescita di questi lattanti e se il divezzamento (tra il 4° ed il 6° mese o dopo il 6° mese) poteva modificare il ritmo di crescita degli alimentati con latte materno.

Questo studio ha evidenziato delle differenze nei livelli dell'intake energetico e nel ritmo di crescita tra gli allattati al seno e quelli artificialmente. Tali differenze persistevano nel tempo anche a distanza dall'epoca d'inizio del divezzamento.

Il ridotto intake energetico ed il ridotto ritmo di crescita realizzato dagli allattati con latte materno non aveva conseguenze negative sul benessere dei soggetti.

L'introduzione dei cibi solidi andava gradatamente a sostituire il latte materno, mentre negli allattati artificialmente i beikost apportavano delle calorie aggiuntive.

Pare d'intuire che la piena responsabilità sia da imputarsi alle caratteristiche dell'allattato al seno il quale, per sua decisione, come sostenuto in un altro lavoro del medesimo gruppo (2), si accontenta di introdurre una minore quantità di nutrienti e calorie.

E se così non fosse?

E se il ridotto ritmo di crescita realizzato dagli allattati al seno, durante il divezzamento, fosse imputabile ad un errato e non diversificato schema di divezzamento?

La risposta la dovremo trovare ma dall'analisi della tabella I emergono alcuni dati che mi autorizzano ad ipotizzare dei deficit nutrizionali poiché l'apporto proteico ed energetico è sensibilmente inferiore (a volte dimezzato quello proteico) negli allattati al seno rispetto agli allattati artificialmente.

In entrambi i casi i valori d'intake non sono sostenuti.

Va sottolineato che il  quoziente energetico (Q.E.) degli allattati artificialmente non è superiore ai valori raccomandati da Pellet e che quello degli allattati al seno è sensibilmente inferiore a quanto raccomandato in materia.

Ed allora: se non forniamo tutte le calorie ed i nutrienti necessari, con uno schema personalizzato per l'allattato al seno, non possiamo certo sperare di ottenere un ritmo di crescita soddisfacente.

Sono fermamente convinto che il nocciolo del problema risieda nel fattore nutrizionale e non nell'autoregolazione a "scartamento ridotto" dei livelli d'intake energetici.

In altre parole: è forse colpa nostra se gli allattati al seno non crescono adeguatamente durante il divezzamento perché per essi non ci siamo mai posti il problema di "quanto" assumono, possono e devono assumere in termini

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calorici e di nutrienti.

Tabella I: velocità di crescita, intake energetico e proteico nei lattanti del DARLING Study e quozienti energetici raccomandati da Pellet.

Velocità di crescita gr/die

Intervallo di tempo in mesi Divezzamento tra 4 e 6 mesi Divezzamento dopo 6 mesi ArialDivezzamento nellallattato artificialmente

0-4 mesi 25.13 27.89 27.70

4-6 mesi 13.78 14.83 17.50

6-9 mesi 10.59 8.52 12.14

9-12 mesi 7.93 7.89 9.44

Incremento ponderale realizzato nei primi 12 mesi di vita in gr

 5583 5791 6400

Intake dietetico a 3 mesi

Kcal totali 537 537 616

Q.E.     

Q.E. racc.     

Kcal dal latte     

Cal dai beikost     

Proteine totali     

pr. gr/Kg/die     

Peso in grammi     

Intake dietetico a 6 mesi

Kcal totali 730 676 852

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Q.E. 86.40 77.90 93.60

Q.E. racc. 95 95 95

Kcal dal latte 56% 75% 64%

Cal dai beikost 44% 25% 36%

Proteine totali 16.30 9.50 18.50

pr. gr/Kg/die 1.90 1.10 2.00

Peso in grammi 8450 8680 9100

Intake dietetico a 9 mesi

Kcal totali 730 676 852

Q.E. 86.40 77.90 93.60

Q.E. racc. 95 95 95

Kcal dal latte  56%  75% 64%

Cal dai beikost 44% 25% 36%

Proteine totali 16.30 9.50 18.50

pr. gr/Kg/die 1.90 1.10 2.00

Peso in grammi 8450 8680 9100

Intake dietetico a 12 mesi

Kcal totali  814 849 970

Q.E. 89.60 90.40 98.00

Q.E. racc. 100 100 100

Kcal dal latte  36%  39% 51%

Cal dai beikost 64% 61% 49%

Proteine totali 21.60 24.50 24.60

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pr. gr/Kg/die 2.40 2.60 2.50

Peso in grammi 9085 9390 9900

Se per noi la crescita ideale è quella raggiunta dagli allattati al seno, dobbiamo accettare un ridotto ritmo di crescita come evento fisiologico. Se, viceversa, pensiamo che la crescita realizzata dagli alimentati con altri latti si avvicini a quella ideale, dobbiamo convincerci che il latte materno non è ideale sotto questo punto di vista.

Probabilmente, e come sempre, la verità si colloca in posizione intermedia. Se vogliamo ridimensionare queste disquisizioni dobbiamo ancora una volta far riferimento alla vita di tutti i giorni.

Se un lattante trova completo appagamento dall'alimentazione al seno, rimane tranquillo, non protesta e non fa capire di aver fame. La madre sarà tranquilla e le visite saranno improntate ai bilanci di buona salute.

Se, viceversa, il lattante ha fame, perché l'alimentazione al seno non è sufficiente a soddisfare le sue richieste, non ci sono ragioni che tengono: bisognerà, per il quieto vivere di tutti, integrare questa alimentazione con una aggiunta variabile di latte artificiale. E' certo che la quiete sarà garantita una volta che avremo integrato la sua alimentazione.

D'altronde nessun pediatra, per quanto amante delle statistiche e della scienza teorizzata, potrà serenamente negare la soddisfazione di raggiungere la sazietà e la tranquillità ad un lattante che domanda solo di mangiare.

La logica conseguenza di queste banali considerazioni porta a pensare che: i lattanti che entrano, e possono entrare, nei gruppi standardizzati da studiare sono quelli che non protestano per la fame e, verosimilmente, sono quelli che crescono secondo il loro potenziale genetico.

Ricordate che nessuna mamma per amore della scienza lascerà affamato il proprio figlio: gli darà da mangiare ma non ve lo dirà inficiando così i risultati dello studio al quale è stato ammesso il proprio figlio.

In definitiva, nelle due categorie di lattanti (alimentati completamente al seno o completamente con latti artificiali) si verranno a trovare solo i lattanti sazi, verosimilmente, con una crescita in linea col potenziale genetico.

Il gruppo di lattanti, con alimentazione integrata materno-artificiale, è abbastanza numeroso come è numeroso il gruppo dei lattanti che per alcuni mesi si sono alimentati con latte materno e poi sono passati a quello formulato.

Ed allora ci sono quattro gruppi di lattanti per i quali servirebbero 4 diverse curve di crescita.

Non pensate anche voi che ci potremmo complicare a dismisura la vita?

Se è vera l'ipotesi che la crescita della massa magra è geneticamente determinata, si può ammettere che la crescita ideale è quella che garantisce la massima crescita della massa magra con un consensuale e non eccessivo deposito di massa grassa.

Abbiamo quindi diviso il corpo in due masse: la grassa e la magra.

Il concetto di massa magra è un'astrazione poiché essa non è realmente tutta magra in quanto ogni cellula contiene dei lipidi indispensabili per la sua struttura e funzione (1).                      

MASSA GRASSA

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La massa grassa è identificata impropriamente col tessuto adiposo e la massa magra col resto dei tessuti. Il tessuto adiposo non è solo grasso: il 2% di questa massa è rappresentato dalle proteine ed il 15% dall'acqua.

Nell'organismo sono presenti due tipi di grasso: quello bianco e quello bruno. Il grasso bianco rappresenta la quasi totalità del grasso corporeo e si distribuisce attorno ai visceri e nel tessuto sottocutaneo. Funziona da isolante termico e da riserva energetica facile da depositare e metabolizzare.

Il grasso bruno è localizzato attorno ai reni, al cuore ed ai grossi vasi ed ha una grande importanza termogenetica specie nel neonato.

La massa grassa comincia il suo sviluppo a partire dalle 26 settimane di gestazione ed arriva a rappresentare il 14% del peso corporeo alla nascita. Aumenta rapidamente nei primi mesi di vita, diminuisce attorno ai 2 anni e si mantiene quasi costante da 2 ai 10 anni di età (attorno al 15% del peso corporeo).

La massa grassa è maggiore nelle femmine rispetto ai maschi.

L'incremento del deposito di massa grassa che si realizza nel primo anno di vita si accompagna all'incremento volumetrico degli adipociti. Allorquando il fattore volumetrico non può più  garantire il deposito della riserva energetica vengono reclutati i pre-adipociti che consentono di continuare a depositare attraverso l'incremento della cellularità.

Il pannicolo adiposo aumenta rapidamente durante il primo semestre di vita; decresce fino ai 18 mesi e riprende a salire da questo momento.

La capacità lipogenetica del tessuto adiposo è anche influenzata dalla qualità dell'intake dietetico (10).

MASSA MAGRA

La massa magra può essere divisa in tre compartimenti: l'acqua totale, la massa proteica ed i minerali.

Nel neonato l'acqua totale rappresenta l'80% della massa magra, le proteine il 16% ed i minerali il 4%.

Col passare degli anni diminuisce la quantità di acqua ed aumenta la quota proteica e minerale.

La consultazione delle tabelle che seguono consente di prendere atto delle modificazione della composizione corporea e della crescita dei lattanti.  DIVEZZAMENTO

PREMESSA

Letteralmente, il termine divezzamento sta ad indicare che bisogna togliere il vezzo (suzione nella fattispecie).

Poiché la suzione non è un vezzo, ma la modalità ontogenicamente più primitiva usata per alimentarsi, non è corretto interpretare il divezzamento in questi termini.

Il feto presenta movimenti di suzione che naturalmente non hanno un valore nutrizionale rilevante, ed il lattante continua a succhiare raggiungendo due obiettivi: quello nutrizionale e quello non-nutrizionale il quale è realmente utile, anche, dal punto di vista nutrizionale.

Il divezzamento, quindi, andrebbe interpretato in termini di    pratica alimentare integrativa dell'alimentazione attuale, cioè quella lattea.

La convinzione che di "alimentazione integrativa"  si tratti, deriva dalla constatazione della vera esigenza nutrizionale palesata dal lattante di 5 mesi di età: la necessità di introdurre il ferro necessario al costo metabolico più basso.

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Non esistono altre vere necessità che non possano essere soddisfatte dall'alimentazione lattea precedente se il latte somministrato è quello adeguato.

Né i singoli nutrienti, escluso il ferro, assumono una rilevanza particolare se inquadrati in una visione non settoriale dei problemi nutrizionali del lattante.

In un'ottica complessiva è possibile ridimensionare molte delle tematiche sollevate da alcuni studiosi che affrontano la condizione nutrizionale del lattante in maniera parziale; ora occupandosi solo del ferro, più tardi solo del calcio o solo degli acidi grassi, ecc..

Il lattante necessita di una serie rilevante di nutrienti, i quali devono essere apportati nelle giuste quantità e nei giusti rapporti facendo riferimento a quelli che sono i valori d'intake raccomandati attualmente.

Non è detto che si riesca ad apportare tutto rispettando questi valori di riferimento alla lettera; ma è possibile elaborare schemi dietetici che si avvicinano discretamente ai valori sopracitati.

Non è detto, ancora, che parte dei valori raccomandati coincidano con i livelli d'intake spontanei dimostrati nei lattanti (ad esempio l'intake energetico da me misurato in lattanti dei primi 4 mesi di vita si discosta sensibilmente dagli attuali valori indicati da alcuni eminenti studiosi).

Quello che un lattante può ingerire si colloca spesso al di là delle nostre convinzioni e sull'intake quantitativo possiamo operare un controllo parziale, laddove l'operato materno incide in maniera significativamente rilevante sulle nostre raccomandazioni.

Prendere atto che tutte queste interferenze incidono, significa fare un passo in avanti nella strada che conduce al miglioramento della condizione nutrizionale dei nostri lattanti. Condizione nutrizionale allarmante se consideriamo quello che è emerso dalle preziose indagini alimentari condotte nella popolazione infantile milanese e campana.

L'aspetto relazionale non è evento di secondaria importanza, poiché da questa pratica derivano delle esperienze capaci di condizionare il benessere emozionale della madre e del lattante modificando i rapporti della diade madre-bambino e ristrutturandoli integrando il vissuto recente con le nuove esperienze positive o negative che siano.

Considerato che possono insorgere delle difficoltà, spesso il rifiuto, è necessario spiegare alle mamme alcune tappe della fisiologia del lattante in merito alle problematiche alimentari.

Innanzitutto, l'allattato al seno potrà continuare ad assumere questo latte considerato che esso è capace di garantire un ritmo di crescita sufficiente, comunque inferiore al ritmo di crescita dei bambini allattati artificialmente, fino ai 6 mesi di età Se egli si rifiuta di assumere i beikost può tranquillamente continuare ad allattare al seno (spesso non accetta nemmeno il latte artificiale essendo molto attaccato al gusto sperimentato).

Non tutti i lattanti sono in grado di deglutire i cibi solidi prima della fine dei 4-6 mesi di vita.

Nei primi 4 mesi di vita è presente il forte riflesso di protrusione della lingua che è responsabile dell'espulsione di qualsiasi sostanza solida posta sulla sua parte anteriore.

Il livello dello sviluppo neuromotorio raggiunto durante i primi 4 mesi di vita non consente, normalmente, di coordinare in maniera ottimale i movimenti della bocca e della lingua determinando la difficoltà, prima riferita, della deglutizione dei cibi solidi.

A questa età viene acquisito un buon controllo dei movimenti della testa responsabile della partecipazione attiva alla nuova esperienza alimentare.

Dopo il 6° mese, un lattante se vuole mangiare apre la bocca e si sporge in avanti; se, al contrario, è sazio si ritrae e si gira da un altro lato.

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Tutte queste peculiarità fanno collocare l'epoca ideale per il divezzamento tra la fine del 4° e l'inizio del 6° mese di vita.

Io preferisco iniziarlo, senza eccezioni di sorta, alla fine dei 4 mesi, cioè al 5° mese di vita.

Con l'inizio del divezzamento vengono introdotti dei cibi diversi dal latte.

... che cos'è il beikost ?

Qualsiasi cibo diverso dal latte è definito col termine tedesco di "beikost".

... e dei gusti del lattante cosa sappiamo?

Molte delle affermazioni in merito derivano da osservazioni a breve termine che tuttavia vanno ricordate quando si vuole elaborare una strategia alimentare come quella del divezzamento.

Durante i primi 4 mesi di vita, i lattanti preferiscono il gusto dolce rispetto al sapido e le soluzione zuccherate più concentrate sono preferite rispetto a quelle meno concentrate (1).

Dai 4 ai 12 mesi di vita la preferenza alimentare ricade sui cibi sapidi.

Se così stanno le cose, le farine lattee trovano poco spazio nell'alimentazione routinaria del lattante, anche per i problemi connessi ai carichi proteici che dal loro utilizzo derivano.

Inoltre, con le farine latte viene presentato un cibo dolce nel momento in cui emerge la preferenza per il cibo sapido, la cui palatabilità è superiore rispetto alla minestrina in brodo vegetale alla quale prima o poi si arriverà percorrendo l'iter della palatabilità in senso anacronistico ed anti-fisiolofico.

L'irrazionale della loro proposta sta anche nel fatto che la dieta dell'adulto è una dieta di tipo sapido ed un preliminare passaggio attraverso un "nuovo-vecchio gusto dolce" non ha senso se uno degli scopi del divezzamento è quello di condurre il lattante ad alimentarsi secondo le abitudini e tradizioni dell'adulto ( abitudini preferibilmente mediterranee).

Il beikost sapido è quindi l'alimento da utilizzare nel divezzamento.

Se al lattante vengono presentati due cibi dal gusto diverso, egli sceglierà quasi sempre quello dalla palatabilità migliore. Questa constatazione mi ha fatto elaborare uno schema di divezzamento basato sulla "palatabilità crescente" dei cibi presentati al lattante.

La maggior variabilità della dieta da me proposta parte dai 6 mesi di età, epoca dalla quale il lattante sa operare le sue scelte in termini di accettazione o di rifiuto di quanto proposto.

Questi due ultimi concetti determinano altre considerazioni e comportamenti. Quasi tutte le mamme assaggiano la minestrina preparata per il loro figlio, e buona parte di queste riferisce che la minestrina ha un gusto pessimo.

A questa affermazione io faccio seguire la seguente domanda: suo figlio la mangia?.

La risposta è positiva nella quasi totalità dei casi.

Alla base dell'accettazione di un cibo poco palatabile sta l'esperienza del lattante che è capace di discriminare tra due gusti solo se può sperimentarli.

Una volta realizzata la sperimentazione, la scelta è un fatto consequenziale e spesso è orientata verso il gusto migliore.

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La variabilità della dieta ha un senso se attuata nel periodo durante il quale il lattante partecipa decisamente alle scelte alimentari; cioè dopo i 6 mesi di vita allorquando anche una "neo-mamma" riesce ad interpretare le sue istanze alimentari.

Però, il lattante è anche un soggetto abitudinario capace di assumere, per lunghi periodi di tempo, la medesima minestrina senza presentare il ben che minimo segno di sofferenza psicologica.

Non ha, quindi, senso cambiare continuativamente la composizione del pasto facendo propria l'affermazione che: "il bambino si stufa della solita minestra". Si deve pur abituare al nuovo, e per farlo gli dobbiamo concedere del tempo.

... e dell'appetito del lattante cosa si sa ?

L'appetito dei bambini è il "tormentone" dei pediatri. Quotidianamente le mamme si presentano allo studio lamentandosi dello scarso appetito manifestato dai propri figli.

Naturalmente, durante le malattie infettive e quando la temperatura ambientale sale bruscamente, il lattante ama bere più che mangiare.

Una cosa va ricordata, il lattante attorno ai 6 mesi di età comincia a manifestare un certo grado d'inappetenza. Questo comportamento fisiologico non deve essere, erroneamente, interpretato come condotta anoressica.

 circa la modalità di somministrazione dei beikost cosa ne sai ?

Porre la minestrina nel biberon significa continuare a far succhiare il lattante. Noi dobbiamo incoraggiarlo a masticare, a succhiare non ha problemi, lo sa fare egregiamente.

Il cucchiaino è la posata di cui si devono fornire le mamme. La speculazione sulla materia prima usata per costruirlo è banale, poiché il metallo non è svantaggiato rispetto alla plastica. L'idea consumistica che il lattante deve essere alimentato col cucchiaino di plastica deriva, dalla loro considerazione, che il cucchiaino di metallo è freddo ed insensibile e per tale motivo è fonte di rifiuto da parte del lattante. Mai slogan pubblicitario è stato così falso: la mamma pone il cucchiaino nella minestrina molto calda e la mescola fino a raggiungere la temperatura desiderata. Per una banale legge della fisica, due corpi dalla temperatura differente si scambiano il calore fino ad uniformare le loro temperature. Il risultato porta il cucchiaino di metallo ad una temperatura vicina a quella della minestrina e la sua presunta "freddezza" viene a decadere.

... si deve aggiungere del sale alle minestrine ? .

Quello che devi sapere è che: non si devono mai salare le minestrine durante i primi 12 mesi di vita, poiché, in una dieta prudente, il contenuto di sodio, cloro e potassio si colloca abbastanza oltre i limiti della richiesta stimata.

Se la dieta non è "prudente", le suddette quantità diventano enormi.

Solo nel caso della fibrosi cistica bisogna salare le minestrine particolarmente nella stagione estiva durante la quale il fabbisogno idrico e salino aumenta e va adeguatamente soddisfatto.

... cos'altro bisogna sapere ? .

Almeno nelle fasi iniziali del divezzamento, l'esperienza qualitativa sovrasta quella quantitativa e spesso il pasto viene consumato in piccole quantità. Andrà meglio nei giorni successivi.

Il divezzamento deve essere graduale, paziente, progressivo, integrativo dell'alimentazione lattea, propositivo e mai impositivo.

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Nelle prime fasi del divezzamento il lattante è più disposto ad accettare i cibi semiliquidi. Questo suggerisce che le minestrine non devono essere molto concentrate. In seguito si potrà rendere la minestrina più densa senza esagerare. Una minestrina dalla consistenza cremosa è più facilmente assumibile dal lattante.

Deve esistere un intervallo ragionevole tra l'introduzione di due nuovi cibi perché se insorge un'intolleranza alimentare non è difficile la sua identificazione. Viene proposto un intervallo di tempo di 7-10 giorni tra l'introduzione di due cibi diversi.

... deve bere il lattante durante il divezzamento ? .

Abbondantemente è la logica risposta. Con le minestrine il carico potenziale di soluti per il rene può essere consistente e l'intake di acqua consente  di smaltire efficacemente, entro certi limiti, le scorie azotate e gli elettroliti abbondantemente ingeriti.

Le situazioni aneddotiche seguenti vi faranno capire quale sia l'importanza dell'acqua.

Alcuni mesi orsono ho visitato un lattante di 6 mesi di età la cui crescita staturo-ponderale si collocava ben oltre il 97° centile. Questa mamma era molto soddisfatta tanto dell'appetito del proprio figlio, quanto e soprattutto dell'alimentazione da lei praticata e dai risultati da essa sortiti. Il solo motivo di scontentezza era rappresentato dal pianto e dall'agitazione che il proprio (florido) figlio dimostrava nonostante le sue ipotetiche istanze alimentari venissero soddisfatte largamente.

Questo lattante assumeva un litro di latte vaccino intero non diluito ed una generosa minestrina che garantivano un intake proteico giornaliero di oltre 5 gr/Kg/die.

Avendo letto molti articoli dedicati a questo argomento dal Prof. Bottone, mi preoccupo di eseguire immediatamente azotemia, creatininemia ed esame delle urine con la convinzione di ritrovarli tutti esageratamente alterati.

Il giorno dopo mi vengono presentati gli esami richiesti e tutto era nella norma. Con stupore ho dovuto incassare il colpo e reagire per evitare il K.O.. Decido, allora, di ri-indagare sulle abitudini alimentari attuali e riesco ad apprendere che il nostro lattante, oltre a tutto quello che ingeriva e che mi era noto, assumeva anche un litro di camomilla al giorno.

Tanto io, quanto il nostro lattante abbiamo ringraziato la buona camomilla per i vantaggi che ci ha apportato.

Nel settembre scorso arrivava alla mia osservazione un bambino di 18 mesi la cui altezza era vicina al metro ed il peso attorno ai 18 Kg. L'unico problema riferito dai genitori era la persistenza di una temperatura febbrile che non regrediva ai vari antibiotici ed antipiretici e che durava da 3 mesi (da giugno a settembre). Tutti gli esami eseguiti per indagare l'origine della febbre (comprese urinocolture ripetute) davano risultati negativi.

Incuriosito dalla mole del bambino, decido di condurre un'indagine dietetica e scopro che l'intake proteico superava i 5 gr/Kg/die. Oltre questi livelli d'intake, l'eccessivo carico di soluti obbliga il rene ad un'escrezione forzata di acqua con conseguente disidratazione; quest'ultima, congiuntamente all'accresciuta azione dinamico-specifica, può far insorgere la "febbre da proteine" se l'intake di acqua non è sufficiente.

Vivendo in un clima secco e caldo come quello presente nel  Sud dell'Italia, il fabbisogno idrico aumenta notevolmente nei mesi estivi.

Questo fatto, congiuntamente all'eccessivo intake proteico, ha determinato questi 3 mesi di febbre.

La madre non ha gradito le restrizioni suggerite, ma suo figlio no ha più la febbre.

... quale tipo di ruolo svolge il lattante durante il divezzamento ? .

Certamente, il suo è, e deve essere un ruolo attivo.

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Prima dei 6 mesi è abbastanza facile sovra-alimentare, a dispetto delle necessità, un lattante; ma dopo le complicazioni sono frequenti se il nostro atteggiamento non è elastico e propositivo. Per cui, spesso, è necessario farsi, anche, guidare dalle preferenze del lattante, fermo restando il fatto che la fisiologia del canale alimentare e la condizione maturazionale hanno la priorità sulle nostre scelte e su quelle del lattante.

Quindi, proposta controllata, elastica e prudente, nonché adattabile ai gusti del lattante.

... ed il life style ? .

Qui il dito viene infossato e ruotato nella piaga. Va detto subito che esso si colloca in una posizione antitetica rispetto ai progressi scientifici dei quali spesso ne ignora l'esistenza.

A diffondere un certo tipo di falsa o pseudo-cultura si sono specializzati molti mass-media che spesso non riescono neanche a tradurre un articolo da una lingua straniera o danno risalto ed enfasi eccessiva a delle notizie irrilevanti ma allarmanti e fuorvianti.

Una serie sterminata di giornali, libri, libricini e libriciattoli pervengono alle mamme ed hanno una certa presa la cui entità è direttamente proporzionale alla mancata preparazione specifica del pediatra.

Solo, ed esclusivamente il pediatra deve occuparsi dell'alimentazione dei bambini e nessuno spazio deve essere lasciato a tutti quei squallidi personaggi dediti a diffondere disinformazione.

Purtroppo, quasi sempre il potere persuasivo e carismatico di questi soggetti sovrasta enormemente il messaggio debole che arriva da molti colleghi.

Il nostro messaggio deve essere preciso, circostanziato e coerente con le scoperte scientifiche.

Vi devo ricordare che anche un'alimentazione errata non produce quasi mai effetti negativi a breve termine: non ci sono danni che siano d'esempio tangibile per i disinformatori, ma nella vita adulta tanti errori commessi durante l'infanzia presentano il tributo da saldare.

CENNI STORICI

Il riferimento alla storia è sempre foriero di utilissimi insegnamenti; ma se da esso derivano delle informazioni la cui validità è inconfutabile ed attuale; viene da chiedersi se siamo mai cambiati o se, viceversa, abbiamo applicato alla lettere l'affermazione del Vico: "corsi e ricorsi storici".

Indubbiamente, le capacità acquisite nel corso degli anni dall'industria alimentare sono notevoli e ci consentono di affrontare, senza tanti patemi d'animo, le problematiche alimentari dell'infanzia. Questo aspetto è veramente migliorato anche se ad ogni progresso si associa un prezzo da pagare.

Il dottor Crescenzo Pavone nel 1898 (2) aveva maturato le seguenti considerazioni circa il divezzamento:

1- Lo svezzamento è il più importante episodio nella storia del    lattante.

2- Lo svezzamento è determinato dalla volontà dei genitori.

3- Lo  svezzamento si deve iniziare solo quando il bambino è in

   grado di accogliere nel suo stomaco, digerire ed assimilare

   le sostanze alimentari che vanno a sostituire il latte.

4- Lo  svezzamento deve essere fatto in maniera graduale a partire dal 6° mese di vita.

5- Lo svezzamento va iniziato solo se il bambino sta bene. Le

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   stagioni più propizie sono la primavera e l'autunno.

Il prof. Ivo Nasso nel 1937 (3) proponeva il seguente schema di

   divezzamento:

1- alla fine del 5° mese di vita, un pasto latteo può essere

   sostituito da una pappa (pancotto, tapioca, pastina, crema

   di riso, semolino, preparati in brodo di verdure e

   somministrata col cucchiaino) o con una farina lattea cotta in acqua (15-20 gr di farina in 150-200 ml di acqua).

2- Verso la fine del 6° mese si inserisce una seconda pappa

   cotta in brodo di carne o di verdura.

 

I primi tre punti della proposta di Pavone dimostrano tutta la loro attualità e validità anche se è già passato un secolo da quel momento.

Il quarto punto è applicabile agli allattati al seno; e solo l'ultimo non è valido poiché la sicurezza dei prodotti per l'infanzia ci consente di divezzare in qualsiasi mese dell'anno.

 

Il prof. Nasso iniziava, oltre 50 anni fa, il divezzamento al 5° mese ed inseriva un secondo beikost alla fine del 6° mese. La farina lattea da lui consigliata era preparata alla concentrazione del 10%.

Questa proposta presenta una serie infinite di analogie con alcune proposte di alcuni autori contemporanei.

 

Sackett (4) è passato alla storia per gli eccessi di cui si è reso protagonista durante gli anni 50-60. Va detto a sua parziale difesa che tutte le piccole vittime delle sue convinzioni non hanno presentato, a 3 anni di vita, grossi problemi di salute.

I suoi consigli vertevano sui seguenti punti:

1- Vanno introdotti a 2-3 giorni di vita dei cereali (avena ed

   orzo) due volte al giorno.

2- A 10 giorni vanno introdotti le verdure filtrate a

   cominciare con i piselli, i fagioli e le carote.

3- Dal 14° giorno di vita deve essere introdotto l'olio di

   merluzzo.

4- A 17 giorni vanno introdotti gli alimenti filtrati.

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Chi ha commentato queste idee è convinto che i lattanti, dotati di incredibile capacità di recupero e di grandi riserve di energie, riescono a sopravvivere ai capricci di chi si prende cura di loro.

PARERI CORRENTI

Il prof. Bottone (5) esprimeva le sue idee in questi termini:

 

1- Latte adattato fino ai 12 mesi di vita (400-500 ml/die).

2- Solo carne di manzo nel primo anno di vita (preferibilmente

   liofilizzata).

3- Dopo i 6 mesi di vita, e fino ai 12, il 50% delle calorie

   deve provenire dal latte ed il rimanente 50% dai beikost.

4- Per iniziare il divezzamento, usare la farina lattea al riso

   al 15%.

5- Frutta fresca grattugiata non omogeneizzata (la banana è

   preferita).

6- Vanno somministrati 2 beikost identici tra il 5° ed il 6°

   mese di vita.

7- Tuorlo d'uovo (una volta alla settimana) e pastina

   all'ottavo mese.

8- Albume al 10° mese.

9- Vengono ritenuti inutili fegato, cervello, prosciutto ed i

   formaggini.

10- Latte di proseguimento dai 12 ai 24 mesi.

 

Il prof. Maggioni (6) include nei suoi schemi la possibilità di utilizzare il latte vaccino a 4 mesi, consente di divezzare al 4° mese e tollera quozienti energetici non completamente in sintonia con quanto pubblicato da altri autori. In ogni caso, si possono consultare i suoi scritti dai quali emergono, anche, le seguenti considerazioni:

 

1- Tuorlo d'uovo dopo il 6° mese di vita.

2- Il burro può essere introdotto in piccole quantità nel

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   secondo semestre.

3- Lardo crudo e tritato (15-20 gr) a partire dal 5°-6° mese.

4- Il miele si può usare fin dai primi mesi di vita.

5- Il pesce può essere inserito al 6°-7° mese.

 

Il gruppo del prof. Auricchio (7) ha prodotto un opuscolo il cui scopo è quello di diffondere le loro idee in merito alla "dieta mediterranea".

Da questo opuscolo si possono trarre le seguenti direttive:

1- Il latte vaccino va somministrato intero dopo il 5°-6° mese

   di vita, ed i latti di proseguimento presentano delle

   modifiche che non sono essenziali dopo il 5° mese di vita.

2- I prodotti a base di yogurt o crema di formaggi sono spesso

   ricchi di grassi e di colesterolo e possono fornire un

   eccesso anormale di questi nutrienti.

   Nella tabella I viene presentato il contenuto proteico,

   marziale e di colesterolo di alcuni alimenti.

3- Un pizzico di sale deve essere aggiunto ad ogni pappa per

   due motivi: latte ed altri alimenti contengono sale in

   quantità quasi sufficiente al fabbisogno del bambino  ed il

   sale rende le pappe più accettabili al bambino.

4- Il lattante può mangiare il pesce subito dopo l'inizio del

   divezzamento anche 3-4 volte alla settimana. Il tipo di

   pesce consigliato (sarde, sgombro, cefalo) è incluso nella  

   tabella I da me preparata.

 

Il Prof. Giovannini ed il suo gruppo (9) hanno elaborato una serie di raccomandazioni che nella sostanza non presentano sensibili differenze rispetto agli schemi da me proposti.

Conoscere le direttive elaborate da questo gruppo è importante perché esse sono di validissimo ausilio per la produzione schemi nutrizionali corretti e moderni.

Le linee essenziali sono le seguenti:

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1- Niente aggiunta di sale e zucchero alle minestrine.

2- Minestrina in brodo vegetale come beikost iniziale.

3- Secondo beikost, dopo 20 giorni dall'inserimento del primo,

   alla sera con riso, mais, tapioca e formaggio.

4- Glutine non prima del 6° mese.

5- Pesce e prosciutto a partire dal 7° mese di vita.

6- Legumi senza buccia dall'8° mese.

7- Tuorlo d'uovo a partire dal 9° mese di vita.

8- Fegato e cervello, una volta alla settimana, a partire dal

   10° mese di vita.

9- Albume e latte vaccino intero dopo l'anno di vita.

10- Olio extravergine d'oliva come condimento di base.

11- Due beikost e due pasti lattei dopo il 6° mese di vita.

Tabella I: contenuto proteico, marziale e di colesterolo di alcuni beikost (compresi quelli raccomandati nella           proposta di Auricchio et al.).

ALIMENTI PROTEINEgr/100 gr

FERRO mg/100 gr

COLESTEROLOmg/100 gr

CARNI   

I.I.N. * SOUCI **

Cervello bovino 9.80 3.60 2200 

Pollo 19.10 1.50 90 81

Vitello 20.70 2.30 60.30 -

PESCE       

Sarde 20.80 1.80 100.00 -

Sgombro 17.00 1.20 80.00  69.00

Trota 14.70 1.00 80.00 56.00

Sogliola surgelata 17.30 0.40 65.00 -

Sogliola fresca 16.90 0.80 65.00 50.00

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Cefalo 15.80 1.80 65.00 65.00

Merluzzo surgelato 17.30 0.00 50.00 -

Merluzzo fresco 17.00 0.70 50.00 47.00

LATTE E LATTICINI       

Ricotta di vacca 12.20 0.50 309.00 -

Formaggino 14.00 0.30 85.00 -

Formaggio Parmigiano 36.00 0.70 68.00 68.00

Latte vaccino 35.00 0.10 14.00 12.30

Yogurt alla frutta 2.80 0.10 7.00 12.20

ALTRI BEIKOST       

Tuorlo 16.10 7.20 1260.00 1260.00

Uovo di gallina 12.90 2.10 450.00 396.00

Albume 11.10 0.20 0.00 

Lenticchie crude 23.50 6.90 0.00 

Fagioli secchi 21.30 6.10 0.00 

Ceci secchi 19.80 7.20 0.00 

Piselli freschi 7.50 2.95 0.00 

Riso 6.68 0.40 0.00 

Fave fresche 6.55 1.84 0.00 

Arialolio doliva 0.00 0.00 0.00 

 OBIETTIVI NUTRIZIONALI REALI

L'unica e vera esigenza nutrizionale da soddisfare durante il divezzamento sta nel corretto apporto marziale. Il ferro deve essere apportato al costo metabolico più basso; cioè, gli alimenti dai quali esso deve derivare non devono incidere pesantemente sul rene in termini di eccessivo carico renale di soluti.

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Al ferro ho dedicato un separato capitolo al quale vi rinvio per reperire tutte le notizie utili per la verifica di quanto qui affermato.

Vi ricordo solo che i beikost utilizzabili all'inizio e durante il divezzamento ( se si vuole elaborare una dieta prudente e, per quanto è possibile, corretta) non sono molti e quei pochi che si prestano all'utilizzo contengono pochissimo ferro.

La sconvolgente verità porta alla seguente affermazione: è dal latte di proseguimento che deriva la quasi totalità del ferro assunto dal lattante nel secondo semestre di vita.

Qualcuno potrebbe non condividere questa affermazione ed è consigliabile, per coloro i quali diffidano, provare ad elaborare schemi dietetici verificabili e verificati come lo sono quelli presentati nella sezione dedicata agli schemi nutrizionali.

Dal loro confronto deriveranno notizie utili e costruttive.

Vi ricordo, ancora, che la tematica marziale deve essere affrontata unicamente in termini di biodisponibilità, poiché il semplice parametro quantitativo non da garanzie di nessun genere in termini d'assorbimento.

ALTRE CONSIDERAZIONI

I beikost vanno scelti con cura, altrimenti non è possibile apportare quasi tutti i nutrienti nelle giuste quantità e rapporti.

Il rischio è quello di consigliare delle diete carenti sotto molti aspetti ed eccessive nel carico proteico e calorico nonché nell'intake di elettroliti e minerali.

Ho voluto elaborare alcuni parametri di riferimento che, verosimilmente, vi saranno utili per la scelta dei beikost Densità energetica dei beikost.

La densità energetica di un alimento è rappresentata dalle Kcal/100 grammi di prodotto. Più è alta, maggiore è l'intake calorico a parità di peso.

E' allora preferibile orientarsi verso i beikost a densità minore.

Rapporto proteico/calorico

Dividendo il contenuto proteico di 100 gr di prodotto per le calorie fornite si ottiene il suddetto rapporto. Molti beikost hanno questo rapporto elevato soprattutto a causa della ricchezza in proteine. Spesso è necessario scegliere beikost dal rapporto meno elevato.

Le creme di riso, il riso e la pastina sono gli alimenti utilizzabili come riferimento.

La crema di riso presenta un rapporto proteico/calorico di 0.02 e la pastina Milupa ha un rapporto di 0.03. Al contrario, il merluzzo ha un rapporto di 0.24 che lo pone al vertice dell'elenco dei cibi a più alto rapporto.

Rapporto proteine/ferro

Anche questo rapporto viene ottenuto su 100 gr di prodotto. Il rapporto è molto alto nel merluzzo (24.28) per la modica quantità di ferro presente.

L'omogenizzato di manzo della Dieterba ha un rapporto di 9.5 ed il liofilizzato di manzo della Milupa ha un rapporto di 8.59. Anche per tale motivo i liofilizzati vanno preferiti agli omogeneizzati. Non conosco i rapporti dei prodotti di altre case perché in molte hanno rigettato le mie istanze di documentazione.

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L'utilizzo delle proteine come punto di riferimento per questi ultimi due rapporti trova la sua razionalità nel fatto che, per il primo, bisogna evitare l'eccesso d'intake; e, per il secondo, l'intake marziale si associa quasi sempre ad un generoso apporto proteico.

Usando bene questi due rapporti la dieta diventa "più prudente e meno carente".

SCELTA DEL LATTE IDONEO

Se il lattante assume il latte materno non ci son motivi per non continuare, fermo restando il fatto che la sua curva ponderale si trova qualche centile più in basso rispetto alla crescita degli allattati artificialmente.

Dall'8° mese, il lattante sperimenta una fase dello sviluppo psicomotorio che lo porta ad attaccarsi maggiormente al seno. Per tale motivo sarà complicato staccarlo nei mesi successivi.

Vi ricordo che ogni latte, di ogni specie animale, è idoneo a garantire la sopravvivenza della propria prole. La composizione dei vari latti è adeguata alle necessità di crescita dei piccoli delle varie specie. Così, il latte vaccino è ricco di proteine perché deve garantire la crescita muscolare del suo vitello ed il latte materno è ricco di lipidi, in particolare contiene i VLC-PUFA, indispensabili per il corretto sviluppo della retina e del cervello (organo prevalentemente lipidico) del lattante.

Il latte materno presenta il maggior contenuto di lattosio, il quale apporta il galattosio utilizzato per la sintesi dei galattolipidi del cervello. Assieme a questo glucide, vengono apportati oltre 100 oligosaccaridi dalle funzioni diverse ma finalizzate al divenire del lattante soggetto più maturo.

Per questo lattante la dieta dovrebbe essere diversa ed i problemi di eccessivo intake proteico non sono così pressanti rispetto all'allattato artificialmente.

E' evidente la necessità di diversificare le due condotte alimentari.

Continuare col latte adattato è possibile ma dispendioso e forse inutile in quanto esistono in Italia nuovi latti di proseguimento, dal contenuto proteico più contenuto, capaci di garantire un corretto intake di nutrienti senza incorrere rischio di pericolosi eccessi.

Quindi, latte materno se c'è con un divezzamento diversificato o "follow-up" formule di ultima generazione.

... e le acque minerali più pubblicizzate sono veramente indispensabili per la salute del lattante ? .

In realtà, se le acque di fonte fossero pulite non ci sarebbe la necessità di ricorrere alle acque minerali, peraltro prive di fluoro.

Comunque, solo in alcune comunità rurali è possibile reperire delle fonti non inquinate.

In tutti gli altri casi, volenti o nolenti, bisognerà far ricorso alle acque minerali, od in alternativa ai filtri domestici.

Nel 1993 sono stati consumati 6 miliardi di litri di acqua minerale e molti pozzi che hanno pescato nel torbido sono stati identificati e chiusi.

Ad ogni buon conto, esse vanno usate per le sole garanzie di sterilità e di purezza da inquinanti ambientali (mi auguro che sia sempre vero).

Non ha ragion d'esistere la speculazione sul contenuto minerale totale o residuo fisso; poiché la differenza tra un residuo fisso di 49 mg/litro (limite che identifica le acque minimamente mineralizzate) ed uno di 51 mg/litro (oltre i 50 mg e fino ai 500 mg/litro le acque vengono definite per legge oligominerali) è altamente insignificante. Se noi poi pensiamo che l'apporto di minerali ed elettroliti con le acque oligominerali è veramente modico e che il carico renale dei soluti collegato al loro utilizzo è pressoché inesistente, ci accorgiamo che lo spazio dedicato a questo argomento è eccessivo ed inutile.

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Queste acque non vanno in ogni caso bollite. Viceversa, le acque di fonte non inquinate vanno bollite per alcuni minuti e va prelevata solo la parte priva di residui. Per cui, dove è possibile reperire una fonte pulita (non l'acqua dei rubinetti) non ci sono dubbi che si possa fare a meno dell'acqua minerale.

Una valida alternativa è rappresentata dai filtri domestici.

Nelle tabelle II, III, IV, V e VI è possibile reperire tutte le informazioni utili per orientarsi nel variegato "mondo artificiale" delle acque minerali.

Tabella II: Caratteristiche di alcune acque minerali. 

CARATTERISTICHE 

ACQUE 

 ULIVETO SANGEMINI 1987 SANGEMINI 1991

Residuo fisso 1092 mg/Litro 1058.50 1010.40

Calcio 231.20 mg/L 343.50 322.00

Sodio 103.20 mg/L 21.90 21.00

Cloro 119.00 mg/L 22.70 21.30

Potassio 10.60 mg/L 2.50 3.80

Ione solforico 166.20 mg/L  51.00 60.40

Ione nitrico 7.20 mg/L 1.10 1.10

Ione fosforico assente tracce assente

Silice 15.00 mg/L 51.50 37.60

CO2 890.00 mg/L 980.00 670.00

Ossigeno tracce 7.10 5.80

Altri ioni presenti presenti presenti

Queste due acque non sono oligominerali e sono quelle più ricche di sali minerali.

Va tenuta in dovuta considerazione questa osservazione poiché l'apporto salino garantito da queste due acque minerali incide sui bilanci elettrolitici e minerali del lattante.

Tabella III: Composizione di alcune acque oligominerali.

CARATTERISTIC HE 

ACQUE 

 LEVISSIMA FIUGGI VERA

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Residuo fisso 72.50 mg/Litro 107.70 162.00

Calcio 18.80 mg/L 16.03 33.70

Sodio 1.60 mg/L 6.50 2.30

Cloro 0.30 mg/L 12.60 2.10

Potassio 1.50 mg/L 4.60 0.50

Ione solforico 14.30 mg/L 5.10 15.30

Ione nitrico 1.40 mg/L 8.20 3.00

Ione fosforico assente 0.14 assente

Silice 4.80 mg/L 19.00 8.50

CO2 1 cc/L 5.00 2.30

Ossigeno 7.50 cc/L assente 4.90

Altri ioni presenti presenti presenti

Tabella IV: caratteristiche di alcune acque oligominerali.

CARATTERISTICHE 

ACQUE 

 PANNA SAN PELLEGRINO SAN BENEDETTO

Residuo fisso 178.00 mg/Litro 200.00 252.00

Calcio 14.70 mg/L 42.40 53.30

Sodio 13.20 mg/L 0.47 6.20

Cloro 10.00 mg/L 1.10 3.20

Potassio 15.10 mg/L 0.14 1.30

Ione solforico 6.20 mg/L  8.70 23.10

Ione nitrico 18.20 mg/L 3.20 5.80

Ione fosforico 0.03 mg/L assente 0.10

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Silice 63.20 mg/L 1.00 13.70

CO2 3.80 ml/L 1.20 5.60

Ossigeno 6.70 ml/L 8.60 5.40

Altri ioni presenti presenti presenti

Tabella V: composizione di alcune acque oligominerali e di una minimamente mineralizzata (Amorosa).

CARATTERISTICH E 

ACQUE 

 MANGIATORELL A

CRODO LISIEL AMOROSA

Residuo fisso 59.20 mg/Litro 253.00  21.80

Calcio 6.08 mg/L 60.00 0.70

Sodio 10.10 mg/L 5.70 4.50

Cloro 12.80 mg/L 1.70 7.40

Potassio 1.40 mg/L 3.10 0.10

Ione solforico 2.98 mg/L 104.00 assente

Ione nitrico assente 3.60 0.05

Ione fosforico assente assente tracce

Silice 6.40 mg/L 6.90 5.10

CO2 8.30 ml/L 4.60 mg/L 14.20 mg/L

Ossigeno 5.00 ml/L 7.30 mg/L 13.40 mg/L

Altri ioni presenti presenti presenti

CARATTERISTICH E 

ACQUE 

 MANGIATORELL A

CRODO LISIEL AMOROSA

Residuo fisso 59.20 mg/Litro 253.00  21.80

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Calcio 6.08 mg/L 60.00 0.70

Sodio 10.10 mg/L 5.70 4.50

Cloro 12.80 mg/L 1.70 7.40

Potassio 1.40 mg/L 3.10 0.10

Ione solforico 2.98 mg/L 104.00 assente

Ione nitrico assente 3.60 0.05

Ione fosforico assente assente tracce

Silice 6.40 mg/L 6.90 5.10

CO2 8.30 ml/L 4.60 mg/L 14.20 mg/L

Ossigeno 5.00 ml/L 7.30 mg/L 13.40 mg/L

Altri ioni presenti presenti presenti

Tabella VI: riepilogo di alcune caratteristiche delle acque minerali esaminate.

ACQUA SEDE DI PRODUZIONE

DATA E SEDE DELL'ANALISI

COSTO/LLIRE 

PRSLmOsm/L

ULIVETO Vico pisano(PI) 22-3-89 Pisa 566 8.11

ULIVETO Terni 17-11-87 Roma 1220 1.65

SANGEMINI-91 Terni 9-12-91 Roma 1220 1.62

PANNA Orvieto(PG) 19-2-92 Roma 567 1.24

LEVISSIMA Cepina(SO) 13-10-90 Pavia 480-527 1.00

MANGIATORE LLA

Stilo(RC) 9-4-92 Messina 496 0.83

FIUGGI Fiuggi(FR) 22-3-89 Roma 1120 0.75

AMOROSA Massa Carrara 22-5-89 Pisa 1800 0.40

SAN BENEDETTO

Scorzé(VE) 7-1-92 Trento 466 0.39

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CRODO LIESEL T. di Crodo(NO) 8-7-91 Torino 526 0.38

VERA S.G. in B.(PD) 28-10-91 Trento 480-593 0.17

SAN PELLEGRINO

S. Pellegr.(BG) 27-9-90 Bergamo

480 0.05